tag:blogger.com,1999:blog-44091371040482205822024-02-02T09:47:21.643+01:00il bla bla della serachi c'è c'è, chi non c'è non c'èpeppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.comBlogger472125tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-19688127888626088702019-12-22T16:57:00.003+01:002019-12-22T16:57:50.694+01:00Racconto della vigilia<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-06196822-7fff-6394-661d-b95a6c0646b2" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: center;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span><span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Giulia, Tonino e la panchina.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span><span style="font-size: 18pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Peppe Stamegna</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Questo porto non lo sopporto più. Vedo sempre le solite quattro barche vecchie con la ruggine che scende dai lati, con tutte quelle cime pelose che pendono e puzzano solo a guardarle, così come quel chioschetto infimo laggiù a sinistra, poco prima della pompa di benzina mezza abbandonata: i proprietari devono ringraziare i quattro pescatori puzzolenti se riescono a tenerlo in vita coi loro caffè corretti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A Maria l’avevo detto: resto un paio d’anni, giusto il tempo di far innamorare bene bene Guido e poi scappo via con lui verso Bologna o Roma, o chissà dove.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Proprio così le dissi quella sera che decisi di restare a vivere qui. Si stava tutti insieme spensierati su quella terrazza poco illuminata e piena di uomini con camicie bianche sbottonate e donne con vestitini sgargianti e sorrisi generosi, si beveva vino bianco e si rideva uno dentro la faccia dell’altro. Era estate, e davanti c’era tanto mare. Ero convinta che la mia vita avesse incrociato la fortuna di ritrovarsi insieme a persone belle, e un po’ strambe: questa scena della terrazza rappresenta bene come sognavo da ragazza la mia vita futura. Così desideravo immaginarmi da grande. Ma sognavo nel sogno. Ora eccomi qui sopra a questa terrazza maiolicata di blu e ben illuminata, con il grembiule nero fino alle ginocchia e gli occhi neri di matita che intimidiscono sempre un po’ gli uomini. Uso scarpe comode per correre svelta da un tavolo all’altro, dal martedì alla domenica, estate e inverno. Sempre qui. Mi rilasso un po’ la mattina al risveglio, sempre sul tardi, quando il sole già picchia e lascia poca aria in giro. Faccio colazione al bar di Maria; a lei sto raccontando i miei tormenti penosi di femmina. Con i colleghi c’è poco da fidarsi. Provano ogni giorno a sedurmi con racconti di vite mai vissute interamente da loro, o con quei loro slanci fatti di battute e sguardi per conquistarmi: cercando invano di scacciare la mia vecchia </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">alleata</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> apatia sociale. Tanto alla fine i loro poveri sogni di gloria si vanno sempre a nascondere nella federa del loro morbido cuscino di mammà, ancora prima dell’alba, quando con facce da bimbi provano a smarcarsi, almeno nei sogni, da mamme gigantesche: donne poco truccate, con il Tavor sempre in borsa. Figurati. Stavo, e sto qui, in questa cittadina salata e senza futuro, solo per l’ultima speranza di rivedere Guido e la sua pittura divina. Loro lo sanno, ma, poveracci, si mettono a competere anche contro il suo fantasma, pur di provarci con me, femmina da conquistare, secondo l’opinione di questi zoticoni di mare. Nei miei occhi neri invece lascio entrare volentieri i pescherecci che nel pomeriggio arrivano con le loro reti umide appese e piene di </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fravaglia, </span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">come i pescatori chiamano quei pesciolini senza qualità, e quindi senza commercio: come vedo io i miei colleghi camerieri. Valgono poco davanti all’eleganza di Guido, figuriamoci davanti alla sua pittura. Lui sa esprimersi con uno stile asciutto ma espressivo, così si distingue senza spocchia dalla moltitudine di pittoretti che sono in circolazione in questi anni barbarici. Così diceva quel critico di Firenze sul catalogo un po’ informale della sua ultima mostra. Maledetto lo stile e la mia ostinazione a volerlo bere come fosse limonata fresca. Speravo di baciare Guido tutte le mattine, per prendermi il suo stile, la sua unicità. Farmi contagiare ogni santo giorno come una santa col suo oppresso. Che scema, la solita scema ragazzina di trent’anni che beve cose di cui non conosce gli effetti né tanto meno il sapore vero, crudo e terribile della realtà che si appiccica ai nostri corpi. Niente, non capisco proprio niente, sarà la tara di famiglia.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecco questo golfo che diventa ogni giorno sempre più piccolo, con queste sue casette colorate una diversa dall’altra che tempo fa sognavo di abitare: qui avrei potuto scrivere pure un’altra </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Guerra e pace</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> a puntate per il giornale locale, se solo avessi avuto la costanza di amare Guido. Lui amava il mare soprattutto d’inverno, ché d’estate scappava in Grecia, da quei suoi amici pittori squattrinati che stimava più d’ogni altra cosa. Di me, sicuramente. In fondo mi considerava una ragazza pigra e viziata da una famiglia di strambi, come mi disse quella volta durante una litigata. Ecco, credo sia questa la natura del suo rifiuto: scarsa considerazione di me, e del nostro futuro insieme. Anche se so di non avere prove al riguardo, Maria, dimmi tu allora perché mi ha poi evitato in tutti questi atroci e lunghi anni di separazione? </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“In realtà non gl’hai mai fatto capire veramente che lo rivolevi così tanto. Allora lui ha fatto quello che avrebbe fatto chiunque: i fatti suoi. Che sono scelte, occasioni da cogliere, umani desideri, o no?”</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Maria, ma tu fai davvero? Stavo sempre con gli occhi addosso a lui, alle sue mani, al suo corpo”</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Appunto! Cose vere solo per te, Giulia cara; tu hai fatto poco per prendertelo davvero.”</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Forse ha ragione Maria: ho sempre aspettato che le cose accadessero solo per la maniera con cui le guardavo e desideravo. La realtà ha vinto. Ora faccio la cameriera per quaranta euro a sera e aspetto il lunedì per scappare a Roma con la pazza speranza di incontrarlo. Frequento tutte le mostre o eventi culturali che propone la città, e dove possa esserci lui con la sua faccia un po’ triste a illuminare il mondo. E me.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Giulia! Una margherita al tavolo uno. Su, sbrigati”.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In questa pizzeria tutto è povero, ovvio e senza futuro. Vedi scorrere la felicità insieme alle pizze, che poi si ferma lì quella felicità momentanea, su quella pizza farcita sempre più in maniera esagerata: una volta c’era la capricciosa a fare la differenza, e poteva bastare. Poi guardo i clienti e capisco che la volgarità si sta mangiando il gusto, lo stile con cui avevamo fatto un patto, silenzioso, tra cittadini circondati da tanta bellezza e il resto del mondo. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dentro questa pizzeria io adoro soltanto la storia di Kaled. L’altro pomeriggio sono stata a casa sua. L’avevo accompagnato a casa per via dell’acquazzone improvviso, e che andasse via in bicicletta con quelle ruote così piccole per le sue gambe, non mi andava giù. Allora mi sono fatta coraggio e ho messo da parte quel pudore che aleggia spesso tra me e lui, tra me e la sua cultura araba. Prima del caffè mi ha fatto assaggiare una sfilza di cose buone: dolci arabi, cocomero e gelato. Il caffè l’ha preparato la moglie, il figlio grande ha tagliato il cocomero, e il secondo ha servito i dolci. Gli altri due, tre e cinque anni, mi fissavano con due olive nere al posto degli occhi. Erano una famiglia, e condividevano così bene tutto quel poco.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Durante la notte, aiutata da una digestione lenta anche per tutto quel miele nei dolci arabi, ho sognato Adim. Da quella volta che l’ho investito su quella strada stretta di curve e vedute. Con quel potenziale omicida che erano le mie notti a base di alcol e cocaina, insomma, da quella volta ogni tanto mi torna in sonno a trovare: ha sempre il braccio ingessato e continua a venirmi a trovare con questa infermità, nonostante siano passati due anni da quell’incidente. Ora ha vent’anni, e sicuramente sarà tornato a lavorare ai mercati, con le sue braccia muscolose e veloci pronte a scaricare camion interi di frutta e verdure. Questa notte mi ha dato un bacio. Aveva lo stesso sapore di quelli che ricevevo nell’adolescenza. E mi sono svegliata di colpo in piena notte, poi ho bevuto un bicchiere d’acqua, ho preso due pasticche di valeriana e ho controllato le mail. Non si sa mai, che dall’etere arrivi qualche soffiata sulla mia disponibilità ad amare di nuovo.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Domani andrò a trovare papà in clinica. Domani gli dirò che deve trasferirsi da me. Non ha senso che continui a stare lì dentro, circondato da persone assurde. Lui sta bene oramai. E in fondo poi io, diciamolo una volta per tutte, non ho più speranze che Guido ritorni da me. È stata un’illusione che mi sono trascinata appresso anche per scacciare la decisione di ospitare papà a casa da me. Ancora mi spaventa l’idea, lo so, ma non posso più aspettare: lui invecchia e le nostre angosce si gonfiano sempre di più, dentro i nostri esili petti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Domani all’alba vado e glielo dico subito, appena lo vedo. Altrimenti la sua tenerezza mi blocca come sempre, e poi comincia a raccontarmi di Tonino e delle sue smanie di conservare le vite degli altri nella testa: non sopporto più questo dipendere dalle scelte degli altri. Basta, papà deve venire a vivere con me, e non voglio sentire altre storie: questo devo dirgli con gli occhi più decisi del mondo. </span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tonino</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> A quindici anni volevo scrivere un libro, avevo pure il titolo pronto: I contrasti nell’era della pop art. Un titolo strambo adatto a un tipo strambo, com’ero io allora. Stavo sempre a pensare a ‘sto libro: la notte mi svegliavo e lo vedevo sul comodino, ancora vuoto di parole. Già, quelle non venivano mai quando le chiamavo: invece arrivavano parole pesanti piene di tristezza, ma soprattutto arrivavano nella controra, quando non le cercavo. Questo lo so oggi, ché allora mi parevano pure belle e importanti, le parole, quelle che mi capitavano tra la testa e le mani. Necessarie, pensavo. Macché. Erano solo ferri arrugginiti da lunghi inverni di lacrime, quelle sì necessarie. Mio zio mi cazziava quando non lo aiutavo, e la moglie, che non riesco neppure a chiamare zia, quando era nervosa, mi chiudeva nella cantina per interi pomeriggi. Lì mi facevo le pippe, e cos’altro potevo fare? Sì, anche al libro pensavo, ma come facevo a scriverlo? In realtà mi frullava tutto nel cervello, mi sarebbe bastato trovare un contenitore robusto dove versare </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">il tutto</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Ora devo ammetterlo, allora era più semplice pensare tutto il tempo alle cosce di Mariella, che a scrivere qualcosa di buono. Questo libro però un giorno improvvisamente ha visto la luce: una decina di pagine sgrammaticate che facevano apparire la mia realtà spaccata in due come un cocomero, come quelli che spaccava mio zio la domenica. I buoni e i cattivi, le femmine e i maschi. I miei zii e la mia rabbia. Ma comunque mi piaceva, ne ero soddisfatto e confidavo nella giustizia divina per la sua imminente diffusione; sì, allora avevo questo tipo di pretese: sei buono? Avrai la ricompensa. E io l’aspettavo tutte le sere la ricompensa, sdraiato sul materasso di lana aspettavo una ricompensa come fosse l’apparizione della Madonna. Invece arrivava Mariella, che mi sorrideva serena. Mi addormentavo, e ci mettevamo a fare bagordi insieme tra nuvole e tappeti. La mattina poi, prima del mezzo bicchiere di latte che la moglie di mio zio mi sbatteva sul tavolo di marmo all’aperto sotto il porticato, sennò sporcavo in cucina, come diceva zia. Insomma, all’alba scappava via Mariella, e a volte avevo proprio l’impressione di vederla con le sue gonne da zingara che si gonfiavano e sgonfiavano in lontananza, sulla strada poderale. Macché, erano solo cazzate di sogni che mi servivano per caricarmi: per riuscire ad andare a raccogliere i cocomeri dentro al caldo infernale del campo, alle dipendenze ringhiose di mio zio adottivo. Ma questo lo so soltanto oggi, prima, allora, tutto era fluido e vero. Pure Mariella. </span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Così oggi mi ritrovo a fare questo lavoro che non tutti capiscono fino in fondo. Alcuni lo fanno facendo i cattivi, con atteggiamenti un po’ da delinquenti, oppure stanno sulla difensiva tutti i santi giorni. Perché è un lavoro duro tra persone imprevedibili, problematiche e a volte aggressive. A me basta sorridere un po’ alle persone che incontro nelle stanze o nei corridoi, poi bere caffè alla macchinetta con Giovanna, e ogni tanto chiacchierare con il professore d’italiano in pensione. Aspettare il ventisette per pagare l’affitto e la rata della macchina. Il resto del tempo, quello che mi avanza dalla clinica “Quiete serena”, lo impiego a leggere tutto quello che c’è da leggere sugli anni settanta in Italia. Qualche volta, quando si tratta di musica e movimenti giovanili, mi sposto anche verso le cose estere con la lettura. Ho una cantina piena piena di riviste e libri, dischi e articoli ingialliti. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ogni tanto vedo Giovanna, quando non deve assistere sua zia malata, e allora andiamo al cinema e poi scopiamo a casa mia. Non succede nulla d’importante prima né dopo averlo fatto, ma durante stiamo da dio. Siamo tutti e due single. Lei, a dire il vero, ha un altro amante: occasionalmente la passa a trovare un camionista del suo paese d’origine. Stanno insieme una notte. Poi lui la saluta con le lacrime agli occhi, lasciandole tra le mani un pacco di biscotti al cacao fatti dal forno del paese d’origine. Poi seguono settimane di silenzio. Nel frattempo lei viene al cinema con me. Ci sono dei periodi che non la voglio vedere. In quei giorni voglio solo pensare al passato, agli anni settanta. Vedo solo film dell’epoca e, se fosse possibile, uscirei solo con donne degli anni settanta. Dicono che sono un po’ monotono. In realtà lo dice solo Giovanna, che per me equivale a tante persone, perché ho pochissimi amici. Un tempo ne avevo a bizzeffe, e facevo con loro un sacco di cazzate. Un giorno poi ognuno di noi ha trovato il lavoro e allora ci siamo scordati di fare cazzate. A dire il vero all’inizio, durante qualche sabato sera, le facevamo lo stesso le cazzate, ma non erano più le cazzate di una volta. Quando non penso agli anni settanta, penso ai pazienti che vedo tutti i giorni. Molti di loro hanno vissuto il meglio della loro vita proprio in quegli anni, e quindi gli faccio le domande di questo genere: “avvertivi che stava cambiando tutto in quegli anni?”. Spesso mi ridono in faccia; qualcuno tenta di abbozzare un discorso articolato ma non ce la fanno, i farmaci vincono sulla loro lucidità, e alla loro memoria restano frasi mozzate che sanno di poco. Solo il professore parla in maniera impeccabile, fino a farmi vere e proprie lezioni. Ogni tanto si ferma su qualche autore o fatto anche per più giorni, che sono costretto a prendere appunti. In cambio vuole un po’ di vino rosso di sottobanco. Quando beve racconta pure meglio, e io ascolto con più piacere. Insomma, se non l’avete capito, io, una volta che faccio quello che mi chiede il responsabile della clinica, assistere e imbottire di psicofarmaci i pazienti, poi non mi resta che chiacchierare con alcuni di loro. Un giorno il professore ha sforato negli anni ottanta e l’ho dovuto bloccare, stava diventando irritante in quell’uscio di anni opulenti e chiassosi di niente. Così, dopo che l’ho minacciato di non dargli il Chianti già comprato, è ripartito dalla battaglia per il divorzio senza fare una piega.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Giovanna non vuole che le dica frasi di circostanza dopo che abbiamo scopato. Dice che deve sentire </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">i suoni.</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Non oso chiederle cosa siano i suoni, poiché lei non osa chiedermi perché mi sono accanito tanto con gli anni settanta. È un patto. A noi piace stare ognuno nelle proprie cose. Poi un giorno tutto finirà, e ognuno di noi dichiarerà tregua al mondo e farà qualcosa di meglio. Oggi ancora non è così, poiché non è ancora arrivato il momento giusto per fare di meglio.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sulla panchina</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sbuffo il fumo della sigaretta che mi ha lasciato Tonino a fine turno. Nel farlo, mentre vedo questi pini giganteschi davanti ai miei occhi, penso al viale di platani che mi conduceva a scuola da piccolo. E quegli alberi erano i miei baobab. Penso a mia madre che mi accompagnava con quell’aria sognante. Assente, a volte. Io ero contento e mi divertivo a scivolare ai lati dei gradini sul liscio di marmo levigato da mille sederi come i miei, o a scambiare le figurine con i compagni, poco prima che la campanella scolastica anticipasse i rintocchi del campanile comunale. La sfida a questo punto era tra il bidello e il messo comunale, quest’ultimo più statale dell’altro nell'essere calmo di burocrazia.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tonino quando ha finito di sbrigare con le terapie e i vari giri nei reparti per verificare se ce ne stiamo tutti tranquilli, spesso gli rimane un po’ di libertà che spende ad ascoltarmi. Siccome sono stato professore d’italiano, e appassionato di storia contemporanea, lui vuole sapere da me quello che è successo </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">davvero</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> negli anni settanta, soprattutto in Italia. Dice che in quegli anni lì, terribili e creativi, si è trasformato tutto. Poi mi suggerisce che bisogna analizzare a fondo tutte le questioni che sono state affrontate in quegli anni di fermenti e cambiamenti sociali epocali. Un po’ credo che abbia ragione, e così ci mettiamo a fare queste chiacchierate storiche con l’intento di capirci qualcosa in più entrambi. A me piace farlo, mi tiene vivo dentro questo pre-obitorio fatto di zombie coi camici e sciroccati vestiti malissimo. Anche se ci sono dentro anch’io in questa moltitudine umana barcollante di anime che ancora cercano qualcosa, tra gli infiniti viali e i bui corridoi, ma io almeno la mattina mi scelgo la camicia da mettere.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Tonino mi chiama sempre professore, e questo mi lusinga un po’. L’ho fatto per dieci anni in una scuola privata, e fu un’occasione d’oro dopo altri dieci di gavetta tra i mille istituti della città, e doposcuola vari. Così un giorno a un convegno sulla “Didattica come strumento di emancipazione”, conosco Piero, il direttore della scuola “Socrate”, e facciamo una bella chiacchierata, sull’importanza degli studi per trasformare la propria vita in meglio. La chiacchierata è durata un intero pomeriggio al tavolino del chioschetto di viale Ippocrate. A settembre stavo già nel suo istituto a insegnare Italiano e Storia a ragazzetti un po’ viziati, un po’ ambiziosi, un po’ coglioni. Anzi, a dire il vero, ambiziosi lo erano soprattutto i loro genitori poiché credevano, iscrivendoli da noi, che poi avrebbero disegnato un percorso scolastico su misura per i loro figli d’allevamento. Illusi anche loro.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tonino non si stanca mai di ascoltarmi e a volte resta anche oltre il proprio turno di lavoro, e questo accade quando c’è ancora da discutere sull’argomento iniziato e che non si può rimandare al suo prossimo turno, poiché si spezzerebbe il filo. L’incanto. Affrontiamo scientificamente ogni segmento di quegli anni, perché vogliamo costruire un atlante per le nuove generazioni. Questo lo dice Tonino che pensa di ricavarne qualcosa da queste discussioni, lezioni direbbe lui, poiché crede sia importante approfondire la conoscenza dei fatti che hanno caratterizzato gli anni settanta, per riuscire ad orientare meglio nel mondo le nuove generazioni. Lui ci crede. Io invece, quando parlo con lui, passo il tempo nei migliori dei modi possibili qui dentro, e con una limonata fresca davanti in estate, o un orzo bollente d’inverno, è il massimo di quello che posso aspettarmi da questo posto. Allo spaccio-bar gestito dai pazienti le opzioni di acquisto sono poche. Io mi arrangio anche lì, tanto resistere per me significa soprattutto poter mettere tutti i giorni un vestito diverso, elegante, così da mantenere vivo lo stile nel tempo che mi rimane. A me è sempre piaciuto lo stile, pur dentro il peggio delle umane possibilità.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Esco poco dalla clinica. Anche se non ho limiti alle uscite, preferisco stare dentro. La mattina esco soltanto per comprare le sigarette, poi mangio una ciambella e bevo un caffè, mi leggo tutti i quotidiani del bar, e basta. Un tempo uscivo più spesso e anche per l’intera giornata, lo facevo anche per smaltire tutta l’inquietudine che producevano i miei tanti pensieri inquieti. Mi capitava di uscire in compagnia di Rosetta, un’assistente sociale che avevo conosciuto durante l’anno che aveva lavorato da noi. Con lei passavo giornate in giro con la sua auto a parlare e ridere di quello che eravamo stati. Si andava anche nei mercatini o nelle librerie. Qualche volta pure al cinema. Poi, scansato il pudore delle differenze di status, ci rotolavamo sul suo letto a due piazze. Lei viveva da sola e quel letto accoglieva pure qualche altro ragazzo occasionalmente. Così mi diceva. Non vedo più Rosetta dal giorno che mi ha raccontato cose troppo tristi sulla sua famiglia: non ce la facevo più, visto che con lei uscivo sicuro di trovare un’oasi femminile dopo le giornate vuote e maschili della clinica. Qualche anno fa mi ha scritto una bella lettera. Spiegava con delicatezza che forse è stato meglio così per noi due, cioè, dichiarava pure che con me è stata una cosa speciale, ma, a pensarci bene, sarebbe stato difficile proseguire. Si era fidanzata. Bastavano queste due parole ed io avrei capito lo stesso, invece, col gusto delle complicazioni, mi aveva fatto una disanima un po’ professionale e un po’ da ex fidanzata sulla nostra stramba relazione. Che poi non era così stabile, infatti nessuno di noi due pensava di essere fidanzato. Dopo di lei ho smesso di uscire in quel modo. Solo piccoli gesti quotidiani che mi aiutano a non smettere di conservare dignitose abitudini, soprattutto la mattina, prima che arrivi l’assistente con i suoi modi brutali a servirci la colazione e ribadirci rozzamente la nostra misera condizione. Io prendo solo i biscotti e m’incammino verso il bar.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ho avuto anche una moglie, certo. E pure due figli. Sono stato un discreto padre di famiglia, e un decente marito. Ma che fatica. Amavo mia moglie, e i suoi modi dolci e accoglienti. E le sue intuizioni fulminanti. Un po’ meno amavo le sue pretese di vedermi normale. Ogni volta che avevo una crisi, e ne avevo una ogni tre o quattro anni, mi diceva che la dovevo smettere di fare il ragazzino. Come se dipendesse da me, le suggerivo con quel tono di voce spietato e senza convinzione che tiravo fuori in quei momenti di crisi. Aveva ragione, ora lo so. All’epoca ero avvolto in una nebbia sentimentale che mi faceva sentire bene sempre nel torto, quindi nel giusto: osservavo la mia situazione dal punto di vista del fallito senza futuro che mi ricucivo addosso. Invece, m’impegnavo pure coi ragazzi a scuola, producendo anche buoni risultati. Ricordo che mi ero inventato un concorso per racconti brevi, rivolto ai ragazzi degli Istituti che gestivamo. Organizzavo con piacere ogni anno gite che per metà erano culturali e per l’altra metà puro divertimento. Per tutti. Vero pure che ogni tanto mi fissavo per certe situazioni ipocrite che si generavano nelle relazioni tra colleghi, ma durava solo qualche mese. E poi sfumava, questo almeno era come lo percepivo io. La scuola, con i suoi cicli di studi, mi dava la possibilità di cambiare ogni tanto le facce con cui avevo a che fare, colleghi inclusi. Avevo tre sedi, quindi avevo anche la possibilità di girarmele tutte e tre. Questo avveniva quando andavo in crisi, e uscirne significava cambiare aria. Devo ammettere che mi sono preso diversi periodi di aspettativa, oltre a riduzioni degli orari, e tante altre scappatoie per non scoppiare del tutto. Ma la mia ex moglie non sopportava più questo stato di cose. Voleva tranquillità esistenziale e serenità familiare. Mica aveva torto.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I miei figli chissà cosa pensano di me ora, dopo che per anni abbiamo condiviso casa e abitudini, fino alla loro adolescenza. Poi il crollo. La clinica. La separazione. Sto sragionando aspettando l’incontro con mia figlia, vorrei mettere in ordine il caos del mio passato, così per ripulire quei pensieri appiccicosi che da sempre mi perseguitano. Lo faccio sempre per esorcizzare il mio passato strambo, per sembrare migliore agli occhi di Giulia. No, è inutile far finta di essere normali, ché poi lei s’innervosisce quando lo percepisce. Ogni due o tre mesi passa a trovarmi. Mangiamo nella trattoria in collina, lontani dall’opprimente perimetro immenso della clinica. Parliamo un po’, o meglio, sono io che le faccio mille domande. Ricevo un paio di risposte lunghe, esaurienti ma articolate, in cui ci infila pure notizie della madre: le vanno bene le cose con Claudio. Ma di solito poi aggiunge frasi così: anche se secondo me la malinconia se la sta divorando in silenzio. Poi mi dà qualche informazione sul fratello che insegna a Mantova: vedessi come crescono le figlie. Mio figlio lo vedo solo a Natale e in estate, pochi giorni insieme per sconfiggere la paura dell’addio. Porta pure le figliolette, che oramai mi vedono solo come un nonno misterioso da temere cautamente.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Quando mancano pochi giorni dall’arrivo di mia figlia, comincio ad agitarmi già dal mattino. Parlo troppo, perdo un po’ quello stile riflessivo che mi crea una certa riverenza da parte degli altri qui dentro. In fondo questa calma artificiale, fatta di pasticche e riflessioni astratte con Tonino, mi fa stare bene ma, appena compare la realtà, la mia vecchia realtà che bussa al portone della clinica, allora mi tira fuori un’ansia urbana e passata, mai del tutto addomesticata.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Durante il primo anno in clinica non ho visto nessuno. Dico dei parenti o amici. Nessuno. Ero agitato e quando esageravo, magari urlando contro un altro paziente insolente o mi rifiutavo di prendere la terapia, gli infermieri mi sedavano nella maniera antica: botte. Lì per lì non soffrivo tanto, ché un po’ me le cercavo visto che per capricci esistenziali avevo mollato tutto per farmi condurre qua. Così, una ramanzina energica ci stava tutta, ammettevo in silenzio. Ma poi, nei giorni successivi, quando i lividi diventavano neri, cominciavo a intristirmi. Allora chiamavo mia moglie, allora ancora non eravamo separati, magari alle sei del mattino e le urlavo che era una stronza, per niente umana, una carogna. E lei rincarava la rabbia dicendomi che non avevo combinato nulla nella vita e ora era giusto che stessi lì. Lo pensavo anch’io che fosse giusto stare qui, visto che là non avevo combinato granché. Quello che mi faceva piangere, non al telefono, ma dopo nel corridoio della mensa, era sentirmi dire “e i ragazzi non te li faccio vedere perché sei pazzo”. Ecco, questo non me lo meritavo. Adoravo i miei figli, e non potevo sopportare la loro lontananza. Almeno all’epoca. Di fatto, tra insulti, botte, mie agitazioni, non ho visto nessuno per quasi un anno. Poi sono cambiato. Sono diventato un paziente modello, a detta del dottore. Mi ero adattato bene, come sempre nella mia vita. Quando si tratta di sopravvivenza tiro fuori una forza oscura e funzionale.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Domani arriva mia figlia. Spero mi porti il libro che le avevo chiesto. Tutto questo pensare mi ha stremato, nemmeno la discussione sullo statuto dei lavoratori con Tonino mi aveva procurato tanta fatica. Una fatica dolce, una stanchezza che sa di cose belle dentro i fatti brutti. Panna e puzza di ferro bruciato nello stesso istante che ti avvolgono e stordiscono un po’. Ho sonno. Vado a sdraiarmi sulla solita panchina accanto al vecchio pollaio. Oggi Tonino è di riposo, andrà al cinema con Giovanna. Dormo un po’, prima che arrivi l’ora della cena. Prima che i pensieri divorino il ricordo di certe faccine che mi faceva mia figlia piccola, al parco, davanti alla fontana con quegli schizzi improvvisi. Quanto era tenera Giulia davanti a quell’acqua gioiosa che s’infrangeva arresa al vetro della Nikon, poco prima dello scatto. Poco prima del crollo. Poco prima.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Ciao papà. Scusa il ritardo ma ‘sti treni sono sempre più lenti”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Non ti preoccupare. Vuoi un po’ d’acqua fresca?”</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Sì, grazie. Papà voglio farti subito una proposta: vieni a vivere a casa mia”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Ma stai scherzando? Vero?”</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“No, ci penso da tempo. Cosa resti a fare qui? Non sei più giovane. Starai da me. Tanto col lavoro che faccio a casa ci sto solo la notte e un po’ la mattina. Faremo colazione insieme. Poi le giornate le passerai in giro per il paese. Al mercato del pesce. Oppure in casa a leggere i tuoi libri. No?”</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Giulia… a me non dispiacerebbe, ma come faccio… devo finire di raccontare la storia a Tonino”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Lo chiami al telefono, o lo puoi invitare di tanto in tanto a venire al paese. Papà, ora non puoi pensare a Tonino”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Non posso lasciarlo senza aver terminato la storia, lui ne ha bisogno”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Assurdo, assurdo. Ma come fai a pensare a queste cose? Boh!”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Sono contento che tu mi voglia vedere in giro per il paese, è bella come immagine, ci starei bene dentro. Però, capiscimi, sono quindici anni che sto qui e avrei bisogno di un po’ di tempo per disabituarmi. Mica posso uscire oggi all’improvviso. Dammi un po’ di tempo. Magari in autunno ti raggiungo”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“In autunno! In autunno, perché? Hai sempre bisogno di tempo per te. Vero? Alla fine hai usato sempre la maniera più comoda di prendere tempo davanti a una scelta. Che però non hai fatto mai, vero? Ora è Tonino con le sue ossessioni a farti rallentare. Non può Tonino condizionarti così. Papà, pensaci bene, è un’occasione per ripartire con più dignità. In fondo, fare colazione assieme è stata tra le cose più belle che abbiamo fatto in passato”.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Giulia come sempre mi ha scosso col suo temperamento pieno di rabbia e desiderio. Mi spaventa l’idea di diventare un peso. E poi quanto potrà durare? Qui poi non mi riprendono più, che ti credi. Qui ho il posto fisso, sto meglio degli statali, e Tonino si sarebbe fatto una risata a questa mia battutaccia. E pure Giulia. Nei prossimi giorni nella testa di Giulia sarò mischiato al rancore e alla speranza. Io vorrei mescolare saggezza e dolcezza per una notte intera e poi decidere. Ma non ce la faccio. Non decido da quindici anni. Dovrebbero farmi un TSO al contrario. Un’ambulanza a sirene spiegate che mi sbatta dentro casa di mia figlia. Con le comari fuori a bisbigliare sbigottite. E poi? Niente, mi sa che finirò di raccontare a Tonino gli anni settanta. Dopo, nei giorni seguenti, scriverò una cosa carina e significativa a tutte le persone a cui voglio bene qui dentro; solo allora me ne starò ancora qualche giorno su quella panchina vicina al vecchio pollaio a decidere sul da farsi: alle cuffie avrò a tutto volume le canzoni di Modugno a sostenermi per l’impresa. E' il massimo che io possa fare per te. Credimi.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al mare</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Alla fine ci vado al mare. Il professore sono mesi che me lo chiede. Finora ho sempre messo la scusa del troppo lavoro o del cinemino insieme a Giovanna, ma in realtà ero preoccupato per Giulia. Non volevo disturbarli, ché sapevo della sua gelosia per il nostro parlare all’infinito, così non volevo intromettermi tra di loro. Il professore non sta benissimo, mica per la figlia, no, è che non riesce a riabituarsi alla vita in una casa normale. In clinica aveva le sue abitudini, aveva i tempi scanditi, aveva me. A me il professore manca tanto, eppure quando lo immagino accanto alla figlia sono davvero contento per la scelta che ha fatto: la sua sensibilità se lo merita. Giulia è stata coraggiosa a invitarlo a vivere con lei, nonostante la sua infelicità amorosa che la fa vivere a metà. In fondo bastano due ore di viaggio e sono da loro. Questo treno mi fa pensare a tanti altri viaggi fatti da piccolo, ché mio padre quando è scappato di casa, dopo che ha massacrato la vita a mia madre nei dieci anni di matrimonio, si stabilì a Civitavecchia e io e mia sorella una domenica al mese ci toccava raggiungerlo per pranzare con lui. Pranzi in trattorie unte già all’ingresso. Si stava in silenzio. Le poche parole erano rotte da altre parole che bloccavano ogni emozione. Questo me l’ha scritto mia sorella anni dopo, perché lei ha saputo uscirne meglio di me da quel periodo, laureandosi in filosofia, e scappando in America. Questo treno invece è allegro perché mi sta portando dal mio amico professore. Queste cose brutte della mia infanzia non gliel’ho mai raccontate, forse un giorno lo farò, se cominciamo a vederci più spesso prima o poi ci scappa che gli parli anche di queste cose. Ma ho paura, che tutto finisca, poiché per lui oramai sono quello degli anni settanta, ma questo lo penso io, che alla mia età ho ancora tanto paura del giudizio degli altri. Devo riuscire a usare parole che sanno di vita mia alle persone a cui voglio bene. In questi mesi abbiamo provato a scriverci messaggi, ma non era la stessa cosa: dovevo sentire la sua voce, i suoi silenzi tra un periodo e l’altro. Comunque la sua voce telefonica non mi bastava lo stesso. A dire il vero una volta ci siamo pure visti, ma Giulia non lo sa. Una sera si è presentato in clinica, e meno male che mi aveva chiamato poco prima di citofonare in guardiania. Niente, voleva rientrare. Era furibondo con la figlia. Diceva che lo stava obbligando a fare cose per lui faticose, e certe volte anche ricattandolo: voleva farlo cambiare. Da anni non lo sentivo parlare così, mi stavo preoccupando. Conoscendolo, l’ho lasciato sfogare senza intromettermi, mentre ce ne stavamo all’ombra davanti al cancello di ferro verde al di là della clinica. Così mi ha raccontato che Giulia gli aveva imposto di uscire almeno un’oretta al giorno, perché gli ripeteva che non poteva stare tutto il giorno sopra il terrazzino a guardare sempre quello spicchio di mare. Mentre diceva spicchio di mare la voce gli era ridiventata delicata, e io lo so che in quel momento i suoi occhi stavano davvero riguardando quello spicchio di mare che si era depositato in fondo alle sue pupille. Alla fine dello sfogo gli ho detto di aspettarmi nella mia auto, poiché finivo il turno di lì a poco. Il professore, dopo che gli ho dato l’antidepressivo, ha cominciato a tirare fuori i veri motivi che l’avevano spinto a prendere il primo treno e scappare fino alla clinica. Sì, era contento di vedere tutti i giorni la figlia, di prepararle gli spaghetti alle vongole, di rifarle il letto, ma non reggeva più tutta quella normalità improvvisa. E poi ogni tanto scattava contro di lei, tirando fuori un tono di voce che gli faceva schifo e che somigliava a quello che usava contro la ex moglie, quando deliravano a tavola, distruggendosi tutto il tempo che passavano insieme con parole orrende. Dice che una volta gli era sembrato di sentire proprio la voce della ex moglie, mentre ascoltava un rimprovero di Giulia. Me lo raccontava singhiozzando, e anche io non reggevo più quella situazione nella la mia auto, in cui di solito stavo silenzioso con intorno solo sporco di scontrini e briciole di merendine, e canzoni. Ci siamo fermati nello spiazzo davanti al bar che ha i cornetti buoni. Appena ho messo il freno a mano l’ho abbracciato come non abbracciavo nessuno da secoli. E lui ha cominciato a piangere proprio bene, quasi dieci minuti di pianti stretti stretti ci siamo fatti. La gente che passava rideva, sghignazzava, e facevano certe facce che mi spingevano ad abbracciare ancora più forte il professore. Nel pianto mi ha detto che vuole una vita normale, che vuole fare il padre, ma che ha paura di fare ancora cazzate imperdonabili. Ché io normale non lo sono più, ripeteva singhiozzante dopo che si è calmato un po’. Sussurrava e piangeva, e noi non avevamo il coraggio di guardarci negli occhi, eppure non ci vergognavamo di quelle parole che rimbalzano dolci e dure nell’auto appannata in quello spiazzo pieno di via vai di gente che di notte sembra più a proprio agio. Una volta finite le lacrime siamo usciti dall’auto e ci siamo lasciati condurre dalle luci colorate e intermittenti della sala slot verso l’ingresso del bar. Ci siamo mangiati tre cornetti con la crema a testa. Poi l’ho accompagnato alla stazione e per un pelo ha preso l’ultimo treno. Prima di salutarci mi ha chiesto di promettergli che sarei andato a trovarlo. Così, eccomi qua. Resto un paio di giorni da loro. Il professore sta tutto contento e mi ha già fatto il programma: prima tappa il castello ex carcere militare, dove due criminali nazisti hanno “dimorato” negli anni settanta. Il professore dice che è un posto sconvolgente, a picco sul mare, ma quel mare i carcerati non potevano vederlo, tranne questi due nazistacci. Dice che dobbiamo riflettere sulla rimozione degli anni bui del fasci-nazismo, e che non basta indignarsi, ma bisogna raccontare bene quanto siano ancora insinuati come serpi in certe teste quei sentimenti folli e maligni che ci hanno fatto vivere anni tremendi, poco più di settanta anni fa. Così mi ha detto tutto allarmato al telefono. Ho cercato di abbassare la sua tensione, come faccio sempre con i pazienti ma stavolta avevo un’altra preoccupazione: volevo che davvero non si preoccupasse più del dovuto. Stavo in pensiero per lui.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questo treno mi fa pensare bene, con le parole giuste, senza l’ansia che mi fa mozzare le frasi e non pensare fino in fondo quello che mi gira nella testa. Pare poco, ma a uno come me, insicuro e nevrotico ma buono - come dice sempre mia sorella filosofa - la cosa che più desidero è parlare in maniera chiara almeno con le persone che stimo. Per farlo ci vogliono pensieri schietti, che arrivino come anguille dalle stanze della ragione e poi dirette fino al bordo della lingua umida. E il professore l’ha capito, e forse anche Giovanna. Senza sapere nulla delle anguille e tutto il groviglio con cui ho a che fare notte e giorno, soprattutto la notte. Da ragazzo ci soffrivo, e non riuscivo a combinare niente per questo mio modo di fare e di pensare. Quando ho conosciuto meglio il professore, quando da paziente stava diventando un’altra cosa, insomma, dopo la prima chiacchierata sui decreti attuativi nella scuola, ecco, in quel momento mi sono sentito davanti a un padre, a un professore, e a un amico: tutti in una unica persona, che aspettavo da quarant’anni. Forse è sempre stata la mia unica e vera aspirazione che covavo sin da bambino, quando me ne andavo da solo a conoscere posti nuovi con quella freschezza e gentilezza verso gli altri che col tempo ho perduto. Per questo sto tutto contento su questo treno lentissimo. So che il professore mi aspetta con i suoi nuovi racconti-lezioni che avrà già ripetuto a mente almeno cento volte, conoscendolo. Anche lui aspettava da sempre uno come me, magari avrebbe preferito incontrarmi al bar o in biblioteca, invece che in clinica, ma che cosa importa mi ripeto ogni volta che lo penso. Quando mi ha detto che con Giulia certe volte usa il vecchio tono che usato contro la moglie, mi ha fatto pensare che deve ricominciare ad andare da uno psichiatra anche lì al mare. È vero che prende regolarmente le pasticche, ma la brutta bestia della depressione fiuta da dove entrare, e scapocchia le giornate, e ti fa dire cose brutte, lanciare sedie, sbattere porte: cose di cui ti penti un attimo dopo. Ecco, dopo le cose belle che mi farà vedere, i racconti che mi sroloterà, mi farò coraggio e glielo dirò. Ho capito che certe persone meritano tutta la verità che abbiamo a nostra disposizione per loro.</span></div>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al porto </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Il professore sta parlando divertito dei vari personaggi del paese che ha prima fissato a lungo, e poi conosciuto in questi mesi. Tonino gli sta di fronte con gli occhi spalancati mentre mangia con gusto il mais tostato. Giulia con il bicchiere ancora pieno di crodino in mano li sta osservando con la pace negli occhi, coperti da tondi occhiali scuri. Intorno quel puzzo dolce del mare in prossimità dei porti. Di fronte un pescatore con pantaloni di almeno due taglie più grandi sistema all’infinito le cose nel suo gozzetto, pur di non abbandonare la sua Elena al ritmo dello sciabordio che la infastidirà tutta la notte: tra un po’ stringerà la fune all'attracco e si avvierà sollevato e affamato verso casa. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tornando ai tre al bar, c’è Tonino che ha chiesto altro mais, e continua a chiedere approfondimenti per ogni dettaglio che il professore, così dettagliato di sfumature nel raccontare, ha lasciato cadere passando troppo in fretta a un altro episodio. Poi ridono, e ricordano aneddoti della clinica e li mischiano con quelli della loro giovinezza, e bevono i campari, e si sfiorano di parole che solo loro due ne conoscono il significato più profondo: un codice animalesco che fiuta e svela il sentimento originario che sta nel fondo dei loro racconti. Giulia ogni tanto sorride e lascia scorrere questo momento che non avrà eguali nelle loro storie. In questo tempo ciascuno sta trattenendo il peggio di sé per soddisfare silenziosamente il piacere dell’altro. Un miracolo che va lasciato intatto, pensa Giulia, che pensa anche di come lei e Maria in due minuti di parole avrebbero disvelato molte più cose che suo padre e Tonino in due anni. Eppure stavolta non ha voglia di riscattare la sua intelligenza da femmina, e non ha nemmeno voglia di sbatterla in faccia alla sua anima. Come fa di solito per consolarsi davanti a una realtà tonta e dura che le strapazza la mente. Questa volta annusa tutto il puzzo del porto pensando di non poter vivere più senza il gusto di fissare sin dentro le ossa le persone che le piacciono, le stesse a volte che spendono parole buone e sguardi acuti per la sua storia, che non è ancora finita.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ora rilegge nella mente, come ha fatto mille volte in questo ultimo anno, una lettera che scrisse tempo fa al padre ma che non ha mai avuto il coraggio di spedirgli.</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Caro papà, </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ti scrivo dalla cameretta dove sono stata bambina, ragazza, tua figlia. Sì, perché da un certo punto in poi non lo sono stata più, e una volta ho pure detto a un ragazzo che non ti avevo mai conosciuto. E quello per sei mesi ha visto tua moglie come una ragazza madre. Mi sono vergognata di questo, ma non di certo durante quel periodo pieno di rabbia e di odio per il mondo ottuso che dominava e annientava quella mia giovinezza, appena fuori da quella finestra. Ho passato anni nascosta in quella cameretta, dove nascondevo anche quei pensieri tremendi di scomparire. Una notte era già tutto pronto per farlo. Poi una pagina di libro, l’aria fresca alla finestra e l’aver visto il mio fratellino dormire abbracciato al suo amato gatto, mi hanno fatto esplodere in un pianto che ha svegliato tutto il vicinato. Sono fatta per vivere fino alla fine, con l’idea che il meglio non sia un Principe azzurro, ma che sia una possibilità di cambiare una convinzione ottusa, e ripartire da un altro punto, da un altro posto. Adesso lo so che questo mio pensare un po’ ottimista e un po’ disperato è tutto quello che mi hai trasmesso tu negli anni. È vero che ho l’affetto saldo di mamma e di mio fratello, ma tutto quello che vivo fuori da questa casa lo vivo con te negli occhi, che mi fai sbattere ai muri, e mi fai piangere senza motivo, e mi fai amare per un sorriso imprevisto. Non te lo ammetterò mai. Eppure è così. Ti ho sempre cazziato per le tue ossessioni e manie, per i tuoi legami ossessivi per le persone amate, che si sgonfiano poi al cambio di stagione, fino a farti rimanere solo. No, non ho più voglia di fare la figlia che dà lezioni al padre scombinato. Resterai scombinato per sempre papà, anche nei miei pensieri, però per me sarà soltanto avere un papà scombinato insieme a un papà e basta. Ho deciso di accettare questa storia che ci lega e che in passato ci ha strangolato e che probabilmente ci farà litigare altre mille volte. Non importa, qui al mare ho imparato anch’io a fissare oltre quel qualcosa che non è un orizzonte, un’isola e nemmeno una bella immagine remota della mente: non è niente, solo una tregua che sa di sale e aria. Papà, domani ti insegno come si fa. </span></div>
<br /><br /><br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-13580853623674232992019-10-13T13:22:00.000+02:002019-10-13T13:22:22.196+02:00Svegliami a mezzanotte <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-d25047ca-7fff-0e38-5a40-bbb861e7b495" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Ho letto un libro. In poche ore l'ho finito. Non è la prima volta, ma stavolta avrei voluto continuare a leggere per ore questa storia, Svegliami a mezzanotte, di Fuani Marino, poiché credo sia una storia interrotta. Come solo le più belle storie sanno essere. Una intensa e fragile storia scritta senza impressionare, se non attraverso i fatti e i pensieri che emergono limpidi nel libro. </span></div>
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-d25047ca-7fff-0e38-5a40-bbb861e7b495" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA2J-EwH-jRV9wXyeySKQypcyfPuzIN4zTmek8210uJQ8VDMMoa2lN_i9n0a7yHJ7FTlyvlyehK7Xs7AcAZhX9t2m3kRTvCV9eeinjI7Hr6W_0n07lX-mFOwtQliIcyLRz6tnMwTcp/s1600/IMG_20191012_173947.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA2J-EwH-jRV9wXyeySKQypcyfPuzIN4zTmek8210uJQ8VDMMoa2lN_i9n0a7yHJ7FTlyvlyehK7Xs7AcAZhX9t2m3kRTvCV9eeinjI7Hr6W_0n07lX-mFOwtQliIcyLRz6tnMwTcp/s320/IMG_20191012_173947.jpg" width="240" /></a></div>
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-d25047ca-7fff-0e38-5a40-bbb861e7b495" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sulle questioni letterarie non so scrivere, lo so, epperò caspita ho letto centinaia di libri contemporanei, e tra i primi libri letti annovero niente di meno che Meno di zero. Insomma, seppure ancora non mi sono chiare questioni grammaticali della lingua italiana, di certi libri so riconoscere la qualità attraverso lo stile. Anche per delle piccole profonde verità, scritte come si deve, impronunciabili altrove. Ecco la mia letteratura preferita: una bella discrasia tra le pagine e la mia testa. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Un tempo scrivevo sul mio blog certe specie di recensioni fulminee e "de core", che molti apprezzavano, inclusi gli autori stessi. Quel tempo è finito, e i detriti dolci che sono arrivati fino ad oggi, in una giornata di mal di schiena e resoconti, mi spingono a ritornare sul blog per scrivere: la lettura di Svegliami a mezzanotte ha smosso un nervo che non vedeva l'ora di essere smosso: il nervo grezzo della mia storia.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Insomma, ho recitato la parte del diverso, di quello con una storia un po' stramba, cercandomi un lavoro che potesse dissimulare e ammettere tale storia, senza dire fino in fondo qual è il fine vero di questa commedia: raccontare il mio indicibile, con sintassi accettabile. Tranquilli, parenti e amici, niente che non sappiate già, ma raccontato un po' meglio.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Non mi piace svelare parti del libro, preferisco fare incuriosire il temerario lettore. Nel caso di Svegliami a mezzanotte, mi permetto solo di citare il brano del libro in cui l'autrice ammette, non prima di seminare dubbi, che si tratta soprattutto di un libro politico. Concordo, ma rilancio quello che ho percepito io: c'è pure tanta poesia, attraverso emozioni trattenute solo per aumentare la potenza del libro. Però chi legge i contemporanei dovrebbe saper fiutare il sentimento sospeso, e può prendere quelle parole e vederne meglio le venature, le punte e intuire da dove arrivi la linfa che l'ha generate. Fino ad arrivare alla radice più misteriosa: che non svela l'albero magari, ma una vita, una storia, forse sì.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 12pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Per questo mi viene voglia di leggere altre mille pagine di questa storia, oppure aspettare paziente il prossimo libro di Fuano Marino. </span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-65136719613491759592019-09-23T16:42:00.000+02:002019-09-23T20:53:42.357+02:00Tutto è cominciato<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-31b5868f-7fff-2186-4259-dc242d8902e2" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Questo è come se fosse un comunicato social per le persone che sanno che sto facendo un lavoro, e invece ne faccio un altro. Un esperimento tra la vita cerebrale e la realtà. Un gioco, serio.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Tutto è cominciato la notte di San Lorenzo. Si festeggiava con gli amici alla casetta, si, Lorenzo nostro stava a Berlino e ci sembrava strano, ma a me e mia moglie piace pure la malinconia che soffice passa dal vino e si tuffa in chiacchiere allegre di passato e cieli aperti. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Ad un certo punto E. mi chiede: allora questo nuovo lavoro? Io rispondo in maniera vaga, come è vago e ignoto il cielo stellato-soffitto che sta sopra le nostre teste, i nostri bicchieri, i nostri pensieri intimi. Faccio cadere il discorso mentre E. cade dalla sedia, e ridiamo di sguardi e di gola. Ne approfitto e distraggo i commensali raccontando di fatti comici accaduti a E., a me, negli anni. Anche di potature di alberi, di vacanze da fare, poi parliamo. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Quando vanno tutti via, resto sull'amaca un po' ubriaco, un po' così. All'improvviso sento scendere un'aria gelata nella testa. Mi vedo lontano dalla famiglia per il lavoro, precipito in un buco nero e urlo e a furia di giravolte non mi fermo più: resto bloccato mentre giro nel vortice e non riesco a toccare più mia moglie, i miei figli. Me ne vado a dormire, e un po' passa.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> I primi di settembre conosco i miei nuovi colleghi, la sede di lavoro, il reale stipendio che avrei percepito, e penso no, non mi convince. Passo tre giorni attorcigliato a pensieri e visioni di me come sarei diventato, poi mi fermo, ne parlo ad alcuni amici, quei pochi che in questi anni mi hanno detto negli occhi certe cose ignote pure a me. Senza confessargli il mio intento: li faccio parlare, li ascolto. Poi mi mangio a morsi l'orgoglio e dico no, non vado. In quei tre giorni tengo all'oscuro mia moglie e i miei figli, percependo ancora quella paura del buco nero di giravolte bloccanti: stavo in bilico e volevo vederli stabili, almeno loro. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Ho pure un battibecco telefonico con colui che mi aveva scelto per fare il coordinatore, a cui, con un decrescere dalla rabbia sindacale alla umana necessità di lavorare dignitosamente, comunico che non accetto l'incarico a partita Iva con una mansione da dipendente. Perché, alla fine, sarebbe stato un incarico di operatore-referente, caro mio estimatore che volevi farmi "un regalo".</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Il mio vero, mastodontico problema era di essere rimasto l'ultimo del mio corso di laurea a non fare ancora il coordinatore. Il vero risorgere è stato capire che io non ho mai davvero avuto il coraggio di fare carriera nella giungla delle cooperative sociali, nel terzo settore in generale. Forse, neanche in altri ambienti lavorativi: voglio solo vivere, scrivere e amare i tic degli altri. Stare vicino ai miei figli, mia moglie. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sono ripartito dalla casella di partenza e, come nel gioco dell'oca, ora faccio l'assistente del Sostegno scolastico, e se il bidello mi chiede di andargli a comprare le marlboro io mi sento come dentro a un racconto della Parrella, mica un ragazzo di bottega. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Potrei scrivere un saggio sulle reali condizioni di lavoro dei lavoratori delle cooperative sociali, del terzo settore in generale, tante ne ho viste e subite in quel mondo. Ma, come dice A., sarebbe meglio che cominciassi seriamente a raccontare le più avvincenti situazioni comiche, inverosimili e poetiche che ho vissuto anche in quel mondo: trasformarle in racconti, farci frittate con la mia realtà. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Tanto gli altri stanno nei fatti propri, più impicciati di te, quindi, ricordati che sei quel minuscolo punto polvere laggiù tra gli ulivi non lontano dal mare, sei lì che racconti storie comiche su una sedia di plastica bianca, sotto l'acacia piantata vent'anni prima, perché innamorato del viale di acacie vicino all'università. Sei là, tra gli amici in un agosto normalissimo. Eri là, oggi sei qua nella periferia romana senza mare, e sgonfia di aspettative. Osservo nonni che vanno a prendere i nipoti al nido e, una volta messi sul seggiolino, gli chiedono: ci canti tutti al mare? Sì, cantiamo. <a href="https://youtu.be/IN6Twf0p4kA">Cantiamo canzoni d'amore</a>.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Vedrai che andrà bene, abbraccia il futuro, ché ti appartiene.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
https://youtu.be/IN6Twf0p4kA<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">PS</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Leggo questa mio scritto e sembro ammantato di un'aura tragica, in verità la mia più intima aspirazione è fare ridere il prossimo, quindi, ridete insieme a me: a coglione, ancora non sei riuscito a fare il coordinatore! </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-9604755626522644782019-08-17T11:14:00.000+02:002019-08-18T10:32:16.949+02:00Viaggio di bozze<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-aa901309-7fff-893c-7bf1-eee35e87f5d2" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Il treno parte alle nove. Il sole è già alto sul golfo che visto dalla stazione assomiglia a un uncino: si vede una lunga nave rossa e nera entrare nel porto. Con la coda dell'occhio Gina la osserva, poiché col resto dello sguardo scruta l'uomo che l'ha sposata ieri mattina, intento a fissare il sedile verde vuoto di fronte: starà a pensa’ all'amore di stanotte?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> L'amore in quella stanzetta profumata di gigli e sudore, dopo lo sposalizio lunghissimo, dove i due sposini si sono liberati della muffa bigotta delle loro case di provenienza. </span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Andiamo a Roma, in viaggio di nozze. Ci ospita mio fratello, staremo qualche giorno da loro. Mi sembra ieri che a Roma andavo per l’Istituto per orfani, poco prima della guerra. Non sono triste ma neppure felice come dovrei, così come mi ha fatto immaginare Elide: vedrai quant'è bello fare l'amore senza pensieri tutti i giorni.</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Salvatore pare si scuota mentre Gina pensa tutta assorta nello scompartimento, tanto che i pensieri di Gina gli sembrano potenti e pare che i vicini li ascoltino per l'intensità e volume. Così si mette a fissarla: ad ascoltarla.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; text-align: left; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - A ch' stai a pensa’, Ginetta mia? </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; text-align: left; white-space: pre-wrap;">- Niente, a come staremo da mio fratello…</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> E le parte un sorrisetto coi denti nascosti che tradisce la paura di non sentirsi libera in quella casa piena di bambini piccoli, nella casa del fratello a Roma. Salvatore afferra la malizia e tenta una carezza ma gli esce di cartavetra, così si volta deluso e si mette a seguire tutto tonto la scia della nave laggiù nel golfo.</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Una volta in treno le gambe di Gina sono più disinvolte, e la sua nuova gonna nera di raso emette un suono conturbante che Salvatore coglie al volo provando a essere all'altezza, sfoderando uno sguardo che dovrebbe essere penetrante, ma che Gina interpreta solo torvo, e forse stronzo. </span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Perché m’ guard’ stuort’?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Ma che dici, Gina?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Sì, mi stai a guarda’ male.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - O madonna mia, ma sii scem’?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Vedi, pensi ch’ so’ scem’ e bast’.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Se dici 'ste cose si propri’ scem’.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - Tu pensi che so’ scemetta, vavatten’ va (non lo sopporto con 'sto naso a patata mentre mi fissa come fossi una gatta).</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> -Ma io ti voglio ben’ accussì (tanta bella ma tanta strana chesta femmn’, allor’ avev’ ragion’ Giosina).</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Salvatore non riesce a reagire, a tranquillizzarla, e oramai vede entrare solo montagne brulle dal finestrino. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Alla prima galleria le dà un bacio, col corpo resta sul suo sedile, torce il collo e teso cerca le sue labbra aperte e morbide. Le lampadine fioche dell'Accellerato aiutano la scena a sembrare più oscena, ma lo sfrecciare di un Espresso proveniente da Latina fa tremare le bocche: si scontrano i denti, e a Gina sale un pensiero freddo, di sgomento. </span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="font-family: arial; font-size: 11pt; text-align: left; white-space: pre-wrap;"> - E ch’ paur’, m’ parev’ ch’ veniss’ accuogl’</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> A questo punto Salvatore, che assorbe tutta la sensibilità di Gina nel suo corpo ossuto, le dà ragione: mamma mia ch' paur’! E rientrano ognuno nei propri pensieri tiepidi. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Gina mangia un biscotto. Salvatore si è addormentato e russa con la bocca aperta. Gina lo guarda come si guarda un cugino dopo pranzo e vorrebbe fuggire via, tornare a casa dalla madre. Lo lascia intendere il suo camminare avanti e indietro nel corridoio, dove si ritrova a urtare tutta agitata un uomo. Questo la prende per le braccia, per non farla cadere. Lei si lascia prendere e sente la propria debolezza, tenuta con forza dall'uomo, come una casa pericolante. Tutto bene, signorina? E lei gli sorride per quel signorina guadagnato sul campo. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Rientra nello scompartimento e bacia Salvatore ancora insonnolito. Approfittano di un’altra galleria, più lunga, più eccitante di quella di Fondi e così, una volta sbucati a Priverno, appaiono appagati e felici davanti a tutta quella pianura non più malarica, ma gravida di un futuro di benessere e kiwi. Pure il controllore se ne accorge, e gli sorride al meglio della sua burocratica presenza.</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> I pendolari in cravatta sulla banchina di Latina gli mettono buon umore, e fanno pensare a cappuccini giganti, schiumosi, presi prima di andarsi a conquistare il benessere negli uffici di Roma. Ora lo scompartimento è pieno, Gina e Salvatore appaiono ancora più piccoli e soli in quella moltitudine chiassosa, coi loro vestiti buoni s'immolano agli sguardi beffardi dei pendolari.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Continua...</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIrEzrioX_jZdO0RYnh1s-awzQr1G3KArwr6_Saq35PpI5v-dveBgEfERpML1keR6rb0JTXbLUhZ3eNQAWnEzrDZ5o3xog1E1442QnDWcZkbK_NbbgHtTJgKLzMRRfg850JjMDgAwo/s1600/IMG_20190817_111033.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIrEzrioX_jZdO0RYnh1s-awzQr1G3KArwr6_Saq35PpI5v-dveBgEfERpML1keR6rb0JTXbLUhZ3eNQAWnEzrDZ5o3xog1E1442QnDWcZkbK_NbbgHtTJgKLzMRRfg850JjMDgAwo/s320/IMG_20190817_111033.jpg" width="240" /></a></div>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-53127854792045447472019-07-11T14:24:00.003+02:002019-07-11T14:24:51.381+02:00Dietro le quinte<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-b1ca2713-7fff-95f5-f165-d60bb9db6c7a" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi sono appassionato al reportage sul premio Strega on the road di Claudia Durastanti. Quando lei e i cinque finalisti girano piazze e luoghi libreschi per farsi conoscere o fiutare dai lettori. Mi piacciono i dietro le quinte e se un giorno potessi scegliere un lavoro, sceglierei il dietro le quinte. Di qualsiasi lavoro. Basta che io stia dietro le quinte, o di fianco, e allora potrei diventare la persona più acuta e intelligente della terra, da quel punto li. Ma devo rimanere lì, e poi dovrebbe esserci qualcuno che mi riconosca, e quel qualcuno non deve essere un'amica, un figlio, no: deve essere il nuovo datore di lavoro. Insomma, il mio stare in disparte, al centro dello stare in disparte, potrebbe essere la svolta della mia magra vita lavorativa.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Scrivo da qui, in disparte, ma sperando come un cane di arrivare al centro dei tuoi occhi: i tuoi occhi profondi che sanno cogliere la mia unicità. Che scemo, alle soglie dei cinquanta che faccio lo scemo e prego una qualche musa che mi aiuti a coniugare IBAN e talento nell'epoca più stronza che mi potesse capitare.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicMrVhYq5zwfnYyzv_Y6vaG08SQTw7v9dzS3KCHNpHl0ZO000aljzNw1YxUU6N-eGqgdhs-HslObAWOAbEIItJGxMbQsbNWjkHdo6tKfjZIeEebYhtP4ZrXn7qNBrosRYaNzLomy1V/s1600/elefanti_01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="230" data-original-width="190" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicMrVhYq5zwfnYyzv_Y6vaG08SQTw7v9dzS3KCHNpHl0ZO000aljzNw1YxUU6N-eGqgdhs-HslObAWOAbEIItJGxMbQsbNWjkHdo6tKfjZIeEebYhtP4ZrXn7qNBrosRYaNzLomy1V/s1600/elefanti_01.jpg" /></a></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-46739280544654994752019-06-22T08:19:00.001+02:002019-06-22T08:19:55.891+02:00Voi due, e le origini delle mie emozioni<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-f941f566-7fff-96a5-3c1b-9ac21bc8998d" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Questa foto dei miei genitori sulla lambretta, parcheggiata davanti alla Vetreria con la sua alta ciminiera di mattoni rossi, rappresenta l'origine delle mie emozioni. Mio padre guidò solo una volta una Lambretta, prestatagli da mio zio, e ci andò a sbattere contro un lampione. Era il 1962 in questa foto, non c'ero ma vedo per la millesima volta quell'accenno d'abbraccio tra i due, con quel loro sguardo sgombro di preoccupazioni in quell'attimo d'abbraccio, e oramai mi sembra di essere io a scattare e fissare per sempre la foto in cui nacque la mia famiglia d'origine. Da lì a poco sarebbe nato mio fratello. Intuendo quei loro pensieri densi per un presente di pochi soldi e di fantasmi che si portano appresso dalle loro case di provenienza, oggi, giugno 2019, io li vedo più chiaramente e potrei fotografarli nuovamente. Invece me ne sto qui con gocce di sudore sulla fronte che sanno un po’ di quelle lontane preoccupazioni, di quel loro vivere provvisorio e intimo, di attese, senza minimamente immaginare la decadenza che improvvisa e scura sarebbe piombata in casa nostra negli anni successivi a quella foto. Oggi ho uno smartphone su cui scrivere di loro, ignari e lontani dalla mia potenza espressiva, dalla mia angoscia di non averli amati abbastanza una volta diventato adulto: perché vi siete fatti detestare nel momento in cui avevo più bisogno del vostro amore? Quell’amore lasciato mangiucchiare giorno dopo giorno dal vostro disagio di adulti somiglianti a ragazzini spersi in uno zoo d'inverno. Eravate due persone strambe, ma sapevate farmi ridere quando mi ritrovavo in mezzo a voi nel lettone, in certe serate paurose, in cui i racconti della cavalla zoppa o quelli di sfottò di certe persone dei vicoli, andavano a sostituire i libri della buonanotte. Eppure un po’ mi vergognavo quando vi incrociavo in via Indipendenza, quando camminavate separati da quei due metri di musi: di litigate lì lì per esplodere. Mi vergognavo anche quando tu, papà, mi venivi a vedere come se io fossi un attore teatrale da ammirare, mentre facevo soltanto il mio lavoro di cameriere. Però ero contento, e sentivo quell’amore semplice e buono che mi trasmettevi da quei tuoi occhi a forma di foglia che sapevano di gelato al limone, come quello che servivo svelto ai villeggianti. Sentivo quel sapore solo dopo che te ne eri andato da quella tua poltronissima, che ritornava balaustra arrugginita del lungomare.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nelle vie del borgo, l'altra sera, mentre passeggiavo coi miei figli, mi pareva di sentire ancora certe urla sgraziate di mia madre, e subito dopo i passi di mio padre che scappava da una litigata con lei e si rifugiava sulla scogliera di mare nero petrolio: nascosto dal gigantesco Faro verde. Poi la notte, dopo che si è addormentato il piccolo, mi è sembrato di sentirvi ancora una volta che dicevate cose disperanti su di me: ma che farà di buono? Non è capace a niente. Mentre stavate pugnalando il mio futuro, e forse per voi era solo uno sfogo di un giorno così e così, io vi ho visti piccoli piccoli coricati di sbieco su quel lettone a forma di culla. Da subito ho succhiato latte e realtà voracemente: volevo riscattare la vostra debolezza, e mi pare di non aver fatto altro in questi anni dopo di voi. Come coppia vi ho fatto esistere ancora solo nei miei pensieri gialli, come dentro queste mattinate calde e ferme nella mia casa romana. Come coppia non avete fatto storia, né troppi danni clamorosi, e se vengo ancora in questa villa delle sirene piena di mare e pini a pensare alle vostre umanissime anime perse, a prendere il caffè, e a scrivere di voi, beh, forse vuol dire che un po’ d'amore è rimasto incastrato tra le scapole e i miei disordinati, brizzolati capelli.</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpzR19J9KJZMJ5BIhoNvsjBL3O0RhHNOJBbjgQAzmc5LwkX712bBFuWO6ZIanUdu8o5IE38pndGrDJwT8_yEz2rvXvhG3ICfhtMbL4PtMBCtiZ_jVpxCrgchN7iQyJt9E9pekw3pTd/s1600/IMG_20190622_081522.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpzR19J9KJZMJ5BIhoNvsjBL3O0RhHNOJBbjgQAzmc5LwkX712bBFuWO6ZIanUdu8o5IE38pndGrDJwT8_yEz2rvXvhG3ICfhtMbL4PtMBCtiZ_jVpxCrgchN7iQyJt9E9pekw3pTd/s320/IMG_20190622_081522.jpg" width="240" /></a></span></div>
</div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-47958096769973973042019-06-07T14:39:00.002+02:002019-06-07T15:21:03.965+02:00Ritornare a Roma, da me<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-1bf9b146-7fff-061d-ddbe-e31e8f96ad63" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi ci ritroviamo alla stazione Centrale sfatti e contenti di rientrare a casa, seppure col rimpianto di aver visto troppo poco della Milano che desideravamo amare. Ho comprato un libro di Agnello Hornby a mia moglie, un manga al piccolo e La vita agra per me. Questo libro nelle prime pagine parlava di Brera, e io non lo sapevo. Gli scrittori mi spiano. Insomma, arriviamo a Tiburtina a trecento all’ora verso mezzanotte. L’indomani mi ritrovo al Tecnopolo dove ho un orto, mi siedo su di una panchina sgangherata e comincio a scrivere un resoconto di scuse e amore per i figli e mia moglie. Oggi vado al lavoro: un pic nic per il progetto che seguo a Fonte nuova, il mio secondo lavoro, quello che ci permette di non chiedere prestiti e ci fa andare a Milano fuori stagione. Amo lavorare per i figli. Sto su questa panchina con davanti lecci e aziende tecnologiche e penso che un po’ di city life c’è anche qui. Mi viene da piangere, invece rido e scrivo, trattengo le lacrime come trattengo la vergogna di non aver letto ancora il Don Chisciotte e altre decine di libri “fondamentali” per imparare a scrivere. Però Socrate ripetuto dal figlio forse vale una collana Adelphi, credetemi, ché in quel momento il mio ascolto vale cento volte il leggere solo per compiacere il mio ego velleitario pieno di pruriti invidiosi, arroganti, che ho avuto (anche) in questi anni di apprendistato disperato. Dolce quel suono di Conosci te stesso, e ora il mito della caverna somiglia a quel pergolato di glicine di donne e bimbi che in una domenica mattina scacciano stress e fantasmi di una settimana appena svangata. Vi osservo da quasta panchina e mi riempio di amore che in un giovedi mattina davanti alle colleghe proprio non riuscirei a provare: ferma tutto, e siediti nella pura riflessione accanto ai lecci di veltroniana memoria, in quartieri che non finiranno mai di costruire né di distruggere. Sbarazzarsi della retorica del “ce la puoi fare” se scrivi tutti i giorni: ho scritto tutti i giorni per anni, e sono crollato davanti a una analisi grammaticale ieri pomeriggio. No so studiare, e i miei figli non sanno studiare, mia moglie non sa studiare, eppure con un sguardo potremmo fare ottocchi la prefazione del Giovane Holden nella nuova edizione tiburtina. Non ce la faccio, mi arrendo e saluto con affetto e gratitudine l’amica scrittrice che mi ha voluto bene, e a cui ho dedicato uno sprezzante thread che ha riscosso un discreto successo da parte di indignati, e di padri di famiglia spaventati guerrieri come me.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ho scritto questo pezzo perché me l’ha chiesto Diamiladì, che non ho mai visto ma con cui comunico quasi più che con mia sorella. Questo è il mio tempo, questi i miei sprazzi di curiosità donati come si donano abbracci e parole in una stazione del nord che somiglia al mio soggiorno.</span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-58658453880211286932019-05-05T10:27:00.000+02:002019-06-07T07:40:06.878+02:00Non trascurate Milano!<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-509fac33-7fff-84ca-59a6-2d52914ea85b" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Siamo stati a Milano. Un viaggio agognato da anni: un giorno vi porterò nella città più vicina ai vostri sogni che ci sia. Più o meno questo il mantra che recitavo ai miei figli in ogni fine settimana, per contrastare la paura di morire di domenica a Roma, insoddisfatti. Parla per te, potrebbero dirmi.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A Milano ho fatto subito una cazzata alla romana: ho acquistato una Milano card inutile, condizionando tutta la mattinata; e meno male che siamo sbucati col treno direttamente al bosco verticale. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Col nostro trolley abbiamo passeggiato già dalle 8 di mattina per quei viali. Poi sdraiati su quelle panche ergonomiche sembravamo un urban family. Fa niente che una volta alzati, all’incrocio, stavamo già litigando per via del mio accanirmi con questa Milano card: attivala, e su, pa’. Per poi accorgersi che si doveva aspettare le 12 che aprisse il punto vendita in galleria, nonostante l'avessi attivata online. Arrivati in hotel a Lambrate, ci siamo fatti una doccia e poi di nuovo fuori: ci aspettava il corteo della Liberazione. La mia ansia di arrivare e non godere di tutto il soffice e benefico corteo antifascista, minava gli equilibri famigliari. Una volta al Duomo mi sono ritrovato a cantare Bella ciao a due metri da Fabio Fazio, mentre passava Gino Strada, e poco prima che mia moglie si facesse una foto con Pif e stringesse la mano alla Boldrini. Il massimo per un curioso mitomane come me. Intanto i figli zompavano tra la Mondadori e la Feltrinelli in cerca di manga, film e musica rap. Poi ci siamo ritrovati nella coda anarchica del corteo, e abbiamo ballato tutti e quattro anche appresso ai loro camioncini sgangherati di birra e passato.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi ai Navigli, dove il piccolo ha preso un tè da portare via presso un negozietto in un vicoletto zeppo di piante e silenzio. E il grande ha voluto (miracolo a Milano!) che li fotografassi sotto al megacartellone degli Avengers. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La sera rientriamo in hotel e io ho una crisi da troppo carico organizzativo. Gli rimprovero di non sapersi organizzare, che nei giorni precedenti glissavano ogni volta che parlavo di Milano. Un pazzo. Visto che non avevamo proprio cenato, e non riuscivo a stare in quella stanza, esco e affronto il deserto di Lambrate. Un egiziano con gli auricolari sussurra al suo amore lontano, un vecchietto rientra a casa con una spesa piccola piccola. Entro al Lidl e prendo la cena per i figli. Riempio disperato due buste e affronto il viale del ritorno. Le bottiglie sfondano le buste e sembrano dei cannoni contro eventuali cani randagi, Sudatissimo mi fermo al centro di una mega rotonda giardino e, davanti a un tavolo da ping pong di pietra, mi do uno schiaffetto. Parlo da solo, maledico “il modo in cui sono fatto…”, piagnucolo. L'egiziano è ancora lì a sbaciucchiarsi con la fortunata donna e guardandolo mi arriva un sollievo tra i polmoni e la giacca: sfranto e madido non mi faccio più pena perché anch'io amo, o so amare almeno. Rientro, do istruzioni su come prepararsi le cose nel cucinino comune dell'hotel e mi faccio una doccia. In quell’oretta in cui sono mancato avevo il cellulare spento. Il grande mi aveva scritto: torna pa’. Il piccolo aveva detto alla madre: ma lui è fatto così, con sorriso e saggezza che mi riempie di orgoglio e allegria in differita.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L'indomani una tregua di nuvole e umore ci fa visitare il castello Sforzesco e analizzare il perché di varie posture di San Sebastiano nei dipinti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Po</span><span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; white-space: pre-wrap;">i arrendersi alla non finita pietà Rondanini. La strana e bellissima coppia al bar di parco Sempione ci serve uno spritz, mentre il piccolo noleggia una bike sharing e il grande si avvia al Duomo per incontrare amici dell' instagram. Prendere al volo un tram e arrivare al cimitero monumentale. C'è Manzoni al centro, ma pure tanti Levi e milanesi lontanissimi e distribuiti come in una anagrafe capovolta in cui la burocrazia mette radici e racconta. Casa Manzoni era chiusa, optiamo per City Life, e ci facciamo inghiottire da metro-parco-centrocommerciale senza che arrivi mal di testa o mal di gente. Il piccolo prende l'ennesima bici e noi sogniamo di vivere in mezzo a quel tanto e silenzioso che ci è sempre mancato: le basi sicure per fare quello che ci va di fare, senza rompere al prossimo.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il grande sbuca alle Tre torri e ha le vertigini per tanta geometria rassicurante. Si decide di andare in via Paolo Sarpi, e così mangiamo da cinesi cinesi con l'ansia di disturbare con le nostre richieste. Poi prendiamo il tram nel verso sbagliato e salta l'uscita Navigli o Brera solo con i figli. Fa niente, oggi è stanchezza piena.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L'indomani vado col piccolo a Brera. Mentre lui punta al Mantegna per accorciare la distanza per lo Starbucks promesso, io rallento e penso che a volte vedere “tutte le opere” in un museo è da pazzi, perlomeno farlo di seguito. Non sarebbe meglio mettere un bar tra una stanza e l'altra? Dove rivedere in mente quelle opere, o su un libro, magari sorseggiando un caffè? Inutile, non ho più il coraggio di dimostrare di averle viste tutte, come in un pacman che dà status da intenditore. Siamo vecchi ormai, facciamo i bambini davanti all'arte, su.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Esco da Brera, il piccolo prende la …. e io da Google Maps scopro che là di fronte c’è la casa di Lalla Romano. Una vecchina sta entrando e chiedo se quel nome sul citofono corrisponde alla scrittrice. Mi fa, certo, abitava qui la Lalla, brava giornalista… Mi pareva di essere in un racconto, in una scena del romanzo italiano del Novecento. Ho preferito questo alla visita del suo museo, mi perdonerà Lalla Romano?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi abbiamo incontrato il grande e mia moglie. Si doveva andare a pranzo da un’amica d'infanzia di mia moglie, in campagna. La metro arriva anche lì, tagliando fiumi e campi verdissimi.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Milano in fondo non me l'aspettavo ancora più verde dell’ultima volta che l’ho vista. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Arrivati, e invece della cotoletta ci aspettava uno spaghetto alle vongole, per noi che crediamo nelle contaminazioni creative era un segnale preciso per le nostre vite.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 15pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Se volete continuo col viaggio di ritorno e le riflessioni e scuse del giorno dopo a Roma. Diciamo che questo era solo il primo atto...</span></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-10827788570706538422019-04-08T15:10:00.001+02:002019-04-10T14:59:40.752+02:00Simone c'est moi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-88280e0a-7fff-bbdc-37a2-be950e7fe596" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Mia madre non sa che lavoro faccio. Anzi, alla mia domanda dice: sparecchi i tavoli… Forse memore del mio primo lavoro: a 13 anni facevo il cameriere, ma ora ne ho 49. Certo, non l’aiuta il fatto che dai 13 ai 38 ho cambiato almeno una decina di lavori, però. Mia madre ha 82 anni e qualche problema diagnosticato male. Sa che lavoro fa mio fratello, e quello che fa mia sorella. Il mio no, non vuole ricordarlo. Mia madre è ultima di dieci figli. Rimasta orfana di padre a due anni, ha vissuto durante gli anni della guerra presso l'Istituto Divino amore. Io sono l’ultimo figlio, e da un certo periodo in poi mia madre ha sentito il bisogno di innestarmi la sua eredità genetica. Io non la voglio, chiaramente. In passato mi pareva brutto dirglielo, così avevo deciso di salvarla. L'altro giorno le ho chiesto di sforzarsi a ricordare il lavoro che faccio, poiché lo faccio da 11 anni in maniera continuativa. Ci ho provato. Al telefono. Ho perso.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mia madre ha una voce dolce al telefono, ma in certi giorni diventa dura, in altri ancora comica. Spesso non mi risponde per ripicca.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In questi giorni sono preda del mio passato di adolescente tempestoso, anche per via della questione Simone di Torre Maura. Ho risposto cercando di sdrammatizzare a un tweet sragionato della scrittrice Stancanelli, e ne sono uscito a pezzi. Lessi folgorato un suo libro ambientato a Roma anni fa. Ne scrissi, e Minimum fax pubblicò questa specie di mia recensione sul loro vecchio e che sito. lo consigliai quel libro, stressando gli amici.</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlRHeUAFVd0pjEdTdNNcZphwXmk3uG28qz_jjIp_adgQFOs8ryQX4pLuT1GaYd9rYMKooubmZcBfmgo09C92S4o7qE-cfl6RUe_pKpAK5fJR6kFijBGnvETqTKyFVAkI0cDLc2A3dq/s1600/IMG_20190406_085314.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlRHeUAFVd0pjEdTdNNcZphwXmk3uG28qz_jjIp_adgQFOs8ryQX4pLuT1GaYd9rYMKooubmZcBfmgo09C92S4o7qE-cfl6RUe_pKpAK5fJR6kFijBGnvETqTKyFVAkI0cDLc2A3dq/s320/IMG_20190406_085314.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> A causa del tweet in questione ho discusso in maniera snervante con una persona che è stata tra le più importanti conosciute negli ultimi anni, fino a litigarci, via whatsapp. La mia nervatura si è ingigantita </span><span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;">per non essere riuscito a farle capire che quel tweet feriva anche il Simone che era in me, anche mio figlio, e migliaia di famiglie che vivono un po’ spaesate e un po’ con struggente normalità nei quartiere peroferici di Roma Tra l’altro, lei sa quanto mi sono speso per diffondere Piccoli maestri nel mio quartiere. Tutto questo, sempre usando lo smartphone per comunicare con questa persona per me importante. Niente, la mia gentilezza l'aveva frullata insieme ai soliti troll.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Cosa c’entra con mia madre? ah, ora provo a spiegartelo. Il non riconoscimento della persona che sono diventato da parte di mia madre comincia a pesarmi, ora che non posso e non voglio più salvarla. Lo stesso vale per il sentirmi non valorizzato al lavoro, ma qui la responsabilità è anche mia, come dice un mio amico: resta un mistero che non hai ancora un incarico dirigenziale. (li ho rifiutati alcuni, altri me li hanno sottratti all'ultimo minuto...). </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi c’è la questione velleità che strangola la realtà. Da qualche anno ho un desiderio scemo di aderire a certi ambienti intellettuali, scrittori di narrativa, soprattutto. Ne ho bazzicato un po’ negli ultimi anni. E portavo dentro quelle presentazioni, o in quei locali dove consumavamo vino e bla bla bla, insomma, trascinavo appresso una persona che non sentivo simile a me, che non riusciva a far ridere, e non riusciva ad andare fino in fondo durante una discussione: un uomo di mezze velleità. Avevo paura, ero come il ragazzino che sono stato. A 49 anni, forse è troppo. Mea culpa, e tirram' innanz'.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.3800000000000001; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In auto mio figlio stamani mi fa: non ti devi sentire secondo a certi scrittori, devi insistere, scrivi, scrivi meglio. A quel punto volevo piangere, per come proteggiamo troppo i figli e i Simone vari, poiché nel frattempo loro si spaventano per le nostre debolezze social, e ci dicono: non ti sopporto quando ti fai schiacciare dal peso degli scrittori</span><span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;">, sono persone come te. Pure a me succede quando incontro dei rapper che adoro, ma sto migliorando. Così ha chiuso il discorso mio figlio, prima di entrare a scuola. Così chiudo questo pezzo uscito fuori senza paura di sembrare scemo. E pure scritto sempre da uno smartphone, durante la pausa caffè. No, non ci siamo ancora. Riprendi il telefono e magari fissa un incontro per chiarire. Oppure lascia cadere le nevrosi altrui dove piu gli aggrada: salvati</span><span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;"> tu. Ma soprattutto cerca di scrivere meglio: tutti i giorni una paginetta, come diceva Francesco Piccolo.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0sTbiu3q9Hx0_C4fXsD9lKGO_lTO1OaF07ELdSMpsDREwCUWhDiMwV5mdd40IWbpb5IxApRvrn1KHkQak-cCTSHvsv9i1LzfESMAYGmSa-cdunDeGJ4ARNDnH9XWEfCfr5Wg5CwsG/s1600/300px-Annibale_Carracci_-_The_Choice_of_Heracles_-_WGA4416.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="214" data-original-width="300" height="452" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh0sTbiu3q9Hx0_C4fXsD9lKGO_lTO1OaF07ELdSMpsDREwCUWhDiMwV5mdd40IWbpb5IxApRvrn1KHkQak-cCTSHvsv9i1LzfESMAYGmSa-cdunDeGJ4ARNDnH9XWEfCfr5Wg5CwsG/s640/300px-Annibale_Carracci_-_The_Choice_of_Heracles_-_WGA4416.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ercole al bivio, Annibale Carracci</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-91114532549004537062019-02-04T14:36:00.000+01:002019-02-05T07:36:49.034+01:00180 fumetti per Basaglia<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-dbafb1ff-7fff-ea28-0868-810f39e09e1f" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-dbafb1ff-7fff-ea28-0868-810f39e09e1f" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-910e516b-7fff-a6bb-a978-44756337e945" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Mi chiamo Bettina, e sono la figlia più piccola. Volevo bene a mamma e papà mentre mi stringevano le mani lungo il viale dei platani nelle domeniche in cui saltellavo in mezzo a loro. Ho vissuto un'infanzia colorata di Cicciobello, nascondino e quel fiutare famelica i discorsi dei grandi nei vicoli davanti al golfo. Hai degli occhi intelligenti, mi diceva zio Sandro. Però già a 12 anni il primo attacco di panico li ha fatti andare all'ingiù, e in certe buie serate non riuscivo a chiuderli: si riempivano di immagini paurose, di facce angosciate dei miei. In quei giorni ho ascoltato mio padre che parlava in camera con mia madre. Voglio fuggire, troppe cose nella testa, non riesco più a stare bene con voi. Quello che mi ha sconvolto è stato il suo tono spento, non una fuga appariva ma una resa. E mia madre invece di inveire o trattenerlo gli rispondeva con un tono altrettanto dimesso che forse sarebbe stato meglio per tutti. Mio padre non è mai scappato ma è morto di notte, vent'anni dopo questo episodio, senza cause accertate. L'indomani mia madre aveva ancora quel tono dimesso, da moribonda. Come se fosse morto vent'anni prima.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">All'improvviso in un pomeriggio gelido di marzo mia madre è salita veloce su un'auto verde: entrava in clinica. Io ho pianto per tutti i quindici giorni del ricovero. Poi ho smesso, e in un altro pomeriggio gelido ho scavalcato la ringhiera arrugginita del balconcino e sono fuggita con la corriera blu. Tremavo su quei sedili sfondati e imbrattati da altri ragazzi più espressivi di me. Ero eccitata dalla mia fuga ma agognavo di essere presa alla fermata successiva: un controllore, o mio padre che mi fermasse col suo ghigno buono. Invece mi sono ritrovata a vagare per settimane alla stazione Termini, sfiorando persone, sfiorando pericoli, mangiando tramezzini e pizza. Mi ha recuperato uno zio barbuto, in un pomeriggio di fine aprile. Un giorno a settimana passava da Termini per lavoro, e in uno di questi mi ha vista accovacciata su di una panchina di travertino. Non parlavo più, vagavo, e ogni tanto mi fermavo a piangere senza lacrimare. Dormivo dove recuperavo spazio, affetto: un corpo, una stanza o un angolo di via Giolitti differenza non faceva. Lui mi ha sorriso sul binario 14 e, parlandomi e ascoltandomi al ritmo di una canzone, alla fine, dopo sospiri e sorrisi, è riuscito a farmi scappare di bocca un grazie emesso coi denti. Faceva il neurologo all'ospedale di Formia e conosceva un giovane psichiatra di una comunità a Cassino, così abbiamo deciso che l'indomani mi avrebbe accompagnata da lui. Quella notte dormii da lui, nel suo studio, avevo come comodino i libri di Asimov e Salinger. Lessi alcune pagine senza paura di non capirci niente, come facevo da sempre coi libri. Mi addormentai sorridendo al buio.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al mattino viaggiamo sulla superstrada con la musica di Neil Young che rende quelle campagne ancora più verdi, meno deturpate e riesce pure a farci rimanere in silenzio senza imbarazzo. Arriviamo alla comunità che scopro essere un casale rosso, con intorno grano che cresce. All'ingresso, oltre il cancello, persone con fare lento che mi sorridono e scrutano come si fa coi bimbi silenziosi. Entriamo in uno studio passando da una veranda ricoperta di glicine, c’è una credenza verde di fronte alla finestra, un autoritratto di Ligabue alla parete dietro le sue spalle e tutto intorno libri impilati come colonne doriche. Lo psichiatra mi sorride sfoderando due occhi blu ascolto. Mi siedo e aspetto le sue parole di presentazione, poi parlo per un’oretta e alla fine scoppio a piangere con la faccia da stupida che allora detestavo. Il tempo di un silenzio pari a una sigaretta e ricomincio a parlare. Gli racconto di mia madre che non vedo da un mese, di mio fratello che dorme da solo nella nostra cameretta, e anche di papà che non potrà darmi la buonanotte col pizzicotto-solletico neanche stasera.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Alfredo, così si chiama lo psichiatra, mi invita a restare da loro qualche giorno. Me lo chiede mentre passeggiamo lungo un viale di rose gialle. Mi spiega che potrei fare dei colloqui con lui, che farei anche delle assemblee con gli altri della comunità, che potrei lavorare nella serra del vivaio, che potrei andarmene se non resisto, che dovrei prendere però anche qualche farmaco. Inoltre, che si farebbero delle gite in città, al mare, e avrei pure una camera dove potrei stare per conto mio. Ci fermiamo davanti a un laghetto pieno di pesci rossi, mi guarda, mi mette una mano sulla spalla, sorride un attimo e sprigiona tutto l'affetto della terra possibile in quell'attimo che cambierà per sempre la mia giovinezza: c'era nell'aria un profumo pungente di mandarino. Lo sento ancora quel profumo, anche in questa casa di città, al sesto piano, oggi, dopo trent'anni, mentre sono bloccata da un'oretta su questa tavola e non riesco a disegnare niente di buono: perché penso, piango e sorrido. Sorrido, piango e penso a come sono stata brava nel riuscire ad annuire accettando il suo suggerimento, vincendo l'orgoglio e la paura, fidandomi della faccia barbuta e sicura di mio zio. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Oggi devo disegnare questa scena ma non trovo i colori giusti, ché se penso a quelli di quel tempo erano scuri, invece oggi voglio vederli pastello. Non sarebbe il tono giusto. Voglio raccontare la verità che cambia colore, non la finzione che usa i colori</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Bettina quanto sei complicata. Disegna quello che hai nella testa oggi, che poi qualche colore di ieri ti viene fuori.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Alfredo tu mi vuoi troppo bene, mi stimoli ma stavolta sto davvero in crisi: se non azzecco il tono giusto in questa scena tutto il fumetto non ha senso…</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Fermati, non ne capisco di fumetti, ma so che la tua mente ha bisogno di tempo per esprimersi al meglio: non abbiamo fretta, prenditi il tempo che ti serve.”</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Facile per te, te ne esci sempre con la tua psicologia pronto soccorso. Ciao Alfredo. Ciao.”</span></div>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;"> Anche stavolta Alfredo ha ragione ma io gli faccio capire il contrario, sin da quel giorno davanti al laghetto. Con questo fumetto però è diverso, ché io sto in crisi davvero e l'ho capito da un principio di attacco di panico che ho tenuto a bada con Valeriana e respirazione profonda. Mi sono pure masturbata per resistergli. Ma sento che sta arrivando l'onda che spazzerà via la riva delle mie piccole conquiste di questi anni: una casetta, amici simpatici, viaggetti e la libertà di cazzeggiare in giro per la città quando mi va. Invece più avanti della linea della riva, dove la risacca non arriva, ci vedo ancora i miei genitori seduti con lo sguardo di due che non hanno capito niente delle loro vite. Io li fisso e mi paralizzo, e vedo le incapacità della dodicenne che ero tutte ancora da indossare. Non è cambiato nulla, e io mi spavento e svengo di insicurezze. Spesso in questi giorni arriva questo pensiero e non riesco a disegnare niente. Ma oggi provo a disegnarla e inserirla come un inciso, una ferita rossa dentro un fumetto ottimista che ha bisogno, per essere tale, di uno squarcio che assomigli a un incubo rosa passato.</span><br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Alfredo, scusa per prima… poi mi è uscita fuori la scena che mancava.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
Racconto di Rosa Speranza.<br />
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(Ogni tanto quando vado a trovare i miei al paese, passo a salutare Alfredo, gli educatori e tutti gli altri della comunità. Sto scrivendo una storia a fumetti sulla legge Basaglia, me l'ha chiesta il figlio di Alfredo, che si occupa del laboratorio di scrittura della comunità. Facciamo degli incontri mensili in cui i partecipanti, pazienti e operatori che, raccontando una loro esperienza, contribuiscono a formare le storie della comunità. A me hanno chiesto di racchiudere tutti questi racconti in un fumetto. Lo sto immaginando che possa partire da quel sorriso di Alfredo esploso in quell’attimo di un aprile di rose gialle e che magari possa passare dalle tante storie dei suoi pazienti e arrivando fino al sorriso sognante di Franco Basaglia. Quello che ha nella fotografia mentre osserva il paziente che se ne va in giro per la città da solo dentro un altro aprile. In realtà, in quella foto la sua faccia è in primo piano, e quel paziente che va in giro per la città non esiste. Forse sono io, o è Mattia o Teresa, i miei compagni d'avventura nel periodo della comunità. Chissà. Intanto vado incontro all'onda)</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZcL_eBc2b1Lw5uRRwNrTYzGBgu9S-4LkjqVd6jgbL0uwMh44NFlHkGHaKFp6wQ1wK5e4byvDdrQMKmiVGMyqLodBd50Q1GvycjMYDQSyk7fj3Lu9cin7sogvw80yiiOl0npq2xbyf/s1600/1basaglia-e1542047969528.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="399" data-original-width="650" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZcL_eBc2b1Lw5uRRwNrTYzGBgu9S-4LkjqVd6jgbL0uwMh44NFlHkGHaKFp6wQ1wK5e4byvDdrQMKmiVGMyqLodBd50Q1GvycjMYDQSyk7fj3Lu9cin7sogvw80yiiOl0npq2xbyf/s320/1basaglia-e1542047969528.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 14pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<br /></div>
</div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-41386208875501895412019-01-07T10:23:00.000+01:002019-01-07T10:23:22.228+01:00Ero scemo, ero bello<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-7cb0f404-7fff-4fdc-efdd-89f2cc101a20" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; background-color: transparent; color: black; font: 400 16px/22.08px Times New Roman; letter-spacing: normal; margin-bottom: 0px; margin-top: 0px; orphans: 2; text-align: justify; text-decoration: none; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 18.66px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> La stazione mi sembrava vecchissima, più dei miei genitori rimasti a letto mentre io salivo su quel treno puzzolente proveniente da Siracusa. Però c’era una bella luce di settembre e tantissimi taxi, bus, giapponesi e belle ragazze che mi parevano tutte spensierate, a differenza di quelle di Gaeta che parevano o contesse o sceme. Pure io però sembravo altezzoso e scemo, con la timidezza e la spocchia del diverso, all’epoca. Insomma, ora sto (stavo) qui a Santa Maria Novela e aspetto il taxi per la prima volta in vita mia, anzi, è il tassista che aspetta me: prego, dove deve andare? San Frediano, via di San Frediano numero sei. Salga, su.</span></div>
<div dir="ltr" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; background-color: transparent; color: black; font: 400 16px/22.08px Times New Roman; letter-spacing: normal; margin-bottom: 0px; margin-top: 0px; orphans: 2; text-align: justify; text-decoration: none; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 18.66px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il portone altissimo, la strada stretta, l’Arno a cento metri. Mi accoglie Marco, un inquilino vicino di letto: tre letti in una stanza che però fungeva anche da corridoio per un abbaino affittato ad altre due persone. Questo l’ho scoperto dopo una settimana, vedendo passare un tipo insonnolito verso mezzanotte. Marco mi prepara subito un caffè e mi fa tante di quelle domande, almeno quante ne ho ricevute negli ultimi due anni. Mi siedo, accavallo le gambe, respiro e rispondo a raffica per paura che la sua attenzione possa scemare all’improvviso. Invece mi ascolta e mi fa: andiamo, ti offro un caffè da Pascosky. Così mi ritrovo ad attraversare il ponte Santa Trinità per la prima volta accanto a un ragazzo più vecchio di me, con una faccia che mi ricorda Gaber, e un accento che fa scivolare le parole sull’ultima sillaba e con una camminata tipica da paese borbonico: mani in tasca a formare una protezione genitale da ogni avversità cittadina. Però è simpatico quando comincia a parlare di musica per accattivarsi la mia giovinezza. L’altro argomento è il suo passato da contestatore, un po’ rinnegato, e che sopravvive in un ascolto religioso di Guccini. Io lo osservo mentre parla con autorevolezza che gli ho donato all’istante, appena mi ha chiesto: che musica ascolti? L’altro argomento che poi ha ripreso quotidianamente erano le sue invenzioni pre-tecnologiche riguardo a un sistema di asciugatura delle lavatrici, era il ‘90, era l’anno della benzina verde!… Insomma, prima o poi avrebbe brevettato le sue scoperte e avrebbe campato un po’ di rendita, almeno così sembrava che sperasse, mentre mi raccontava i lati negativi del suo lavoro come decoratore. Lo osservavo come se sfogliassi un libro sugli effetti della migrazione interna in Italia nella generazione del dopo ‘68: ce la farò anch’io, vedrai mamma ce la farò anch’io, suggeriva la sua faccia immalinconita. Mi stava simpatico anche quando raccontava di una donna che aveva rincontrato dopo dieci anni e nel frattempo lei si era sposata, aveva una figlia, ma lo cercava e lo voleva con sé almeno una volta alla settimana.</span></div>
<div dir="ltr" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; background-color: transparent; color: black; font: 400 16px/22.08px Times New Roman; letter-spacing: normal; margin-bottom: 0px; margin-top: 0px; orphans: 2; text-align: justify; text-decoration: none; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 18.66px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Marco Abitava a Firenze già da dodici anni, io da dodici ore, eppure dai suoi racconti avevo recuperato tempo, soprattutto un tempo che mi era stato negato dal mio paese, da mia madre, dalla mia timidezza. Intendiamoci, avevo una libertà tale che un sessantottino si sognava, poiché io non professavo nessuna ideologia né appartenenza: ero soltanto solo al mondo. Fermati, non sto partendo col racconto tristissimo del ragazzino scappato di casa, no, si trattava di una solitudine intimissima: sapevo solo io quello che volevo realmente, gli altri erano spettatori dei miei slanci, delle mie fughe, delle mie stramberie maldestre, e poco più. Insomma, stavo qui a Firenze nel ‘90 in una casa per migranti post-fame degli anni cinquanta, e ci stavo per frequentare la Scuola di fotografia f/64 di Luciano Ricci. Avevo letto un suo annuncio su Fotografare, una rivista dell’epoca e, mentre sedevo svogliato in classe scrivevo sul diario: voglio andare a Firenze per studiare fotografia! E il mio amico di banco, con cui realizzavo vignette potentissime - lui disegnava io davo le idee - che facevano ridere da pisciarsi sotto pure al primo della classe. Insomma Amedeo mi dice, lasciando cadere la matita nervosamente sulla scalinatura: ma si scem’? E aveva un po’ ragione, poiché a marzo mi sono ritirato scemamente da scuola e a maggio stavo già a Firenze per conoscere Luciano Ricci. Era il primo viaggio che facevo da solo, e non avevo idea che profumo avesse, e neppure di dove sarei andato a dormire. Certamente non me lo chiedevo mentre addentavo una bistecca fiorentina in un ristorante con vista sul Duomo. Quando Ricci me lo ha chiesto, dopo che mi aveva fatto vedere la scuola, fatto conoscere gli allievi, e raccontato con tono sbrigativo lo scopo della scuola, io ho risposto: boh! Così mi sono ritrovato in una stanza a Figline Valdarno, dopo che ho cenato con una coppia che frequentava la scuola, anche se lui era essenzialmente un meccanico e lei una bella ragazza generosa, e che mi avevano offerto subito ospitalità appena hanno capito che quel mio boh! era frutto di una totale mia dipendenza dal mondo che mi passava davanti agli occhi. Questi due Rivera e Modotti nella Valdichiana mi hanno subito adottato per quella sera, anzi, fino al mattino, quando lei mi ha accompagnato alla stazione offrendomi pure la colazione. </span></div>
<div dir="ltr" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; background-color: transparent; color: black; font: 400 16px/22.08px Times New Roman; letter-spacing: normal; margin-bottom: 0px; margin-top: 0px; orphans: 2; text-align: justify; text-decoration: none; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 18.66px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Questa è una traccia della mia vecchia libertaria mente che nella pagina precedente avevo abbozzato male, e che riprenderò col prossimo racconto erotico.
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9yjn5pZkNpWkxJVtty6SuHbVjjQrs-SGcIOVoHDyiP6Ts9011hf8tKAglvlzbitFKWpUzyW_UHlLrkaMGuemSXMevViLjjerAhzmRE3U0jeAkRNvNFz-nJIe3Z_eaZwOuRLZNZU2T/s1600/IMG_20190102_155609.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9yjn5pZkNpWkxJVtty6SuHbVjjQrs-SGcIOVoHDyiP6Ts9011hf8tKAglvlzbitFKWpUzyW_UHlLrkaMGuemSXMevViLjjerAhzmRE3U0jeAkRNvNFz-nJIe3Z_eaZwOuRLZNZU2T/s320/IMG_20190102_155609.jpg" width="240" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<br style="-webkit-text-stroke-width: 0px; background-color: transparent; color: black; font-family: Times New Roman; font-size: 16px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; letter-spacing: normal; orphans: 2; text-align: left; text-decoration: none; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; word-spacing: 0px;" /><b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-28656805884837945822018-12-02T19:51:00.000+01:002018-12-02T19:51:50.652+01:00Diario di un padre pop (titolo provvisorio)<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-1147228a-7fff-d35e-a4a9-5c87649c1717" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 0pt; margin-left: 36pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 0pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;">
<span style="font-family: Calibri; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> I miei figli, le mie più riuscite illusioni. Come due uccellini fradici di pioggia aspettano i miei abbracci, le mie fragili parole, i miei toast. Ce la sto mettendo tutta a recuperare le mie distrazioni passate, quel mio vagare tra desideri e paure, che alla sera mi lasciavano senza energie per voi. Quella volta alla fermata Garbatella mi ero paralizzato davanti all'ascensore e senza vostra madre forse avrei avuto più aria, ma anche più rischi di sbatterci contro e morire come un fantasma. Figli, che strano tuonare questa parola dentro una notte di De Gregori e spavento, insomma, ragazzi miei ascoltate quello che ho vissuto oggi. Me ne stavo contento mentre parlavo con disinvoltura post-ideologica a F., su cosa pensavo del suo progetto lavorativo interessante, ma troppo nostalgico: troppo simile ai miei fallimenti andati, gli ho detto con eleganza quasi letteraria. Alla fine F. mi fa: uno come te che non abbia un incarico dirigenziale mi pare assurdo. Io sorrido, chino il capo, poi respiro soddisfatto e dico di avere un esercito di limiti nella mia mente. Poi un scazzo tra di voi mi ha fatto barcollare, parole e imprecazioni che volevo lasciare cadere su quello sterrato davanti alla trattoria di agricoltura nuova. Non riuscivo a mediare, a difendervi da quel mondo sordo che origliava la nostra crisi. Penso alle tempeste vissute in questo anno, che oggi si sono scontrate con le mie improvvise frustrazioni. Dopo un attimo mi ritornano in testa le parole femminili violente e umilianti che mi hanno zittito stamattina: mi hanno paralizzato al nastro di partenza, come sempre. In più quella vecchia vocina stronza che insiste spietata e mi sussurra: non sai fare niente, lascia che decidano loro. E continuavo a ridere e ridere ancora. Osservavo la mia impotenza, e quel tramonto rosato che spezzava la schiena. Ora sono qua a darvi una buonanotte che sa troppo di commiato e pare racconti un'altra storia. No, no, figli, rimango dentro questa mia unica vera e piccola storia di un ragazzo che se ne sta ancora paralizzato ad ascoltare canzoni, ad abbassare la voce, la testa, guadagnare nove euro l'ora, ma che sa baciarvi ancora, e piangere insieme a voi, e pure ascoltare le vostre canzoni graffiate di parolacce e amore che urlano riscatto.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 0pt; margin-left: 36pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 0pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;">
<span style="font-family: Calibri; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Resto, forse conosco già la fine, ma resto lo stesso a fischiettare illusioni davanti ai vostri letti che ho montato bestemmiando e sognando un tempo comodo e adulto per voi. L'idea che non potrò vedervi in quel tempo forse sta nella natura dei ruoli, eppure oggi mi fa schiattare il cuore e disperare, come un padre costretto a partire per una guerra inevitabile, innaturale, umanamente intollerabile.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.295; margin-bottom: 0pt; margin-left: 36pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 0pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;">
<span style="font-family: Calibri; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> L. mi dice: devi insistere a scrivere, lo fai bene, proponiti. J. mi scrive un WhatApp: come ti ho detto a cinque anni tu sei l’unico che mi strappa dalla tristezza, sei simpatico. Ti voglio bene.</span></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-22892612749978648972018-11-18T12:30:00.000+01:002018-11-18T12:30:34.364+01:00Deglutire vergogna, vivere<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: justify;">
<span id="docs-internal-guid-b346a69c-7fff-08e6-7b9a-438d2b5e7f4d" style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Stretto tra mia madre e mio padre sul sedile posteriore stringevo quel che restava dell’uovo. L’aveva preso dieci minuti prima mia zia nel gallinaio basso e puzzolente. Me l’aveva dato a mo’ di paghetta, cioè con quel gesto a metà tra il caporale e il datore di lavoro, senza sorriso, e per me significava che me l’ero proprio guadagnato. Avevo dodici anni. Ero secco come una canna di bambù, e tenevo in piedi già il fantasma della mia ansia. Avevo, e credo sia vero a distanza di decenni, una faccia sempre disponibile a vivere, seppur paralizzata da una timidezza blu: mi bloccavo, ma covavo già un probabile riscatto futuro. Quella sera, dopo che siamo scesi dall’auto, feci vedere le mani ai miei: un inguacchio giallognolo si muoveva come tanti atolli alla deriva sul palmo. Con i miei ero tiranno, così finii che cazziai loro per il fattaccio. In realtà ero preoccupatissimo per aver sporcato l’auto di zio. La sua opinione era oro per me, da quando mi aveva concesso un vecchio semenzaio in concessione per farci un orto. Da quel giorno è stato un susseguirsi di complimenti: che bell’orto, che peperoni e che pomodori. La mia vergogna però vinse dentro l’auto in quella serata fredda, perché io non avevo il coraggio di dire: mi si è scrafacciato l’uovo in mano. Non riuscivo a prendere sonno quella sera, neppure parlottando coi santi come facevo in quel periodo. E neppure dopo aver preso una supplementare tazza di latte con orzoro. Forse zio mi avrebbe declassato a nipote normale, dopo un consulto fulmineo con gli occhi della moglie, mi avrebbe tolto senz'altro il semenzaio; sicuro mi avrebbe guardato come guardava quei gatti dispettosi a cui destinava scarpate improvvise, proprio un secondo dopo che gli aveva messo gli scarti di cibo sulla busta riciclata della pasta Paone. Tremavo quando vedevo quella violenza, nella mia testa sentivo un crack, ma poi me ne dimenticavo. Insomma, mio zio non se ne accorse di quel po’ di liquido giallognolo che cadde in auto. Zia sì, e mi fece un cazziatone senza guardarmi negli occhi: continuava a pulire i broccoletti. Io l’ascoltavo come ascoltavo la messa prima di andare a giocare a pallone, all’oratorio.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Dopo qualche giorno arrivò all’improvviso un'esplosione nucleare che attraversò l’intero mio corpo di bambù: lottavo per trattenere dei conati che sentivo salire violenti e sconosciuti. Fu la prima volta. Per trent'anni ci ho convissuto, oggi posso dire - timidamente eh - che finalmente sto deglutendo quella vergogna dell'uovo schiuso in mano tra mio padre e mia madre, sul sedile posteriore di una cinquecento carta da zucchero. </span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Perché mio padre non stesse davanti su quell’auto, come si usava in quel tempo per i padri, sarà oggetto del secondo capitolo: la mia insicurezza trattenuta tra le gambe e gli occhi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyGF-WcyHpS7wVtBiJpYP3vC3D6uJq1-ispn0kFo7K7ti3n3sClRGxCtGxguMgkrbDzhCCdPUiPGYDkxPSBi3h6bAmQuRh7Nq_9TbaV2xZK68ucBiN1RrstCjcnWZ4BDphfOTZqpOk/s1600/IMG_20181118_090839.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyGF-WcyHpS7wVtBiJpYP3vC3D6uJq1-ispn0kFo7K7ti3n3sClRGxCtGxguMgkrbDzhCCdPUiPGYDkxPSBi3h6bAmQuRh7Nq_9TbaV2xZK68ucBiN1RrstCjcnWZ4BDphfOTZqpOk/s320/IMG_20181118_090839.jpg" width="240" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-53964645299525293542018-10-06T14:36:00.000+02:002018-10-06T14:42:43.683+02:00L'uomo che trema<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<span style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt;"> </span><span style="font-size: large;">Così in un sabato mattina qualunque di serenità
ho ascoltato una selezione di Elliott Smith su YouTube e ho cominciato a scrivere
due righe sul libro di Andrea Pomella. Glielo devo, poiché ho letto i suoi post
mattutini per qualche anno quasi quanto quelli di Michela Serra negli anni. All’inizio
li leggevo e riflettevo, poi quelli più recenti li leggevo, riflettevo sempre,
ma a volte mi commuovevano pure. Non sapevo che stavo vivendo una
trasformazione letteraria, esistenziale dell’autore, oppure ciò che stava
cambiando era solo in me? <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"> Mentre leggevo <a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/andrea-pomella/l-uomo-che-trema/978885842934">L’uomo che trema</a> sentivo la sua presenza sotto i piedi,
come un torrente carsico che trasportava i miei pensieri come detriti verso un
fiume enorme, quello del mio tempo ritrovato: da un anno circa percepisco il tempo
come misura verso la mia fine. Misurandolo, vivo meglio, e le cose della vita
mi sembrano più concrete, quasi tocco le porosità, sicuro annuso il buono come
fosse pane appena sfornato. Da circa un anno vedo ossa e muscoli sotto il velo
delle mie ipocrisie, piaggerie, velleità, desideri, ma intravedo anche quella
mia specialissima sensibilità, sempre sottovalutata, come mi ricorda ogni tanto
mia moglie. L’uomo che trema parla di depressione, anzi, scava nella
depressione dell’autore, ricreandola in pagine memorabili, nitide di dolore e
di attese: un figlio che sa stare al mondo, un nonno che ritorna, una moglie
premurosa. All’interno di queste relazioni la depressione del protagonista
acquista senso, rivela le debolezze, le crepe, combatte il bianco accecante del
nulla che compare all’improvviso in un parcheggio deserto. Conosco la
depressione, soprattutto quella di persone a cui voglio (e ho voluto) più bene
in vita mia. Capisco che se gli altri declassano la tua depressione a
capriccio, a svogliatezza o, peggio ancora, a incapacità di stare al mondo poi
il tuo mondo si sgretola e finisci in fila alla asl o ti barrichi in camera per
secoli, fingendoti morto. E intanto la brace incendia te e il tuo letto, fa
scaraventare comodini in aria, non ti fa rispondere al telefono per mesi.
Determina la tua vita con uno sguardo, e nessuno mai riuscirà a risalire a quello
sguardo, forse neanche tu che lo hai subito.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; line-height: 150%;">Il libro di Andrea Pomella scorre via
emozionando con una acuta misura che s’intreccia al sentimento ma non lo
esalta, né lo schiaccia: ci sta, e ti fa partecipare volentieri al racconto, restando
accanto e non permettendo quel risucchio sentimentale che alcuni autori mettono
in scena, furbescamente. Resti seduto accanto al libro, ma non provi a
saltargli in braccio, lo contempli da quella poltrona ma non lo scarabocchi
freneticamente di te, lo lasci raccontare come potrebbe raccontare un amico che
non vedi da anni: decifri le rughe, osservi le labbra, ti specchi in quegli
occhi luminosi che hai osservato in un’altra epoca. Il dolore cambia con te, i
traumi si diluiscono nelle nostre giornate rimbalzando nel tempo alle pareti di
altre storie, e quando gli spigoli non ci sono più forse sei pronto a
tramutarli in un’opera d’arte. Un po’ come ha fatto Andrea Pomella, almeno così
voglio immaginarlo io, al chiuso di questa stanza piena di Elliott Smith, di
vento e di un sabato da inventare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 150%;"><span style="font-size: large;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sto scrivendo più di
me che del libro, ché a me non piace svelare i libri, suggerirli sì, così come
di pensare alla raffinata e intelligente arte dell’autore nel riversare in frasi
un senso, una bellezza che altrimenti svanirebbe per sempre. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Penso anche un po’ all’autore, lo ammetto:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sì, dopo libri come questi poi mi piace abbracciare
l’autore il prima possibile. Sperando di non fare altre gaffe con gli accenti, aspettando
il suo prossimo libro come si aspetta un vecchio amico preparando noccioline e
birre, tutto contento, fingendo una postura da adulto mentre sotto tutto scorre
come quando eri ragazzo e timido.</span><span style="font-size: large;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKjHrJxRxGYH_yTjEsxC_dfZ7tfgogb_5D5wiZRgJObSgTg5NulkS-4Y4rDtTbRLkoir5-iz-SJds2_1_TUeegud-5eduadVNGFfFuvEivyjoD2N9ektmILQ6Vnfi7ImGSucWt1kku/s1600/978885842934MED.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="221" data-original-width="140" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKjHrJxRxGYH_yTjEsxC_dfZ7tfgogb_5D5wiZRgJObSgTg5NulkS-4Y4rDtTbRLkoir5-iz-SJds2_1_TUeegud-5eduadVNGFfFuvEivyjoD2N9ektmILQ6Vnfi7ImGSucWt1kku/s320/978885842934MED.jpg" width="202" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;">
<br /></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-19655666391260619602018-10-01T10:08:00.000+02:002018-10-03T14:27:20.657+02:00addio fantasmi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Certi libri li aspetti come si aspetta
un’amica, e stavolta non è l’amica che ti invia un audio WhatsApp in cui ti chiede
senza pietà: perché sei andato via da Gaeta (è bellissima, enfatizza) per
scegliere di vivere in una borgata romana? Me lo chiede a fine estate poi,
quando la nostalgia è più spietata. A quella mia amica non ho risposto come si
deve per la rabbia che mi ha fatto salire, ma forse la risposta migliore
sarebbe regalarle Addio fantasmi, il nuovo libro di Nadia Terranova. Seppure le
fughe dalle case dei nostri guai siano più o meno tutte uguali, è vero pure che
in ognuna il dolore è diverso: e forse tutti abbiamo il desiderio di
superarlo, arrendiamoci.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>C’è un
passo del libro in cui questo concetto è scritto divinamente, è quando Ida
cerca febbrilmente di incontrare Sara, la sua amica del cuore dell’adolescenza,
quella spigliata coi ragazzi, quella che non ha subito la scomparsa del padre a
tredici anni, quella che non ha bisogno di invidiare la vita degli altri. Sara
è cambiata restando a Messina, vivendo le mille frustrazioni che certa
provincia rende ancora più soffocanti. Nel dolore di Ida c’è una strana sordità
per le storie degli altri, pur scrivendo storie reali-inventate per la radio, continua
a pensare che il suo dolore sia il Dolore: quella unicità fragilissima, che
spesso diventa una compagna condanna a cui ci affezioniamo e a cui doniamo le nostre
migliori energie. Mentre sonda la propria memoria, tra flash back e oggetti
conservati in sacchi neri nella sua cameretta dell’epoca, Ida prova far uscire
di scena il fantasma del padre, il quale a un certo punto della lettura pare che
evapori <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tra le pagine più riuscite di
sempre sul superamento del dolore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La
bellezza sommersa di questo racconto emerge lentamente, come una nave affondata
che approfitta di una secca improvvisa: oscena, mostra tutte le incrostazioni del
tempo in cui è rimasta nascosta al mondo. Non teme più gli occhi degli altri: lascia
vedere la ruggine che splende insieme a tutti gli altri colori del relitto
pronto oramai alla manutenzione. Non c’è tempo per la vergogna, perché c’è in
Ida quell’energia tenuta a bada negli anni, che ora penetra dolcemente la
superficie della realtà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMWyMT_AiBQ001HLSOCCZDOuW4xnSWfpoRoMLab3RzyIKhLoUWklIn2lfQ0j7HTZ0PntAA2GryWqF1l8W0aj0p2Y39yVJ9RiQIMYa_i4CMaZT08bRSS-0No9NSyRrPZJyWrd12nSME/s1600/978885842943GRA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="391" data-original-width="250" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMWyMT_AiBQ001HLSOCCZDOuW4xnSWfpoRoMLab3RzyIKhLoUWklIn2lfQ0j7HTZ0PntAA2GryWqF1l8W0aj0p2Y39yVJ9RiQIMYa_i4CMaZT08bRSS-0No9NSyRrPZJyWrd12nSME/s320/978885842943GRA.jpg" width="204" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ritornando nella vecchia casa, per aiutare
la madre a “sistemarla” prima dei lavori di rifacimento del tetto, Ida rivive le
perenni rabbie, così come ricompaiono dalla memoria le sue esperienze di giovanissima donna, successive alla
scomparsa del padre. In quella casa oggi c’è da riparare un torto subito
sull’uscio dell’adolescenza, un torto che forse viene dal mare, o dalla cattiva
sorte. Oppure proviene da una sinistra somma di casualità a cui non sapremo dare
mai un nome, e che non riusciamo ad<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>afferrare neppure in certi sogni notturni. Un giorno magari avremo il
coraggio di andare in analisi, di avere partner solidi come ficus, amici che
sanno ascoltare, o semplicemente la fortuna di sopravvivere. Questa storia ci
sussurra un monito: riparare il nostro dolore significa anche saper chiedere,
quando è arrivato il suo tempo, una tregua ai nostri tormenti. Mettere la
nostra storia accanto al nostro presente e non dentro, poiché solo quando
riusciremo a vedere accanto a noi quei ragazzi che siamo stati, solo allora
potremo fare un pezzo di strada insieme allo spettro sopravvissuto a quel
trauma, per poi salutarlo come si salutano certe zie che pensi sia l’ultima
volta che vedi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In Addio fantasmi non si risolve forse
nulla, ma leggendolo ho fiutato quella dose di purezza che sembra galleggi in
quelle scelte morbide che a volte si fanno, e che pare si stacchino dallo
stallo di certi pesanti dolori: come bolle infuocate ai piedi dei vulcani. Non
ci resta che allontanarsi senza voltarsi finché quell’odore di lava calda non
si sia mischiato bene bene allo smog delle nostre nuove città caotiche di bellezza,
dove le scelte siedono accanto a noi su certi tavolini rossi di aperitivi e patatine,
quando ti sorprendi a leccare le dita come da bambino, in certe serate sospese.
In questi nostri luoghi densi di un presente ancora incerto, cerchiamo di rappresentare
al meglio le nostre storie ancora piene di desiderio. Sì, cara amica mia, a
questo punto delle nostre storie lo possiamo fare anche lontano dalle bellissime
spiagge d'infanzia.<a href="https://draft.blogger.com/null" name="_GoBack"></a><o:p></o:p></span></div>
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/EaDF0CQC1MI/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/EaDF0CQC1MI?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-13203831944278531962018-09-08T12:24:00.002+02:002018-09-08T12:24:48.749+02:00Giulia, Tonino e la panchina (finale)<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sulla panchina</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span id="docs-internal-guid-b2cdecc8-7fff-2a99-0d1f-3abb18df46e8"><br /></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sbuffo il fumo della sigaretta che mi ha lasciato Tonino a fine turno. Nel farlo, mentre vedo questi pini giganteschi davanti ai miei occhi, penso al viale di platani che mi conduceva a scuola. Da piccolo. E quegli alberi erano i miei baobab. Penso a mia madre che mi accompagnava con quell’aria sognante. Assente, a volte. Io ero contento e mi divertivo a scivolare ai lati dei gradini sul liscio di marmo levigato da mille sederi come i miei, o a scambiare le figurine con i compagni, poco prima che la campanella scolastica anticipasse i rintocchi del campanile comunale. La sfida a questo punto era tra il bidello e il messo comunale, quest’ultimo più statale dell’altro nell'essere calmo di burocrazia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tonino quando ha finito di sbrigare con le terapie e i vari giri nei reparti per verificare se stiamo tutti tranquilli, spesso gli rimane un po’ di libertà che spende ad ascoltarmi. Siccome sono stato professore d’italiano, e appassionato di storia contemporanea, lui vuole sapere da me quello che è successo </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">davvero</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> negli anni settanta, soprattutto in Italia. Dice che in quegli anni lì, terribili e creativi, si è trasformato tutto. Poi mi suggerisce che bisogna analizzare a fondo tutte le questioni che sono state affrontate in quegli anni di fermenti e cambiamenti sociali epocali. Un po’ credo che abbia ragione, e così ci mettiamo a fare queste chiacchierate storiche con l’intento di capirci qualcosa in più entrambi. A me piace farlo, mi tiene vivo dentro questo pre-obitorio fatto di zombie coi camici e sciroccati vestiti malissimo. Anche se ci sono dentro anch’io in questa moltitudine umana barcollante di anime che ancora cercano qualcosa, tra gli infiniti viali e i bui corridoi, ma io almeno la mattina mi scelgo la camicia da mettere.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Tonino mi chiama sempre professore, e questo mi lusinga un po’. L’ho fatto per dieci anni in una scuola privata, e fu un’occasione d’oro dopo altri dieci di gavetta tra i mille istituti della città, e doposcuola vari. Così un giorno a un convegno sulla “Didattica come strumento di emancipazione”, conosco Piero, il direttore della scuola “Socrate”, e facciamo una bella chiacchierata, sull’importanza degli studi per trasformare la propria vita in meglio. La chiacchierata è durata un intero pomeriggio al tavolino del chioschetto di viale Ippocrate. A settembre stavo già nel suo istituto a insegnare Italiano e Storia a ragazzetti un po’ viziati, un po’ ambiziosi, un po’ coglioni. Anzi, a dire il vero, ambiziosi lo erano soprattutto i loro genitori poiché credevano, iscrivendoli da noi, che poi avrebbero disegnato un percorso scolastico su misura per i loro figli d’allevamento. Illusi anche loro.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tonino non si stanca mai di ascoltarmi e a volte resta anche oltre il proprio turno di lavoro, e questo accade quando c’è ancora da discutere sull’argomento iniziato e che non si può rimandare al suo prossimo turno, poiché si spezzerebbe il filo. L’incanto. Affrontiamo scientificamente ogni segmento di quegli anni, perché vogliamo costruire un atlante per le nuove generazioni. Questo lo dice Tonino che pensa di ricavarne qualcosa da queste discussioni, lezioni direbbe lui, poiché crede sia importante approfondire la conoscenza dei fatti che hanno caratterizzato gli anni settanta, per riuscire ad orientare meglio nel mondo le nuove generazioni. Lui ci crede. Io invece, quando parlo con lui, passo il tempo nei migliori dei modi possibili qui dentro, e con una limonata fresca davanti in estate, o un orzo bollente d’inverno, è il massimo di quello che posso aspettarmi in questo posto. Allo spaccio-bar gestito dai pazienti le opzioni di acquisto sono poche. Io mi arrangio anche lì, tanto resistere per me significa soprattutto poter mettere tutti i giorni un vestito diverso, elegante, così da mantenere vivo lo stile nel tempo che mi rimane. A me è sempre piaciuto lo stile, pur dentro il peggio delle umane possibilità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Esco poco dalla clinica. Anche se non ho limiti alle uscite, preferisco stare dentro. La mattina esco soltanto per comprare le sigarette, poi mangio una ciambella e bevo un caffè, mi leggo tutti i quotidiani del bar, e basta. Un tempo uscivo più spesso e anche per l’intera giornata, lo facevo anche per smaltire tutta l’inquietudine che producevano i miei tanti pensieri inquieti. Mi capitava di uscire in compagnia di Rosetta, un’assistente sociale che avevo conosciuto durante l’anno che aveva lavorato da noi. Con lei passavo giornate in giro con la sua auto a parlare e ridere di quello che eravamo stati. Si andava anche nei mercatini o nelle librerie. Qualche volta pure al cinema. Poi, scansato il pudore delle differenze di status, ci rotolavamo sul suo letto a due piazze. Lei viveva da sola e quel letto accoglieva pure qualche altro ragazzo occasionalmente. Così mi diceva. Non vedo più Rosetta dal giorno che mi ha raccontato cose troppo tristi sulla sua famiglia: non ce la facevo più, visto che con lei uscivo sicuro di trovare un’oasi femminile dopo le giornate vuote e maschili della clinica. Qualche anno fa mi ha scritto una bella lettera. Spiegava con delicatezza che forse è stato meglio così per noi due, cioè, dichiarava pure che con me è stata una cosa speciale, ma, a pensarci bene, sarebbe stato difficile proseguire. Si era fidanzata. Bastavano queste due parole ed io avrei capito lo stesso, invece, col gusto delle complicazioni, mi aveva fatto una disanima un po’ professionale e un po’ da ex fidanzata sulla nostra stramba relazione. Che poi non era così stabile, infatti nessuno di noi due pensava di essere fidanzato. Dopo di lei ho smesso di uscire in quel modo. Solo piccoli gesti quotidiani che mi aiutano a non smettere di conservare dignitose abitudini, soprattutto la mattina, prima che arrivi l’assistente con i suoi modi brutali a servirci la colazione e ribadirci rozzamente la nostra misera condizione. Io prendo solo i biscotti e m’incammino verso il bar.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ho avuto anche una moglie, certo. E pure due figli. Sono stato un discreto padre di famiglia, e un decente marito. Ma che fatica. Amavo mia moglie, e i suoi modi dolci e accoglienti. E le sue intuizioni fulminanti. Un po’ meno amavo le sue pretese di vedermi normale. Ogni volta che avevo una crisi, e ne avevo una ogni tre o quattro anni, mi diceva che la dovevo smettere di fare il ragazzino. Come se dipendesse da me, le suggerivo con quel tono di voce spietato e senza convinzione che tiravo fuori in quei momenti di crisi. Aveva ragione, ora lo so. All’epoca ero avvolto in una nebbia sentimentale che mi faceva sentire bene sempre nel torto, quindi nel giusto: osservavo la mia situazione dal punto di vista del fallito senza futuro che mi ricucivo addosso. Invece, m’impegnavo pure coi ragazzi a scuola, producendo anche buoni risultati. Ricordo che mi ero inventato un concorso per racconti brevi, rivolto ai ragazzi degli Istituti che gestivamo. Organizzavo con piacere ogni anno gite che per metà erano culturali e per l’altra metà puro divertimento. Per tutti. Vero pure che ogni tanto mi fissavo per certe situazioni ipocrite che si generavano nelle relazioni tra colleghi, ma durava solo qualche mese. E poi sfumava, questo almeno era come lo percepivo io. La scuola, con i suoi cicli di studi, mi dava la possibilità di cambiare ogni tanto le facce con cui avevo a che fare, colleghi inclusi. Avevo tre sedi, quindi avevo anche la possibilità di girarmele tutte e tre. Questo avveniva quando andavo in crisi, e uscirne significava cambiare aria. Devo ammettere che mi sono preso diversi periodi di aspettativa, oltre a riduzioni degli orari, e tante altre scappatoie per non scoppiare del tutto. Ma la mia ex moglie non sopportava più questo stato di cose. Voleva tranquillità esistenziale e serenità familiare. Mica aveva torto.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">I miei figli chissà cosa pensano di me ora, dopo che per anni abbiamo condiviso casa e abitudini, fino alla loro adolescenza. Poi il crollo. La clinica. La separazione. Sto sragionando aspettando l’incontro con mia figlia, vorrei mettere in ordine il caos del mio passato, così per ripulire quei pensieri appiccicosi che da sempre mi perseguitano. Lo faccio sempre per esorcizzare il mio passato strambo, per sembrare migliore agli occhi di Giulia. No, è inutile far finta di essere normali, ché poi lei s’innervosisce quando lo percepisce. Ogni due o tre mesi passa a trovarmi. Mangiamo nella trattoria in collina, lontani dall’opprimente perimetro immenso della clinica. Parliamo un po’, o meglio, sono io che le faccio mille domande. Ricevo un paio di risposte lunghe, esaurienti ma articolate, in cui ci infila pure notizie della madre: le vanno bene le cose con Claudio. Ma di solito poi aggiunge frasi così: anche se secondo me la malinconia se la sta divorando in silenzio. Poi mi dà qualche informazione sul fratello che insegna a Mantova: vedessi come crescono le figlie. Mio figlio lo vedo solo a Natale e in estate, pochi giorni insieme per sconfiggere la paura dell’addio. Porta pure le figliolette, che oramai mi vedono solo come un nonno misterioso da temere cautamente.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Quando mancano pochi giorni dall’arrivo di mia figlia, comincio ad agitarmi già dal mattino. Parlo troppo, perdo un po’ quello stile riflessivo che mi crea una certa riverenza da parte degli altri qui dentro. In fondo questa calma artificiale, fatta di pasticche e riflessioni astratte con Tonino, mi fa stare bene ma, appena compare la realtà, la mia vecchia realtà che bussa al portone della clinica, allora mi tira fuori un’ansia urbana e passata, mai del tutto addomesticata.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Durante il primo anno in clinica non ho visto nessuno. Dico dei parenti o amici. Nessuno. Ero agitato e quando esageravo, magari urlando contro un altro paziente insolente o mi rifiutavo di prendere la terapia, gli infermieri mi sedavano nella maniera antica: botte. Lì per lì non soffrivo tanto, ché un po’ me le cercavo visto che per capricci esistenziali avevo mollato tutto per farmi condurre qua. Così, una ramanzina energica ci stava tutta, ammettevo in silenzio. Ma poi, nei giorni successivi, quando i lividi diventavano neri, cominciavo a intristirmi. Allora chiamavo mia moglie, allora ancora non eravamo separati, magari alle sei del mattino e le urlavo che era una stronza, per niente umana, una carogna. E lei rincarava la rabbia dicendomi che non avevo combinato nulla nella vita e ora era giusto che stessi lì. Lo pensavo anch’io che fosse giusto stare qui, visto che là non avevo combinato granché. Quello che mi faceva piangere, non al telefono, ma dopo nel corridoio della mensa, era sentirmi dire “e i ragazzi non te li faccio vedere perché sei pazzo”. Ecco, questo non me lo meritavo. Adoravo i miei figli, e non potevo sopportare la loro lontananza. Almeno all’epoca. Di fatto, tra insulti, botte, mie agitazioni, non ho visto nessuno per quasi un anno. Poi sono cambiato. Sono diventato un paziente modello, a detta del dottore. Mi ero adattato bene, come sempre nella mia vita. Quando si tratta di sopravvivenza tiro fuori una forza oscura e funzionale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Domani arriva mia figlia. Spero mi porti il libro che le avevo chiesto. Tutto questo pensare mi ha stremato, nemmeno la discussione sullo statuto dei lavoratori con Tonino mi aveva procurato tanta fatica. Una fatica dolce, una stanchezza che sa di cose belle dentro i fatti brutti. Panna e puzza di ferro bruciato nello stesso istante che ti avvolgono e stordiscono un po’. Ho sonno. Vado a sdraiarmi sulla solita panchina accanto al vecchio pollaio. Oggi Tonino è di riposo, andrà al cinema con Giovanna. Dormo un po’, prima che arrivi l’ora della cena. Prima che i pensieri divorino il ricordo di certe faccine che mi faceva mia figlia piccola, al parco, davanti alla fontana con quegli schizzi improvvisi. Quanto era tenera Giulia davanti a quell’acqua gioiosa che s’infrangeva arresa al vetro della Nikon, poco prima dello scatto. Poco prima del crollo. Poco prima.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Ciao papà. Scusa il ritardo ma ‘sti treni sono sempre più lenti”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Non ti preoccupare. Vuoi un po’ d’acqua fresca?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Sì, grazie. Papà voglio farti subito una proposta: vieni a vivere a casa mia”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Ma stai scherzando? Vero?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“No, ci penso da tempo. Cosa resti a fare qui? Non sei più giovane. Starai da me. Tanto col lavoro che faccio a casa ci sto solo la notte e un po’ la mattina. Faremo colazione insieme. Poi le giornate le passerai in giro per il paese. Al mercato del pesce. Oppure in casa a leggere i tuoi libri. No?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Giulia… a me non dispiacerebbe, ma come faccio… devo finire di raccontare la storia a Tonino”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Lo chiami al telefono, o lo puoi invitare di tanto in tanto a venire al paese. Papà, ora non puoi pensare a Tonino”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Non posso lasciarlo senza aver terminato la storia, lui ne ha bisogno”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Assurdo, assurdo. Ma come fai a pensare a queste cose? Boh!”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Sono contento che tu mi voglia vedere in giro per il paese, è bella come immagine, ci starei bene dentro. Però, capiscimi, sono quindici anni che sto qui e avrei bisogno di un po’ di tempo per disabituarmi. Mica posso uscire oggi all’improvviso. Dammi un po’ di tempo. Magari in autunno ti raggiungo”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“In autunno! In autunno, perché? Hai sempre bisogno di tempo per te. Vero? Alla fine hai usato sempre la maniera più comoda di prendere tempo davanti a una scelta. Che però non hai fatto mai, vero? Ora è Tonino con le sue ossessioni a farti rallentare. Papà, pensaci bene, è un’occasione per ripartire con più dignità. In fondo, fare colazione assieme è stata tra le cose più belle che abbiamo fatto in passato”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Giulia come sempre mi ha scosso col suo temperamento pieno di rabbia e desiderio. Mi spaventa l’idea di diventare un peso. E poi quanto potrà durare? Qui poi non mi riprendono più, che ti credi. Qui ho il posto fisso, sto meglio degli statali, e Tonino si sarebbe fatto una risata a questa mia battutaccia. E pure Giulia. Nei prossimi giorni nella testa di Giulia sarò mischiato al rancore e alla speranza. Io vorrei mescolare saggezza e dolcezza per una notte intera e poi decidere. Ma non ce la faccio. Non decido da quindici anni. Dovrebbero farmi un TSO al contrario. Un’ambulanza a sirene spiegate che mi sbatta dentro casa di mia figlia. Con le comari fuori a bisbigliare sbigottite. E poi? Niente, mi sa che finirò di raccontare a Tonino gli anni settanta. Dopo, nei giorni seguenti, scriverò una cosa carina e significativa a tutte le persone a cui voglio bene qui dentro; solo allora me ne starò ancora qualche giorno su quella panchina vicina al vecchio pollaio a decidere sul da farsi: alle cuffie avrò a tutto volume le canzoni di Modugno a sostenermi per l’impresa. E' il massimo che io possa fare per te. Credimi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al mare</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Alla fine ci vado al mare. Il professore sono mesi che me lo chiede. Finora ho sempre messo la scusa del troppo lavoro o del cinemino insieme a Giovanna, ma in realtà ero preoccupato per Giulia. Non volevo disturbarli, ché sapevo della sua gelosia per il nostro parlare all’infinito, così non volevo intromettermi tra di loro. Il professore non sta benissimo, mica per la figlia, no, è che non riesce a riabituarsi alla vita in una casa normale. In clinica aveva le sue abitudini, aveva i tempi scanditi, aveva me. A me il professore manca tanto, eppure quando lo immagino accanto alla figlia sono davvero contento per la scelta che ha fatto: la sua sensibilità se lo merita. Giulia è stata coraggiosa a invitarlo a vivere con lei, nonostante la sua infelicità amorosa che la fa vivere a metà. In fondo bastano due ore di viaggio e sono da loro. Questo treno mi fa pensare a tanti altri viaggi fatti da piccolo, ché mio padre quando è scappato di casa, dopo che ha massacrato la vita a mia madre nei dieci anni di matrimonio, si stabilì a Civitavecchia e io e mia sorella una domenica al mese ci toccava raggiungerlo per pranzare con lui. Pranzi in trattorie unte già all’ingresso. Si stava in silenzio. Le poche parole erano rotte da altre parole che bloccavano ogni emozione. Questo me l’ha scritto mia sorella anni dopo, perché lei ha saputo uscirne meglio di me da quel periodo, laureandosi in filosofia, e scappando in America. Questo treno invece è allegro perché mi sta portando dal mio amico professore. Queste cose brutte della mia infanzia non gliel’ho mai raccontate, forse un giorno lo farò, se cominciamo a vederci più spesso prima o poi ci scappa che gli parli anche di queste cose. Ma ho paura, che tutto finisca, poiché per lui oramai sono quello degli anni settanta, ma questo lo penso io, che alla mia età ho ancora tanto paura del giudizio degli altri. Devo riuscire a usare parole che sanno di vita mia alle persone a cui voglio bene. In questi mesi abbiamo provato a scriverci messaggi, ma non era la stessa cosa: dovevo sentire la sua voce, i suoi silenzi tra un periodo e l’altro. Comunque la sua voce telefonica non mi bastava lo stesso. A dire il vero una volta ci siamo pure visti, ma Giulia non lo sa. Una sera si è presentato in clinica, e meno male che mi aveva chiamato poco prima di citofonare in guardiania. Niente, voleva rientrare. Era furibondo con la figlia. Diceva che lo stava obbligando a fare cose per lui faticose, e certe volte anche ricattandolo: voleva farlo cambiare. Da anni non lo sentivo parlare così, mi stavo preoccupando. Conoscendolo, l’ho lasciato sfogare senza intromettermi, mentre ce ne stavamo all’ombra davanti al cancello di ferro verde al di là della clinica. Così mi ha raccontato che Giulia gli aveva imposto di uscire almeno un’oretta al giorno, perché gli ripeteva che non poteva stare tutto il giorno sopra il terrazzino a guardare sempre quello spicchio di mare. Mentre diceva spicchio di mare la voce gli era ridiventata delicata, e io lo so che in quel momento i suoi occhi stavano davvero riguardando quello spicchio di mare che si era depositato in fondo alle sue pupille. Alla fine dello sfogo gli ho detto di aspettarmi nella mia auto, poiché finivo il turno di lì a poco. Il professore, dopo che gli ho dato l’antidepressivo, ha cominciato a tirare fuori i veri motivi che l’avevano spinto a prendere il primo treno e scappare fino alla clinica. Sì, era contento di vedere tutti i giorni la figlia, di prepararle gli spaghetti alle vongole, di rifarle il letto, ma non reggeva più tutta quella normalità improvvisa. E poi ogni tanto scattava contro di lei, tirando fuori un tono di voce che gli faceva schifo e che somigliava a quello che usava contro la ex moglie, quando deliravano a tavola, distruggendosi tutto il tempo che passavano insieme con parole orrende. Dice che una volta gli era sembrato di sentire proprio la voce della ex moglie, mentre ascoltava un rimprovero di Giulia. Me lo raccontava singhiozzando, e anche io non reggevo più quella situazione nella la mia auto, in cui di solito stavo silenzioso con intorno solo sporco di scontrini e briciole di merendine, e canzoni. Ci siamo fermati nello spiazzo davanti al bar che ha i cornetti buoni. Appena ho messo il freno a mano l’ho abbracciato come non abbracciavo nessuno da secoli. E lui ha cominciato a piangere proprio bene, quasi dieci minuti di pianti stretti stretti ci siamo fatti. La gente che passava rideva, sghignazzava, e facevano certe facce che mi spingevano ad abbracciare ancora più forte il professore. Nel pianto mi ha detto che vuole una vita normale, che vuole fare il padre, ma che ha paura di fare ancora cazzate imperdonabili. Ché io normale non lo sono più, ripeteva singhiozzante dopo che si è calmato un po’. Sussurrava e piangeva, e noi non avevamo il coraggio di guardarci negli occhi, eppure non ci vergognavamo di quelle parole che rimbalzano dolci e dure nell’auto appannata in quello spiazzo pieno di via vai di gente che di notte sembra più a proprio agio. Una volta finite le lacrime siamo usciti dall’auto e ci siamo lasciati condurre dalle luci colorate e intermittenti della sala slot verso l’ingresso del bar. Ci siamo mangiati tre cornetti con la crema a testa. Poi l’ho accompagnato alla stazione e per un pelo ha preso l’ultimo treno. Prima di salutarci mi ha chiesto di promettergli che sarei andato a trovarlo. Così, eccomi qua. Resto un paio di giorni da loro. Il professore sta tutto contento e mi ha già fatto il programma: prima tappa il castello ex carcere militare, dove due criminali nazisti hanno “dimorato” negli anni settanta. Il professore dice che è un posto sconvolgente, a picco sul mare, ma quel mare i carcerati non potevano vederlo, tranne questi due nazistacci. Dice che dobbiamo riflettere sulla rimozione degli anni bui del fasci-nazismo, e che non basta indignarsi, ma bisogna raccontare bene quanto siano ancora insinuati come serpi in certe teste quei sentimenti folli e maligni che ci hanno fatto vivere anni tremendi, poco più di settanta anni fa. Così mi ha detto tutto allarmato al telefono. Ho cercato di abbassare la sua tensione, come faccio sempre con i pazienti ma stavolta avevo un’altra preoccupazione: volevo che davvero non si preoccupasse più del dovuto. Stavo in pensiero per lui.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questo treno mi fa pensare bene, con le parole giuste, senza l’ansia che mi fa mozzare le frasi e non pensare fino in fondo quello che mi gira nella testa. Pare poco, ma a uno come me, insicuro e nevrotico ma buono - come dice sempre mia sorella filosofa - la cosa che più desidero è parlare in maniera chiara almeno con le persone che stimo. Per farlo ci vogliono pensieri schietti, che arrivino come anguille dalle stanze della ragione e poi dirette fino al bordo della lingua umida. E il professore l’ha capito, e forse anche Giovanna. Senza sapere nulla delle anguille e tutto il groviglio con cui ho a che fare notte e giorno, soprattutto la notte. Da ragazzo ci soffrivo, e non riuscivo a combinare niente per questo mio modo di fare e di pensare. Quando ho conosciuto meglio il professore, quando da paziente stava diventando un’altra cosa, insomma, dopo la prima chiacchierata sui decreti attuativi nella scuola, ecco, in quel momento mi sono sentito davanti a un padre, a un professore, e a un amico: tutti in una unica persona, che aspettavo da quarant’anni. Forse è sempre stata la mia unica e vera aspirazione che covavo sin da bambino, quando me ne andavo da solo a conoscere posti nuovi con quella freschezza e gentilezza verso gli altri che col tempo ho perduto. Per questo sto tutto contento su questo treno lentissimo. So che il professore mi aspetta con i suoi nuovi racconti-lezioni che avrà già ripetuto a mente almeno cento volte, conoscendolo. Anche lui aspettava da sempre uno come me, magari avrebbe preferito incontrarmi al bar o in biblioteca, invece che in clinica, ma che cosa importa mi ripeto ogni volta che lo penso. Quando mi ha detto che con Giulia certe volte usa il vecchio tono che usato contro la moglie, mi ha fatto pensare che deve ricominciare ad andare da uno psichiatra anche lì al mare. È vero che prende regolarmente le pasticche, ma la brutta bestia della depressione fiuta da dove entrare, e scapocchia le giornate, e ti fa dire cose brutte, lanciare sedie, sbattere porte: cose di cui ti penti un attimo dopo. Ecco, dopo le cose belle che mi farà vedere, i racconti che mi sroloterà, mi farò coraggio e glielo dirò. Ho capito che certe persone meritano tutta la verità che abbiamo a nostra disposizione per loro.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al porto </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Il professore sta parlando divertito dei vari personaggi del paese che ha prima fissato a lungo, e poi conosciuto in questi mesi. Tonino gli sta di fronte con gli occhi spalancati mentre mangia con gusto il mais tostato. Giulia con il bicchiere ancora pieno di crodino in mano li sta osservando con la pace negli occhi, coperti da tondi occhiali scuri. Intorno quel puzzo dolce del mare in prossimità dei porti. Di fronte un pescatore con pantaloni di almeno due taglie più grandi sistema all’infinito le cose nel suo gozzetto, pur di non abbandonare la sua Elena al ritmo dello sciabordio che la infastidirà tutta la notte: tra un po’ stringerà la fune all'attracco e si avvierà sollevato e affamato verso casa. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tornando ai tre al bar, c’è Tonino che ha chiesto altro mais, e continua a chiedere approfondimenti per ogni dettaglio che il professore, così dettagliato di sfumature nel raccontare, ha lasciato cadere passando troppo in fretta a un altro episodio. Poi ridono, e ricordano aneddoti della clinica e li mischiano con quelli della loro giovinezza, e bevono i campari, e si sfiorano di parole che solo loro due ne conoscono il significato più profondo: un codice animalesco che fiuta e svela il sentimento originario che sta nel fondo dei loro racconti. Giulia ogni tanto sorride e lascia scorrere questo momento che non avrà eguali nelle loro storie. In questo tempo ciascuno sta trattenendo il peggio di sé per soddisfare silenziosamente il piacere dell’altro. Un miracolo che va lasciato intatto, pensa Giulia, che pensa anche di come lei e Maria in due minuti di parole avrebbero disvelato molte più cose che suo padre e Tonino in due anni. Eppure stavolta non ha voglia di riscattare la sua intelligenza da femmina, e non ha nemmeno voglia di sbatterla in faccia alla sua anima. Come fa di solito per consolarsi davanti a una realtà tonta e dura che le strapazza la mente. Questa volta annusa tutto il puzzo del porto pensando di non poter vivere più senza il gusto di fissare sin dentro le ossa le persone che le piacciono, le stesse a volte che spendono parole buone e sguardi acuti per la sua storia, che non è ancora finita.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ora rilegge nella mente, come ha fatto mille volte in questo ultimo anno, una lettera che scrisse tempo fa al padre ma che non ha mai avuto il coraggio di spedirgli.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Caro papà, </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ti scrivo dalla cameretta dove sono stata bambina, ragazza, tua figlia. Sì, perché da un certo punto in poi non lo sono stata più, e una volta ho pure detto a un ragazzo che non ti avevo mai conosciuto. E quello per sei mesi ha visto tua moglie come una ragazza madre. Mi sono vergognata di questo, ma non di certo durante quel periodo pieno di rabbia e di odio per il mondo ottuso che dominava e annientava quella mia giovinezza, appena fuori da quella finestra. Ho passato anni nascosta in quella cameretta, dove nascondevo anche quei pensieri tremendi di scomparire. Una notte era già tutto pronto per farlo. Poi una pagina di libro, l’aria fresca alla finestra e l’aver visto il mio fratellino dormire abbracciato al suo amato gatto, mi hanno fatto esplodere in un pianto che ha svegliato tutto il vicinato. Sono fatta per vivere fino alla fine, con l’idea che il meglio non sia un Principe azzurro, ma che sia una possibilità di cambiare una convinzione ottusa, e ripartire da un altro punto, da un altro posto. Adesso lo so che questo mio pensare un po’ ottimista e un po’ disperato è tutto quello che mi hai trasmesso tu negli anni. È vero che ho l’affetto saldo di mamma e di mio fratello, ma tutto quello che vivo fuori da questa casa lo vivo con te negli occhi, che mi fai sbattere ai muri, e mi fai piangere senza motivo, e mi fai amare per un sorriso imprevisto. Non te lo ammetterò mai. Eppure è così. Ti ho sempre cazziato per le tue ossessioni e manie, per i tuoi legami potenti con le persone amate, che si sgonfiano poi al cambio di stagione, fino a farti rimanere solo. No, non ho più voglia di fare la figlia che dà lezioni al padre scombinato. Resterai scombinato per sempre papà, anche nei miei pensieri, però per me sarà soltanto avere un papà scombinato insieme a un papà e basta. Ho deciso di accettare questa storia che ci lega e che in passato ci ha strangolato e che probabilmente ci farà litigare altre mille volte. Non importa, qui al mare ho imparato anch’io a fissare oltre quel qualcosa che non è un orizzonte, un’isola e nemmeno una bella immagine remota della mente: non è niente, solo una tregua che sa di sale e aria. Papà, domani ti insegno come si fa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /><br /></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-55939330330765177232018-09-07T18:13:00.000+02:002018-09-07T18:21:41.305+02:00Tonino ( Giulia, Tonino e la panchina)<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: "times new roman"; font-size: 24pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre;">Tonino</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> A quindici anni volevo scrivere un libro, avevo pure il titolo pronto: I contrasti nell’era della pop art. Un titolo strambo adatto a un tipo strambo, com’ero io allora. Stavo sempre a pensare a ‘sto libro: la notte mi svegliavo e lo vedevo sul comodino, ancora vuoto di parole. Già, quelle non venivano mai quando le chiamavo: invece arrivavano parole pesanti piene di tristezza, ma soprattutto arrivavano nella controra, quando non le cercavo. Questo lo so oggi, ché allora mi parevano pure belle e importanti, le parole, quelle che mi capitavano tra la testa e le mani. Necessarie, pensavo. Macché. Erano solo ferri arrugginiti da lunghi inverni di lacrime, quelle sì necessarie. Mio zio mi cazziava quando non lo aiutavo, e la moglie, che non riesco neppure a chiamare zia, quando era nervosa, mi chiudeva nella cantina per interi pomeriggi. Lì mi facevo le pippe, e cos’altro potevo fare? Sì, anche al libro pensavo, ma come facevo a scriverlo? In realtà mi frullava tutto nel cervello, mi sarebbe bastato trovare un contenitore robusto dove versare </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">il tutto</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Ora devo ammetterlo, allora era più semplice pensare tutto il tempo alle cosce di Mariella, che a scrivere qualcosa di buono. Questo libro però un giorno improvvisamente ha visto la luce: una decina di pagine sgrammaticate che facevano apparire la mia realtà spaccata in due come un cocomero, come quelli che spaccava mio zio la domenica. I buoni e i cattivi, le femmine e i maschi. I miei zii e la mia rabbia. Ma comunque mi piaceva, ne ero soddisfatto e confidavo nella giustizia divina per la sua imminente diffusione; sì, allora avevo questo tipo di pretese: sei buono? Avrai la ricompensa. E io l’aspettavo tutte le sere la ricompensa, sdraiato sul materasso di lana aspettavo una ricompensa come fosse l’apparizione della Madonna. Invece arrivava Mariella, che mi sorrideva serena. Mi addormentavo, e ci mettevamo a fare bagordi insieme tra nuvole e tappeti. La mattina poi, prima del mezzo bicchiere di latte che la moglie di mio zio mi sbatteva sul tavolo di marmo all’aperto sotto il porticato, sennò sporcavo in cucina, come diceva zia. Insomma, all’alba scappava via Mariella, e a volte avevo proprio l’impressione di vederla con le sue gonne da zingara che si gonfiavano e sgonfiavano in lontananza, sulla strada poderale. Macché, erano solo cazzate di sogni che mi servivano per caricarmi: per riuscire ad andare a raccogliere i cocomeri dentro al caldo infernale del campo, alle dipendenze ringhiose di mio zio adottivo. Ma questo lo so soltanto oggi, prima, allora, tutto era fluido e vero. Pure Mariella. </span></div>
<span id="docs-internal-guid-d33b379f-7fff-da4b-1ab9-00cf45f7fe62"><br /></span>
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<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Così oggi mi ritrovo a fare questo lavoro strambo. Alcuni lo fanno facendo i cattivi, con atteggiamenti un po’ da delinquenti, oppure stanno sulla difensiva tutti i santi giorni. Perché è un lavoro duro tra persone imprevedibili, problematiche e a volte aggressive. A me basta sorridere un po’ alle persone che incontro nelle stanze o nei corridoi, poi bere caffè alla macchinetta con Giovanna, e ogni tanto chiacchierare con il professore d’italiano in pensione. Aspettare il ventisette per pagare l’affitto e la rata della macchina. Il resto del tempo, quello che mi avanza dalla clinica “Quiete serena”, lo impiego a leggere tutto quello che c’è da leggere sugli anni settanta in Italia. Qualche volta, quando si tratta di musica e movimenti giovanili, mi sposto anche verso le cose estere con la lettura. Ho una cantina piena piena di riviste e libri, dischi e articoli ingialliti. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ogni tanto vedo Giovanna, quando non deve assistere sua zia malata, e allora andiamo al cinema e poi scopiamo a casa mia. Non succede nulla d’importante prima né dopo averlo fatto, ma durante stiamo da Dio. Siamo tutti e due single. Lei, a dire il vero, ha un altro amante: occasionalmente la passa a trovare un camionista del suo paese d’origine. Stanno insieme una notte. Poi lui la saluta con le lacrime agli occhi, lasciandole tra le mani un pacco di biscotti al cacao fatti dal forno del paese d’origine. Poi seguono settimane di silenzio. Nel frattempo lei viene al cinema con me. Ci sono dei periodi che non la voglio vedere. In quei giorni voglio solo pensare al passato, agli anni settanta. Vedo solo film dell’epoca e, se fosse possibile, uscirei solo con donne degli anni settanta. Dicono che sono un po’ monotono. In realtà lo dice solo Giovanna, che per me equivale a tante persone, perché ho pochissimi amici. Un tempo ne avevo a bizzeffe, e facevo con loro un sacco di cazzate. Un giorno poi ognuno di noi ha trovato il lavoro e allora ci siamo scordati di fare cazzate. A dire il vero all’inizio, durante qualche sabato sera, le facevamo lo stesso le cazzate, ma non erano più le cazzate di una volta. Quando non penso agli anni settanta, penso ai pazienti che vedo tutti i giorni. Molti di loro hanno vissuto il meglio della loro vita proprio in quegli anni, e quindi gli faccio le domande di questo genere: “avvertivi che stava cambiando tutto in quegli anni?”. Spesso mi ridono in faccia; qualcuno tenta di abbozzare un discorso articolato ma non ce la fanno, i farmaci vincono sulla loro lucidità, e alla loro memoria restano frasi mozzate che sanno di poco. Solo il professore parla bene, fino a farmi vere e proprie lezioni. Ogni tanto si ferma su qualche autore o fatto anche per più giorni, che sono costretto a prendere appunti. In cambio vuole un po’ di vino rosso di sottobanco. Quando beve racconta pure meglio, e io ascolto con più piacere. Insomma, se non l’avete capito, io, una volta che faccio quello che mi chiede il responsabile della clinica, assistere e imbottire di psicofarmaci i pazienti, poi non mi resta che chiacchierare con alcuni di loro. Un giorno il professore ha sforato negli anni ottanta e l’ho dovuto bloccare, stava diventando irritante in quell’uscio di anni opulenti e chiassosi di niente. Così, dopo che l’ho minacciato di non dargli il Chianti già comprato, è ripartito dalla battaglia per il divorzio senza fare una piega.</span></div>
<br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Giovanna non vuole che le dica frasi di circostanza dopo che abbiamo scopato. Dice che deve sentire </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">i suoni.</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Non oso chiederle cosa siano i suoni, poiché lei non osa chiedermi perché mi sono accanito tanto con gli anni settanta. È un patto. A noi piace stare ognuno nelle proprie cose. Poi un giorno tutto finirà, e ognuno di noi dichiarerà tregua al mondo e farà qualcosa di meglio. Oggi ancora non è così, poiché non è ancora arrivato il momento giusto per fare di meglio.</span></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-67319864710503031042018-09-05T15:46:00.000+02:002018-09-05T16:04:14.921+02:00Giulia (Tonino e la Panchina)<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: center;">
<div style="text-align: justify;">
<br />
<span id="docs-internal-guid-4096902e-7fff-2c9a-a4ef-e18e89253bf2"></span><br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span id="docs-internal-guid-4096902e-7fff-2c9a-a4ef-e18e89253bf2"><span style="font-size: 24pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></span><span style="font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;">Questo porto non lo sopporto più. Vedo sempre le solite quattro barche vecchie con la ruggine che scende dai lati, con tutte quelle cime pelose che pendono e puzzano solo a guardarle, così come quel chioschetto infimo laggiù a sinistra, poco prima della pompa di benzina mezza abbandonata: i proprietari devono ringraziare i quattro pescatori puzzolenti se riescono a tenerlo in vita coi loro caffè corretti.</span></div>
<span id="docs-internal-guid-4096902e-7fff-2c9a-a4ef-e18e89253bf2">
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A Maria l’avevo detto: resto un paio d’anni, giusto il tempo di far innamorare bene bene Guido e poi scappo via con lui verso Bologna o Roma, o chissà dove</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Proprio così le dissi quella sera che decisi di restare a vivere qui. Si stava tutti insieme spensierati su quella terrazza poco illuminata e piena di uomini con camicie bianche sbottonate e donne con vestitini sgargianti e sorrisi generosi, si beveva vino bianco e si rideva uno dentro la faccia dell’altro. Era estate, e davanti c’era tanto mare. Ero convinta che la mia vita avesse incrociato la fortuna di ritrovarsi insieme a persone belle, e un po’ strambe: questa scena della terrazza rappresenta bene come sognavo da ragazza la mia vita futura. Così desideravo immaginarmi da grande. Ma sognavo nel sogno. Ora eccomi qui sopra a questa terrazza maiolicata di blu e ben illuminata, con il grembiule nero fino alle ginocchia e gli occhi neri di matita che intimidiscono sempre un po’ gli uomini. Uso scarpe comode per correre svelta da un tavolo all’altro, dal martedì alla domenica, estate e inverno. Sempre qui. Mi rilasso un po’ la mattina al risveglio, sempre sul tardi, quando il sole già picchia e lascia poca aria in giro. Faccio colazione al bar di Maria; a lei sto raccontando i miei tormenti penosi di femmina. Con i colleghi c’è poco da fidarsi. Provano ogni giorno a sedurmi con racconti di vite mai vissute interamente da loro, o con quei loro slanci fatti di battute e sguardi per conquistarmi: cercando invano di scacciare la mia vecchia </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">alleata</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> apatia sociale. Tanto alla fine i loro poveri sogni di gloria si vanno sempre a nascondere nella federa del loro morbido cuscino di mammà, ancora prima dell’alba, quando con facce da bimbi provano a smarcarsi, almeno nei sogni, da mamme gigantesche: donne poco truccate, con il Tavor sempre in borsa. Figurati. Stavo, e sto qui, in questa cittadina salata e senza futuro, solo per l’ultima speranza di rivedere Guido e la sua pittura divina. Loro lo sanno, ma, poveracci, si mettono a competere anche contro il suo fantasma, pur di provarci con me, femmina da conquistare, secondo l’opinione di questi zoticoni di mare. Nei miei occhi neri invece lascio entrare volentieri i pescherecci che nel pomeriggio arrivano con le loro reti umide appese e piene di </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fravaglia, </span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">come i pescatori chiamano quei pesciolini senza qualità, e quindi senza commercio: come vedo io i miei colleghi camerieri. Valgono poco davanti all’eleganza di Guido, figuriamoci davanti alla sua pittura. Lui sa esprimersi con uno stile asciutto ma espressivo, così si distingue senza spocchia dalla moltitudine di pittoretti che sono in circolazione in questi anni barbarici. Così diceva quel critico di Firenze sul catalogo un po’ informale della sua ultima mostra. Maledetto lo stile e la mia ostinazione a volerlo bere come fosse limonata fresca. Speravo di baciare Guido tutte le mattine, per prendermi il suo stile, la sua unicità. Farmi contagiare ogni santo giorno come una santa col suo oppresso. Che scema, la solita scema ragazzina di trent’anni che beve cose di cui non conosce gli effetti né tanto meno il sapore vero, crudo e terribile della realtà che si appiccica ai nostri corpi. Niente, non capisco proprio niente, sarà la tara di famiglia.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecco questo golfo che diventa ogni giorno sempre più piccolo, con queste sue casette colorate una diversa dall’altra che tempo fa sognavo di abitare: qui avrei potuto scrivere pure un’altra </span><span style="font-size: 14pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Guerra e pace</span><span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> a puntate per il giornale locale, se solo avessi avuto l’opportunità di amare Guido. Lui amava il mare soprattutto d’inverno, ché d’estate scappava in Grecia, da quei suoi amici pittori squattrinati che stimava più d’ogni altra cosa. Di me, sicuramente. In fondo mi considerava una ragazza pigra e viziata da una famiglia di strambi, come mi disse quella volta durante una litigata. Ecco, credo sia questa la natura del suo rifiuto: scarsa considerazione di me, e del nostro futuro insieme. Anche se so di non avere prove al riguardo, Maria, dimmi tu allora perché mi ha poi evitato in tutti questi atroci e lunghi anni di separazione? </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“In realtà non gl’hai mai fatto capire veramente che lo rivolevi così tanto. Allora lui ha fatto quello che avrebbe fatto chiunque: i fatti suoi. Che sono scelte, occasioni da cogliere, gesti umani legittimi, o no?”</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Maria, ma tu fai davvero? Stavo sempre con gli occhi addosso a lui, alle sue mani, al suo corpo …”</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Appunto! Cose vere solo per te, Giulia cara; tu hai fatto poco per prendertelo davvero.”</span></div>
<br /><div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Forse ha ragione Maria: ho sempre aspettato che le cose accadessero solo per la maniera con cui le guardavo e desideravo. La realtà ha vinto. Ora faccio la cameriera per quaranta euro a sera e aspetto il lunedì per scappare a Roma con la pazza speranza di incontrarlo. Frequento tutte le mostre o eventi culturali che propone la città, e dove possa esserci lui con la sua faccia un po’ triste a illuminare il mondo. E me.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">“Giulia! Una margherita al tavolo uno. Dài, sbrigati”.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In questa pizzeria tutto è povero, ovvio e senza futuro. Vedi scorrere la felicità insieme alle pizze, che poi si ferma lì quella felicità momentanea, su quella pizza farcita sempre più in maniera esagerata: una volta c’era la capricciosa a fare la differenza, e poteva bastare. Poi guardo i clienti e capisco che la volgarità si sta mangiando il gusto, lo stile con cui avevamo fatto un patto, silenzioso, tra cittadini circondati da tanta bellezza e il resto del mondo. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dentro questa pizzeria io adoro soltanto la storia di Kaled. L’altro pomeriggio sono stata a casa sua. L’avevo accompagnato a casa per via dell’acquazzone improvviso, e che andasse via in bicicletta con quelle ruote così piccole per le sue gambe, non mi andava giù. Allora mi sono fatta coraggio e ho messo da parte quel pudore che aleggia spesso tra me e lui, tra me e la sua cultura araba. Prima del caffè mi ha fatto assaggiare una sfilza di cose buone: dolci arabi, cocomero e gelato. Il caffè l’ha preparato la moglie, il figlio grande ha tagliato il cocomero, e il secondo ha servito i dolci. Gli altri due, tre e cinque anni, mi fissavano con due olive nere al posto degli occhi. Erano una famiglia, e condividevano così bene tutto quel poco.</span></div>
<br /><div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Durante la notte, aiutata da una digestione lenta anche per tutto quel miele nei dolci arabi, ho sognato Adim. Da quella volta che l’ho investito su quella strada stretta di curve e vedute. Con quel potenziale omicida che erano le mie notti a base di alcol e cocaina, insomma, da quella volta ogni tanto mi torna in sonno a trovare: ha sempre il braccio ingessato e continua a venirmi a trovare con questa infermità, nonostante siano passati due anni da quell’incidente. Ora ha vent’anni, e sicuramente sarà tornato a lavorare ai mercati, con le sue braccia muscolose e veloci pronte a scaricare camion interi di frutta e verdure. Questa notte mi ha dato un bacio. Aveva lo stesso sapore di quelli che ricevevo nell’adolescenza. E mi sono svegliata di colpo in piena notte, poi ho bevuto un bicchiere d’acqua, ho preso due pasticche di valeriana e ho controllato le mail. Non si sa mai, che dall’etere arrivi qualche soffiata sulla mia disponibilità ad amare di nuovo.</span></div>
<br /><div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Domani andrò a trovare papà in clinica. Domani gli dirò che deve trasferirsi da me. Non ha senso che continui a stare lì dentro, circondato da persone assurde. Lui sta bene oramai. E in fondo poi io, diciamolo una volta per tutte, non ho più speranze che Guido ritorni da me. È stata un’illusione che mi sono trascinata appresso anche per scacciare la decisione di ospitare papà a casa da me. Ancora mi spaventa l’idea, lo so, ma non posso più aspettare: lui invecchia e le nostre angosce si gonfiano sempre di più, dentro i nostri esili petti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.8; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Domani all’alba vado e glielo dico subito, appena lo vedo. Altrimenti la sua tenerezza mi blocca come sempre, e poi comincia a raccontarmi di Tonino e delle sue smanie di conservare le vite degli altri nella testa: non sopporto più questo dipendere dalle scelte degli altri. Basta, papà deve venire a vivere con me, e non voglio sentire altre storie: questo devo dirgli con gli occhi più decisi del mondo. </span></div>
<div>
<span style="font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.7999999999999998; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<div>
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: "times new roman"; font-size: 13.999999999999998pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre;"><br /></span></div>
</div>
<div>
<div style="text-align: left;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: "times new roman"; font-size: 13.999999999999998pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre;"><br /></span></div>
</div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-9879532680449623222018-09-04T11:09:00.001+02:002018-09-04T11:09:07.950+02:00Giulia e i ciliegi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Devo scendere. Sì, alla prossima fermata scendo. Devo prendere aria. Qui sto scoppiando. Mi sta salendo un missile quadrato in gola. Stringo forte il barattolino</div>
<div style="text-align: justify;">
giallognolo: è lì pieno e stretto nella tasca del pantalone. Dentro c’è la mia calma.</div>
<div style="text-align: justify;">
Certo, potrei prenderle ora, ma sarebbe imbarazzante qui nella metro: stanno tutti già</div>
<div style="text-align: justify;">
a fissarmi con quelle facce appese. Lo faccio pure io di solito, di fissare il mondo di</div>
<div style="text-align: justify;">
persone che scorre silenzioso e serio sottoterra.</div>
<div style="text-align: justify;">
Fermata Cavour. È piccola, anonima. Anni fa volevo iscrivermi a una scuola di</div>
<div style="text-align: justify;">
fotografia appena fuori dalla fermata. Proprio qui mi toccherà prendere per la prima</div>
<div style="text-align: justify;">
volta le dieci benedette gocce di Tranquillirt. L’ha deciso il due aprile duemiladue la</div>
<div style="text-align: justify;">
dolce psichiatra del San Camillo, non di certo io. Insieme ai suoi materni consigli</div>
<div style="text-align: justify;">
fece scivolare dal suo tailleur grigio pure questo flaconcino già aperto: utilizzato</div>
<div style="text-align: justify;">
chissà per quale altro dramma. Quella sera dalle sue mani affusolate finì dritto nella</div>
<div style="text-align: justify;">
mia tasca. Da quella sera è sempre con me.</div>
<div style="text-align: justify;">
Adesso me le tracanno d’un fiato, alla faccia dei basagliani d’accatto, che non</div>
<div style="text-align: justify;">
sanno niente di Basaglia né dei rischi che corre la nostra mente certe volte: voglio</div>
<div style="text-align: justify;">
vedere loro in queste condizioni cosa farebbero. Una ragazza sensibile come me, una</div>
<div style="text-align: justify;">
brava lavoratrice, gentile pure con le tigri che all’improvviso, dopo trent’anni vissuti</div>
<div style="text-align: justify;">
normalmente, si ritrova ad avere un enorme panico che parte dalla testa e come un</div>
<div style="text-align: justify;">
serpente sguiscia per tutto il corpo. Per questo motivo fare sempre figure di merda,</div>
<div style="text-align: justify;">
scappando quando si sta tra gli amici, sempre con la scusa dei mal di pancia, o della</div>
<div style="text-align: justify;">
gatta rimasta sola in casa. E il mio ragazzo che non vuole più fare l’amore, e so pure</div>
<div style="text-align: justify;">
che va dicendo in giro “sembra ‘na matta, con tutte ‘ste paure che gli vengono</div>
<div style="text-align: justify;">
all’improvviso”. A dire il vero, solo quando sono al lavoro sono sicura, puntuale, e</div>
<div style="text-align: justify;">
non scappo mai.</div>
<div>
<div style="text-align: justify;">
Devo scendere e andare verso il primo angolo buio della stazione, oppure uscire,</div>
<div style="text-align: justify;">
insomma, ora devo farlo: prendere le gocce come una tossica, come mia madre. Sono</div>
<div style="text-align: justify;">
ormai dentro questa storia che non conosce pace. Dovrei finirla una volta per tutte coi</div>
<div style="text-align: justify;">
pensieri perdenti, sembrano veri ma in realtà sono come le menzogne del tuo racconto</div>
<div style="text-align: justify;">
che non hai il coraggio di scrivere fino all'ultima riga.</div>
<div style="text-align: justify;">
Scende la calma.</div>
<div style="text-align: justify;">
Già mi sento meglio, le gambe alleggerite e l’asfalto che si ammorbidisce</div>
<div style="text-align: justify;">
lentamente sotto i piedi. Le insegne al neon che si allungano come giganti bolle di</div>
<div style="text-align: justify;">
sapone colorate: mi pare di vedere la faccia rugosa e serena di mia nonna annuire là</div>
<div style="text-align: justify;">
in fondo al cunicolo nero. Arriva il dolce rumore delle auto che mi spinge a sedere</div>
<div style="text-align: justify;">
mollemente sul gradino freddo della scalinata, e tutto si distende e apre, sento gli</div>
<div style="text-align: justify;">
scooter laggiù allontanarsi al rallentatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
“Ciao, volevo dirti che la matta stasera si è fidanzata col Tranquillirt gocce e</div>
<div style="text-align: justify;">
preferisce il suo sapore aspro nella bocca, la sua dolce sicurezza nelle tasche, al tuo</div>
<div style="text-align: justify;">
flaccido braccio peloso sulla mia spalla”.</div>
<div style="text-align: justify;">
Questo messaggio lo cancello, perché non lo capirebbe e starebbe poi un’ora al</div>
<div style="text-align: justify;">
telefono a chiedermi scusa, sbaciucchiandomi di sms; no, lo lascio stare con la sua</div>
<div style="text-align: justify;">
serenità da ginnico che si ritrova. Già, lui va a correre tutti i giorni, e in più passeggia</div>
<div style="text-align: justify;">
nel parco durante le pause pranzo, dopo che ha mangiato pizza integrale bio nel forno</div>
<div style="text-align: justify;">
natura&sapori. Lo odio. Fa il maschio, l’uomo brillante e rassicurante solo con le sue</div>
<div style="text-align: justify;">
amiche, quelle fidate, dice lui, quelle stronze penso io. Ma non glielo dico, perché</div>
<div style="text-align: justify;">
devo rispettarle, e perché faccio parte della generazione che ”devi essere amica delle</div>
<div style="text-align: justify;">
sue amiche, e anche delle sue ex” e tutte ‘ste stronzate che stanno in piedi solo dentro</div>
<div style="text-align: justify;">
ai discorsi dell’aperitivo, ma che poi nessuno ci crede per davvero mentre rientra a</div>
<div style="text-align: justify;">
casa la sera. Ecco, sono di nuovo agitata, ma stavolta non voglio cedere. Ancora</div>
<div style="text-align: justify;">
dentro a questo budello nero di metro, cammino lentamente con la mia borsa rossa</div>
<div style="text-align: justify;">
che sfiora altri fruscii silenziosi. Fisso l’intero vagone di occhi, cellulari luminosi e zaini afflosciati: l’esercito dei pendolari felici solo a letto, quando mettono i piedi</div>
<div style="text-align: justify;">
gonfi sotto il lenzuolo ghiacciato. Smorfio un sorriso e mi siedo accanto a una</div>
<div style="text-align: justify;">
vecchietta truccata male, eppure con un viso pieno di tranquillità.</div>
<div style="text-align: justify;">
- Prego signorina, si sieda qui.</div>
<div style="text-align: justify;">
E intanto alza la borsa marrone dal sedile e con una mano bellissima mi invita a</div>
<div style="text-align: justify;">
sedermi. La ringrazio più con gli occhi che con le parole. Mi siedo accanto a lei e mi</div>
<div style="text-align: justify;">
viene voglia di continuare il viaggio fino al laghetto dell’Eur dove passeggiare,</div>
<div style="text-align: justify;">
passeggiare sotto quegli infiniti ciliegi umidi. Una volta ci abbiamo portato i bambini</div>
<div style="text-align: justify;">
del Centro diurno, durante la bellissima fioritura d’aprile: correvano come pazzi</div>
<div style="text-align: justify;">
calpestando l’erba, spernacchiando le anatre. Quel giorno avevo corso, saltato, riso</div>
<div style="text-align: justify;">
come una matta e avevo abbracciato tutti, e anche Guido, l’altro operatore in turno.</div>
<div style="text-align: justify;">
Poi è sparito l'abbraccio, è sparito Guido e pure quell’emozione elettrica di amare per</div>
<div style="text-align: justify;">
un attimo e non piangerne abbastanza. In fondo era colpa dei ciliegi, con quei fiori</div>
<div style="text-align: justify;">
viziosi ad annunciare chissà quali follie primaverili in città.</div>
<div style="text-align: justify;">
Chissà se stasera i ciliegi mi aspettano ancora fioriti.</div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Scritto da Peppe Stamegna</div>
<div style="text-align: justify;">
2016</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-78886918990134967712018-08-26T19:18:00.000+02:002018-08-31T17:08:56.471+02:00prove tecniche d'autunno<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-tab-count: 1;"> </span></span><span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;">Devo dimettermi, da me. In Italia non si dimette mai nessuno, ma io lo farò.
Vorrei dimettermi dall’uomo che sono stato negli ultimi dieci anni. O almeno da
quell’uomo che ha creduto di essere speciale. Spiego meglio. Ho fatto tante cose
in questi anni, anni intensi in cui i miei capelli sono diventati brizzolati, ma volevo
partire dalle parole, quelle che hanno disegnato scene del mio mondo e sono arrivate agli occhi degli altri, che spulciavano nel mio
blog. Niente, voglio ripartire dalle parole e
dall’effetto che fanno verso gli altri (su di te). Ecco, questo è il punto, gli
altri: io ho un bisogno infantile d’amore, lo so. Allora cercherò </span><span style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14pt;">di dare un significato approfondito alle
dimissioni annunciate all’inizio. Provo a dimettermi dal poppante che
sono stato, e che in questi dieci anni ha preso le sembianze di uno
scribacchino lirico, a tratti ironico, ma pur sempre tendente alla lagna
pre-poppata. Forse il punto è un altro ancora: ho saputo scrivere di me, senza spocchia,
con umiltà e ora sono sfiancato da tanto sforzo vano: perché non mi segue più
nessuno, cazzo? Così va meglio, non ho bisogno di contradditorio io, ne produco dieci
al minuto. Oggi voglio liberarmi di piccole verità e dare il ciuccio all'uccellino.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> Stanotte mi sono
ricercato su google e ho capito che in questi anni avevo davvero bisogno d’attenzione. Di un amore diverso da quello che ricevi dalla tua famiglia o dagli amici, da
tua moglie. Insomma, cercavo amore ma scrivevo che ne avevo già vissuto
abbastanza nell’infanzia dorata, nell’adolescenza inquieta o nella giovinezza
sfrontata e poetica: cazzate! Fingevo, come fa un bimbo insaziabile davanti ai
seni rinsecchiti da lui medesimo. Poi, quando qualcuno coglieva sfumature di
talento qua e là nelle vagonate di cose che scrivevo, allora mi ritiravo come
una lumaca intimidita da una fogliolina che cade. Fingevo ancora di più, di non
essere all’altezza, ma invece nella brace, tra i polmoni e il cuore , lasciavo
bruciacchiare ogni residua modestia: sulla tastiera battevo i miei limiti, ma
sulla faccia nascosta ingrossavo i miei desideri. Certe volte, dopo commenti
positivi ma disinteressati che comparivano sotto i miei incessanti post, quelli che non provenivano da conoscenti, mi pavoneggiavo e pensavo al mio futuro di
scrittore in camicia bianca sempre pronto a brindare con vino bianco da
intenditore, nei bar del Pigneto al tramonto: cazzate! Intanto che fingevo
questa condizione ridicola e lussuriosa, in casa, intorno a me, trasmettevo finzione a reti unificate. Facevo l’ipocrita mettendo like ruffiani ma poi cercavo di bilanciarli spudoratamente con altri tweet autoironici, come
se la derisione in differita facesse scomparire il mio gesto ruffiano e
opportunista: volevo farmi notare come persona unica, come tutti. Anzi, a me
non bastava che provenissero da centinaia e centinaia di persone nuove che non avevo
mai visto, no, io volevo sollecitare i like della scrittrice, della regista,
dei giornalisti che piacevano a me, solo a me. Velleitario, mi caricavo di quelle energie scintillanti leggendo quei commenti, like, retweet estorti con lunghe e sottili strategie
social: facevo il simpatico. Intanto gli amici coi loro calici di vino del sabato sera, vini
pregiati da supermercato, sparivano lentamente, come in un film di Muccino, ma
al contrario. I figli, docili ma espertissimi di cose social, mi
contraccambiavano con la stessa solitudine: arrancavo con loro, cercando lo stesso di rimanere un esempio, leggendogli i libri prima di dormire, ma intanto con le mie nevrosi brillanti gli stavo comunicando solo il mio fallimento a piccole dosi,
come l’acqua fresca omeopatica: cercavo di risolvere il dramma con piccole
scene drammatiche. Questo fino a ieri, l’altroieri per chi legge oggi. Ora,
alla fine di questo periodo, cosa avevo intenzione di scrivere se non che ho esaurito le
scorte di parole e se non mi metto a studiare (sul serio, cazzo!) da qui a un
mese esplodo insieme a tutte le parole che non ho scritto ancora.</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> Uno scrittore su Twitter
definisce le prossime uscite editoriali immature, poiché trattano il tema
genitori-figli in chiave di conflitto irrisolto. Fa sorridere, ma cos’altro
stiamo a fare sui social, nelle nostre case, nei bar, davanti alle nostre
scivanie Ikea? Non cerchiamo di dissimulare la nostra tenera incapacità di fare
il passo avanti che ci emanciperebbe da questa bella vita sospesa,
adolescenziale e gravida di ogni possibile destino? E che ci permette di cazzeggiare a quarant'anni come non si era
mai visto fare nelle epoche precedenti. Almeno cazzeggiamo con stile, senza
invidie, ipocrisie, conflitti d’interessi: amiamoci di più, cazzo. Non ci somigliamo un po' tutti nelle nostre nevrosi sporche di umanissimo snobismo?</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 18.0pt;">Pezzetti di racconti estivi</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> Entrati nella Valle dei
Templi, avevamo gli occhi spalancati al massimo per far entrare tutto quel mondo invecchiato benissimo. Davanti al Tempio della Concordia tutto rosaceo, siamo rimasti in sospeso anchr noi come colonne doriche. Mio figlio piccolo era tutto rosso di tramonto
e scattava foto, e girava intorno alle colonne e le osservava come si osservano
certi giocattoli sacri dell’infanzia: un posto dove l’atmosfera è fatta d'aria propria, che già in biglietteria scompare. Mio figlio inciampava, saltava e rideva per tutta la curiosità che respirava. Per quanto mi riguarda
da lì a poco, dopo lo stupore di stupirmi a osservare l’anima in trasparenza di
mio figlio, e il vedere mia moglie diventare più bella con quei riflessi rosacei, mi sono ritrovato nel parcheggio tra gli ulivi senza le chiavi
della macchina. Mi metto a piagnucolare, poco prima avevo lasciato per una
mezz’oretta lo zaino incustodito su un muretto a secco: ecco, si sono prese le
chiavi, ripetevo al buio tra gli ulivi e circondato da minacciosi latrati. No,
scemo che sono, la macchina è lì, coi suoi 220000 mila km in corpo. Mi avvio verso mio figlio e mia moglie con fare da disperato. Mia moglie, insieme al
custode del museo mi ripetono come due infermieri di calmarmi e controllare
nelle borse. Niente, non ci sono le chiavi. Sono le ventitré, stanno uscendo
tutti attraverso i viali illuminati con luce fioca dei Templi, lo spettacolo
teatrale in siciliano sta finendo, ci siamo io e mio figlio con le torce dei
cellulari fiondate su quei viali che abbiamo percorso poco prima felici e
stupiti di meraviglia greca. Montiamo sopra un taxi elettrico, con la
complicità di un vigilantes originario del Piemonte: ma che ci fa qui? mi
chiedo, tra una boccata d’ansia e un pianto strozzato. Anche nei momenti
peggiori me ne sto lì a scervellarmi del perché uno stia lì, in quel momento,
davanti a me, invece di stare in un altro posto: mi fisso con le scelte che
fanno le persone, lo faccio da sempre. Insomma, entro nel bar dove eravamo
stati poco prima e il barista alla mia domanda “avete trovato un mazzo...” mi
mozza la frase rispondendo: ma la capa dove ce l’hai? ecco, la capa ce l’ho
impegnata a pensare le scelte cruciali che fanno gli altri, con tutti i sentimenti che ne conseguono. A questo punto abbraccio mio figlio, e me lo tengo
abbracciato lungo tutto il viale, mentre mi preparo a ricevere il
giusto cazziatone da mia moglie. Poi ci ho parlato col vigilantes, facendogli
una specie di intervista come non facevo da anni: un tempo gli amici mi
chiamavano Marzullo. Del vigilantes ormai so il perché della sua scelta di
vivere ad Agrigento, ma quello che non so ancora me lo sono immaginato dopo in macchina. Ma del
perché proprio lui fosse lì, in quel minuto che io perdevo le chiavi e lui,
gentilmente, con l’accento nordico, mi rassicura e aiuta come un angelo
terapeuta con la faccia d’attore di film alla Banfi, ecco, questo non
lo so ancora e per saperlo forse devo scrivere e scrivere fino alla fine. Perché stavo
lì davanti a lui, in quella notte di luna tagliata a metà che si stagliava sulle colonne d'Ercole?</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> Al rientro in auto
sfiorando paesi con nomi montalbaniani, continuavo a pensare al perché fossi
lì, e non a San Vito Lo Capo come tutti gli altri, in questa estate 2018. Lo
sapevo in realtà: perché dovevo risarcire il figlio grande per la mia
disattenzione di questi ultimi anni di scrittura e paura: dovevo restituirgli
un desiderio. Per farlo abbiamo preso una casa sgarruppata, sul mare però, a
Scoglitti, terra di seconde case di contadini arricchiti sfruttando, oltre che
la biotecnologia, anche tanti immigrati affamati di stabilità. I nostri vicini di
cortile avevano una età media di settant’anni, claudicanti come noi, seppure noi
solo d’animo per un inverno pesantissimo alle spalle. Quel mare increspato di
schiuma che alla lunga ci ha stufato e, grazie a questo nostro stufarci per tempo, ci ha permesso di vedere paesi dell’entroterra che solitamente mi fanno pensare: chissà come vivono d’inverno
queste persone. Passeggiando per Ibla mi è salito un sentimento folle di
volerci vivere almeno un mese dentro quelle casette barocche di ringhiere e di
misteri, magari a gennaio, quando ci restano a vivere in tremila, come mi aveva
detto con un certo sollievo il barista poco prima che mi uscisse dalla bocca
questo desiderio. I figli davanti a certe frasi mi danno retta e rilanciano ipotesi
di vita diverse dalla nostra: si affacciano con me su balconi di fantasie.
Questo filo, questa follia, mi unisce a loro, oltre che per un convinto
disprezzo per Salvini e il suo bullismo oramai imperante anche nei bar. Mia
moglie ci osserva arresa, ma rincara la dose contro Di Maio, a cui dedica un
“scappiamocene a vivere in Spagna”. Ci siamo divisi per bene anche le
idiosincrasie, in famiglia.</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> Interno, mercato del
pesce di Scoglitti. Stiamo davanti alla banchina delle barche zuppe di pesce,
accanto a un faro: di fronte un bar e due strade che scendono parallele.
Compriamo una cassetta di polpi di scoglio, pescati un’ora prima. Paghiamo e
scoppia il temporale. Ai lati, e poi anche al centro, di questa enorme zattera di
cemento pieno di pesce appena pescato e con persone bramose di comprarlo, scorrono
fiumi d’acqua. I tombini saltano, siamo tutti intrappolati. Comincio a fissare
la Razza gigantesca e il suo sguardo pacifico, poi passo in rassegna le facce
preoccupate dei pescivendoli con le loro scope inadeguate per deviare l’acqua.
Il mare intorno è placido, nero. Un coglione parcheggia con un Suv gigantesco
davanti all’ingresso creando una deviazione d’acqua verso la zattera-mercato: i
pescivendoli pescatori urlano in siciliano stretto maledizioni che gli fanno
prontamente inserire la retromarcia. Un’acquirente vogliosa di pesce fresco
come noi è preoccupata per i suoi genitori bloccati in auto, a cinque metri da lei,
ma che non si vedono per la pioggia e in parte anche per il Suv di prima. Mia moglie cerca di
consolarla, io continuo a circumnavigare la zattera di cemento e noto che solo alcuni
metri quadri sono rimasti non allagati d’acqua sporca piovana. Trattengo l'ansia pensando alla sfiga poetica dei Malavoglia, ma mi sale una voglia assurda di cannoli siciliani con la ricotta messa dietro le quinte dei bar.</span><br />
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"> La nostra macchina è
semisommersa, fino all’altezza del marciapiede, così, quando decidiamo di
sfidare i torrenti di fango per andare a casa, dove era rimasto il figlio a
leggere Giamburrasca, ci paralizziamo di paura e aspettiamo. Poi i neuroni
genitoriali ci spingono a partire, ma ci ritroviamo ancora fermi sul lungomare
allagato: è diesel, si rovina, impreco da genitore che deve poi ricomprarsi
l’auto. Riusciamo a sentire il figlio, aveva come spesso accade il cellulare silenziato, dice di stare in casa: è salvo, urliamo dentro, ma senza sfiorare il ridicolo
di dirlo ad alta voce. Chiediamo indicazioni per strade secondarie e dopo dieci
minuti ci ritroviamo sull’uscio di casa con una busta di polpi e con degli
occhi a fanale sul figlio: sei vivo, stavolta quasi scappa fuori il suono ridicolo di
due comici spaventati genitori.</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span> I polpi erano buoni,
mangiati col limone, come aveva suggerito Camilleri ai suoi paesani quando è
tornato a trovarli dopo anni di esilio romano.</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 14.0pt;">Mio figlio aveva divorato Giamburrasca e le sue avventure, invece delle
nostre rideva senza appassionarsi più di tanto. Allora ci riproverò,
scrivendogliele meglio domani.</span><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<br /></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-17417075013334742822018-07-28T13:11:00.001+02:002018-07-28T13:11:54.627+02:00vorrei pensare alla felicità anche se so qual è la verità<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 13.999999999999998pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap; white-space: pre;"> </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 13.999999999999998pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap; white-space: pre;"> </span><span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; text-align: left; white-space: pre-wrap;"> </span><span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; white-space: pre-wrap;"> Tutti i giorni mi sveglio con due illusioni sul comodino, mi aspettano come due gatte guardinghe, belle. La domenica faccio finta di non vederle, scendo giù, preparo il caffè, controllo le notifiche, e mi bevo l’intera caffettiera. Aspetto che si alzi J., poi E., poi comincia la tensione per l’ultimo risveglio. Come starà oggi? Allora annaffio le piante, leggo qualche pagina di libro rimasto a metà, sfoglio quotidiani e supplementi impilati accanto allo stereo, che intanto fa uscire canzoni selezionate dal mio youtube: Nick Cave, Brunori, Lucio Dalla, Rancore...</span></div>
<span id="docs-internal-guid-2d7dd704-e094-c857-2ab9-017b3e45ce9d"><div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi si alza il sole, dentro fa meno caldo, ma l’aria è malaticcia come quel sole nero che staziona sopra il parcheggio semideserto. Vado giù, parlo usando parole il più possibile leggere, selezionate dalla parte migliore del mio cervello. Faccio in modo che sfiorino la sua mente: che vedo agitata e scura già a quest’ora del mattino. Faccio il possibile, mi ripeto tutto il giorno, faccio il possibile per creare un clima di equilibrio e speranza in questa casa. Sfido le tare famigliari, gli stipendi magri, gli umori dell’Italia in questi mesi, il caldo che soffoca ogni vostro desiderio.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Così mi ritrovo a essere fortissimo, a organizzare campeggiate dei ragazzi all’<a href="https://www.facebook.com/ecosound.fest">Ecofest</a>, una vacanza in Sicilia, l’uscita in piscina di oggi. Poi uno sguardo torvo, due messaggi pessimistici, disperati nel tono, e la tempesta, quella di cui scriveva la Ginzburg per tentare di tranquillizzare i genitori di adolescenti; subito dopo che è passata, sento di essere asciutto di ogni energia. Sento pure l'irrequietezza salire dalle cosce, e allora faccio le scale due alla volta e vado dalle illusioni: non ci sono più, stanche anche loro degli scarsi risultati ottenuti si sono lanciate dalla finestra. Sì, forse è inutile stare mesi e mesi aggrappati all’idea di cambiare i pensieri degli altri. Se non sei un professionista, dicevano gli Afterhours, non puoi giocare col dolore delle persone. Ma io sono il padre! Ho digerito delusioni, rifiuti, eppure non mi sono disperato e nemmeno intristito. Quel fuoco che spinge a voler salvare qualcuno, in dei giorni semplicemente te stesso, e che riesce a spegnere ogni fallimento o tormento e ti lascia uno spazio enorme da colmare attraverso vuoti e vuoti di sofferenza luminosa. Una lotta da matti contro la propria storia. Questa è la strisciante brutta verità. Questo sangue malato degli antenati da contagiare con sangue fresco di queste giornate strambe, mai viste così nitidamente prima d’ora.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Mi stendo sul divano, stavolta c’è musica di radio sonica che riempie il soggiorno, sullo sfondo Rainews24 con volume silenziato, e in alto il ventilatore che imperterrito tenta di raffreddare tutto. Ho voglia di dormire. Di pensare corpi e luoghi accoglienti, ma non crollo, infatti mi rialzo e chiamo il figlio per il pranzo. Un panino e la pizza, era per il pranzo in piscina ma ci ritroviamo su questa solita tavola ikea per la sua rinuncia, che sposa la mia paura di lasciarlo da solo. Sono carico, così inizio a parlare con voce tremolante, tendente al duro, ma un duro che somiglia a una debolezza trascinata dai lontani anni disastrati della mia adolescenza, mai dimenticati. Da dimenticare con determinazione, oggi. Per rinascere col muso duro, spietato: così mi metto a scacciare la vecchia faccia implorante di mia madre, i remoti farfugliamenti in dialetto di mio padre, i soliti sussurri di mia sorella e gli eterni silenzi di mio fratello. Andatevene, vi prego, ché oggi ho da fare una cosa importante: bruciare ogni mia lagna residua.</span></div>
<br /><div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sono allo stremo della pazienza, sento il peso della lentezza dei cambiamenti. Il mio ritmo, la mia presunta ciclotomia ne soffre, ma insisto, così gli faccio un discorso che sa di don Milani, e sa pure della mia storia scorticata come muri impregnati da quei silenzi che vivevo a casa dei miei.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Urla Giuseppe, fatti sentire. Sussurra la vocina stronza rimasta nel cofano della mia mente in questi anni strani di troppo amore, di puzza di cose fatte a metà, del suo inutile orgoglio di oggi che non serve proprio a niente. Quella vocina cattiva che sa farmi vedere le cose buone da fare.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Così scrivo per scacciare la morte sotto il tappeto, e quella sua puzza d’agguato che scolorisce i nostri giorni brevi. Sognavo amici illuminati, poeti di fatto, sensibili e operosi quanto un carico di api che sciamano per la Regina. Ah, tempesta che aspetta un segnale, uno sguardo che sciolga ogni dubbio, ogni colpa residua di un tempo che sfuma e abbaia gloria mai avuta. Notte che s’ingolfa di ricordi sbiaditi e lontanissimi come pianti di bambini davanti a gonne a fiori sopra le ginocchia con quel loro vischioso sapore misterioso di naftalina. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ora dormo, mi fermo, e aspetto quella pagina bianca, candida, così piena di peccati mai praticati nemmeno nel pomeriggio. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> In un pomeriggio afoso pieno di promesse arriva il crollo. Lui accovacciato contro il muro, io che gli rimango accanto, al piano di sotto E. e J. preoccupati. Tutti e quattro soli di spavento. Un filo di nylon ci lega e strangola, e a soffocare oggi sono io. Scappiamo al pronto soccorso, in auto penso a quanto debba essere brutto l’ultimo viaggio di uno che ha due figli che lo aspettano a casa per cena. Invece rieccomi sul tavolo ikea a scrivere di un risveglio splendente, fatto di discorsi progressisti, umani, contro i salviniani che ci circondano: ci avessero ascoltati dall’alto, un premio Pulitzer all’intera famiglia ce l’avrebbero dato eccome. Stamattina dal pescivendolo ho affrontato un novax con stile, dicendogliene quattro, ma ragionevolmente: sono migliorato, non urlo più e tiro fuori meglio le mie opinioni, i miei sentimenti. Ieri al pronto soccorso stavo tra un nigeriano preso a bottigliate nella jungla di San Basilio e un tipo caduto dallo scooter. Il nigeriano aveva ferite mostruose, una faccia sofferente, e un tono di voce dolcissimo mentre mi raccontava le sue peripezie. Nell’attesa il tipo dello scooter faceva casino, reclamava l’antidolorifico e cure come un mammone, mentre il ragazzo nigeriano dormiva coperto da un lenzuolo di pensieri e cure istituzionali. Io che avevo avuto un malore da stress emotivo, con dolori al torace, aspettavo le analisi e radiografie che mi dichiarassero salvo. In mezzo a loro mi sentivo forte e fortunato, e con ancora anni e anni per svolgere al meglio il ruolo di padre, di uomo mite con un fuoco nel torace che cerca pace.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mi sentivo a disagio in mezzo a quello stanzone di infarti, morti imminenti, punture d’insetto, eppure mi sentivo accudito, rispettato da persone un po’ nevrotiche ma così umane di competenza e pazienza.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al rientro avevo dieci gocce di Tranquillirt in circolo che mi facevano scandire meglio le mie bellissime parole sensate: avevo la voglia di fare discorsi importanti, scanzonati e belli da far ascoltare agli altri. Spero che mia moglie e R. ne abbiano goduto ieri sera durante il rientro in auto. Ah, io voglio vivere così: parlare, scrivere, vivere e poi schiattare felice all’improvviso, se è possibile in un giorno di pioggia fitta fitta.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi arriva un altro mattino pieno di caldo e ti vediamo uscire con la camicia verso il tuo primo impegno di lavoro. Neanche ci emozioniamo tanto è lo stupore di vederti uscire velocemente dal cancelletto mentre il gatto coi suoi occhi arancioni segue i tuoi passi che somigliano sempre meno ai miei.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi arriva oggi, in cui con fare riflessivo riconosci che quel “lavoretto”, di vendite di macchine del caffè e materassi spaziali, era un bluff e, come scrivi in un messaggio a tua madre: sfruttano i ragazzini per non farsi dire di no agli appuntamenti, e io non voglio realizzarmi nella vita con queste cose. In questi giorni l’ho lasciato vivere questa esperienza senza intromettermi: il suo talento, e il suo tormento, lo hanno fatto desistere e ridere di queste persone che stressano altre persone per vendergli cose di cui non hanno bisogno.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Di cosa hai bisogno tu, figlio, ragazzo che mi dichiari una resa con queste parole “vorrei pensare alla felicità anche se so qual è la verità”.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/pH5niAmC3LQ/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/pH5niAmC3LQ?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div>
<span><br /></span></div>
<br /><div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ps</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ti ho lasciato insieme ai tuoi amici al capolinea di Saxa Rubra, state andando a campeggiare a Caprarola dove stasera ci sarà il vostro Rancore, a me resta un amaro buonumore.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Buon viaggio!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
</span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqIJ3a5IFzgBml9eSIrhjUqFfHWV67vjreVHjV285GIoLXpok1w1cRiu_Hc9ykPEMc88r7D7-FaS3-3PU4JOF66aNdevlLgYQcyO27WCNVrA1ISY8VJi7R41WRv2BUsmxwjd-dsaF-/s1600/IMG_20180728_115907.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqIJ3a5IFzgBml9eSIrhjUqFfHWV67vjreVHjV285GIoLXpok1w1cRiu_Hc9ykPEMc88r7D7-FaS3-3PU4JOF66aNdevlLgYQcyO27WCNVrA1ISY8VJi7R41WRv2BUsmxwjd-dsaF-/s320/IMG_20180728_115907.jpg" width="240" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 13.999999999999998pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap; white-space: pre;"><br /></span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-61215099102231176552018-07-02T15:04:00.000+02:002018-07-02T15:04:57.630+02:00Il ritorno<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-b1716fee-5b0c-cc7f-3123-4ae6cb1aca20" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Stanotte parlavi chiuso nel bagno con un tono sussurrante, implorante, amaro di incomprensioni subite, di sbandamenti non accolti; forse parlavi con uno dei tuoi amici che non frequenti più. Forse ti hanno chiamato per darti gli auguri. Un po’ me lo auguro, anche se ero intontito dal sonno e a tratti, per il sacro rispetto della privacy, mi tappavo le orecchie. Diresti, lo scrivi sul blog e ora fai la morale? Aspetta, scrivo soprattutto di me, anche rischiando di coprire la sua storia. In realtà il nostro rapporto ha tante di quelle variabili adolescenziali, di mie preoccupazioni trattenute, oppure slanci che potrebbero finire in qualche poesia postuma di Carver. Se ti va fai che questo racconto diventi una scorticata pittura rupestre da contemplare mentre fuori imperversano battaglie e amori. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Una persona che ha letto la scorso episodio sul blog, mi fa: ma i tuoi figli non s’infuriano per le cose che scrivi? No, ché non lo sanno e io non so fino in fondo perché mi ostini a questo lacrimoso esercizio esibizionista. Appena finite di leggere questo post chiamatemi che ci facciamo risate su risate sulle situazioni comiche che sto vivendo davanti a persone con facce strambe, un po’ alla Battiato e un po’ alla Pippo Baudo, e nel mezzo le mie chiacchiere con signore dalle collane lussuriose e buste della Crai portate alla maniera di quelle di Fendi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Stiamo in una città che ha fatto del suo meglio per diventare brutta, e quella colonna sconsolata e dorica mi ha schiantato i polmoni: era lì a trenta gradi, sparuta tra erbacce e palme, e si lasciava bullizzare dalle svettanti ciminiere Eni.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Eppure tu valorizzi l’umanità di questa città: buona 'sta pizza, qui so’ curiosi, me pare quel quartiere di Roma, o Formia. Io ci vivrei, dici al culmine della tua contentezza di aver frequentato per qualche giorno una persona con cui parli, ridi, come non facevi da mesi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Ti hanno appena chiamato dall’istituto paritario, ti hanno fatto delle domande e convocato per un colloquio. Mentre ascoltavo le tue risposte educate scrivevo dallo smartphone mentre la persona importante di prima ti fissava gli occhi mentre rispondevi sereno alla segretaria della scuola.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Potrei andare a fare un bagno, il cortisone è smaltito ormai, oppure mettermi in mezzo ai vecchi in piazza a leggere il giornale e intanto origliare, come ho fatto ieri, parole che danzano ora dolcissime ora spietate tra quelle facce rugose e oscene: favolose. Poi ho scelto i vecchi, anche se il barista, quando ha capito che venivo da Roma mi fa: ah sorcino!</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> In questo vicolo fresco di cornetto alla crema e canzoni in cuffia mi dedico alla migliore cosa che so fare, e in questo periodo della mia storia non è di certo montare una zanzariera o mettere zizzania in terrazza.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/Mm_j8tzRclM/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/Mm_j8tzRclM?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Stai irrigando su questa terra grigia malata delle tre un’intera stagione d’amore per te.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Io ti stringo, ti scrivo e lascio scorrere questa desertica piana fertile che fu. Ora vacche sperse e ruderi di sole facciate di pietra, poi trivella, tubi, sporco di progresso egoista. Mattei volteggia con la sua aspirazione bambina petrolio, noi seduti uno accanto all’altro cullati da musiche che non sanno più di plastica.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Eccoci visti dall'alto di una superstrada, con la tua morbida testa sopra la mia spalla umida che ti sostiene e fa appoggiare sentimenti nuovi per i tuoi occhi.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Elefante di Catania, ti prego, asciuga questo pomeriggio.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Continua...</span></div>
<a name='more'></a></div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-68724249124412148452018-06-30T18:00:00.000+02:002018-07-01T08:08:05.012+02:00Figlio contento<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "open sans" , "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> S</span><span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;">tiamo nel b&b uno accanto all'altro. Tu ascolti musica, io provo a usare i social per bilanciare nel mio piccolo (invano, sia chiaro) la follia collettiva che sta incattivendo mezza Italia: l’odio esasperato, ottuso, per i migranti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Stamani sono stato a vedere le mura greche. Dopo che ho percorso un tratto di sentiero mi è salita l’antica fobia per i cani. Nel sito c’ero solo io, così mi sono fatto coraggio e ho chiesto, dichiarando la mia fobia, al custode di garantirmi che non ci fossero cani in giro. Lui lo fa, ma i miei occhi supplicavano altro: capisce, e mi accompagna lungo tutto il perimetro di Capo Soprano. Chiacchiero con lui di Magna Grecia e della Madonna Delle Grazie, e alla fine ci salutiamo senza che nessuno dei due avesse imbarazzo delle proprie fragilità. Ecco, vorrei che la mia vita prendesse questa direzione. Non farsi paralizzare dal presente pressante, e abbandonarsi agli occhi degli altri, alle loro infinite e sconosciute sensibilità. Le differenze tra le persone spesso sono dovute ad agenti superficiali o passaparola velenosi, noi, umani scorticati di storia e paure, dobbiamo fare lo sforzo di capire chi abbiamo davanti, non necessariamente amarlo ma accogliere almeno le sue parole.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPheBQhG26dGkkG4Kg-fK4I4bwB1gwcWdRLqkEf5UdmAmN1eB5idjJkXehN3i4X23-KQmKHMYHJ38VSds6hFz-m61DDXjqnehQX0wfzvZJ2ZEvqIa7a6vvTDilq1DqNP-qatucoqzD/s1600/IMG_20180630_111228.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPheBQhG26dGkkG4Kg-fK4I4bwB1gwcWdRLqkEf5UdmAmN1eB5idjJkXehN3i4X23-KQmKHMYHJ38VSds6hFz-m61DDXjqnehQX0wfzvZJ2ZEvqIa7a6vvTDilq1DqNP-qatucoqzD/s320/IMG_20180630_111228.jpg" width="320" /></a></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;"> Pranziamo in una tavola calda fresca piena di piatti gustosi. Poi cominci a srotolare fuori tutto il benessere di questa breve vacanza. Parli di sport, di persone, di mamma e di luoghi come non avevi mai fatto prima. E hai gli occhi scintillanti che insieme alle mani mi disegnano scenari fantastici. Come ho detto a Daniela al telefono poco prima, voglio godermi questa tua rinascita senza troppa ansia.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mentre prendo il caffè al bar, passa un video di Ultimo, e tu dici che è stato proprio bravo a emergere da San Basilio. Intanto, ci incamminiamo e cominciamo a parlare di tuo fratello, e dici che è bravo a fare beat, conosce le note e ha talento. Ti ascolto trattenendo l’emozione e le parole che stavano fecondando, voglio soprattutto ascoltarti: sentire quello che sale lentamente dai tuoi abissi. Non voglio illudermi che sia finito quel tuo malessere che esplode all’improvviso, però vorrei fare un passo di lato e vederti nei prossimi mesi camminare deciso e sereno.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Anche il sangue scuro delle nostre famiglie, come scrive coraggiosamente Simone Lenzi, ci condiziona e rompe gli argini della ragionevolezza, tant’è, la nostra resta una lotta contro quei mostri umani dei nostri matti antenati che ci perseguitano da secoli. Mica siamo gli eroi che li sconfiggeranno con una vita appena, macché, ce ne vorranno di generazioni più attrezzate delle nostre per sconfiggerli del tutto. A me oggi basta sentire la tua voce felice che dice: comunque so’ davvero contento, oggi.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Poi ci sdraiamo ad ascoltare Luché che canta un pezzo insieme ad Avitabile. Succede una cosa che mi fa sentire sceneggiato da Virzì. Il testo riguarda noi, parla di quello che ci stiamo dicendo con parole diverse in questi giorni. Racconta quello che sto provando a scrivere da questo mare metà inquinato e meta splendente: che ce la possiamo fare se diamo potere ai nostri occhi, alle nostre storie, alle nostre sensibilità. Tutti, nessun escluso. Vabbè, qualcuno lasciamolo col cerino acceso mentre si fa l'ennesimo stronzo selfie.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Una cuffia tu e una cuffia io, navighiamo su suoni e parole che trasudano malattia e paura, eppure vedi come sta evaporando tutto nell'aria? Figlio, mi riesci a vedere quanto sono contento mentre ti sto cantando?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/HVPEjDpleto/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/HVPEjDpleto?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
</div>
peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-5354576804669936412018-06-29T10:14:00.000+02:002018-06-29T19:54:11.501+02:00Sicilia scaccia via quest'inverno di paure.<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-e3f4480b-4a90-5420-1554-6b8dd44b3b3c" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Scrivo mentre stai dal professore A., scrivo mentre non ci sei, perché mentre ci sei cerco di stare con te. Non riesco più a starti lontano, ché ho paura che resti troppo da solo, e star solo oggi non è più come quando stavi solo l'anno scorso. </span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In questo pomeriggio luminoso sto davanti a un Campari che mostra la scorza d’arancia come una vela malconcia. Intorno a noi ragazzine viziate sorseggiano coca cola qui nel bar al confine dei Parioli. Forse non sono viziate, poiché non so quasi nulla di queste ragazzine, ma vedo quel loro modo sgraziato di accavallare le gambe, o di chiamare il cameriere, che stavolta mi fanno andare d’accordo col pregiudizio. Quando il bicchiere di Campari era pieno, c’eri anche tu seduto al tavolino che divoravi un tramezzino: sbirciavo mentre fiutavi gli sguardi di quelle ragazzine vocianti di biondo.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Poi sono venuto a prenderti, insieme al libro che non riuscivo a leggere nella mano, e nell’altra stringevo lo smartphone; arrivi tu, apri il portone e mi dici di entrare. Il professore col suo amabile, calmo e roteante modo di parlare mi fa sapere che il percorso termina davanti ai tuoi progressi che gli hai appena raccontato tra questi arazzi e libri, che ci mancheranno un po’. Spiazzato, accenno mugugni, che il professore interroga subito. Ripercorro in un minuto le tue espressioni, le tue parole, da gennaio ad oggi, e ammetto che il professore sa quello che fa, nel congedarti pur restando disponibile dopo l’estate. Così entriamo in auto sorridenti. Metti il Cd di Rancore e passiamo in rassegna i testi di Rancore, e questa passione filologica spero resti come testamento emotivo nei tuoi racconti futuri.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Eccoci in macchina verso casa, ora la musica col bluetooth fa uscire sentimenti ammazzati dentro un’auto in Florida; mi fai ascoltare quel rapper che dici di avermi fatto già ascoltare l’estate scorsa. L’estate prima della tempesta, quella che sembra un’era di rabbia fa.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Passiamo a prendere mamma, sta lì con le sue buste di soddisfazione equo e solidale e il suo sorriso somiglia sempre di più al tuo sorriso di questi giorni: lo stesso che è in quella foto da bambino su quella bici gialla, anni fa. 2005, o giù di lì, quando è nato tuo fratello.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Vorrei piangere ora, ma io sto piangendo ora, e sto scrivendo come non facevo da secoli. </span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Intanto studio le mappe siciliane del nostro prossimo viaggio. Quello stretto, quel fuoco, e quella storia sapranno accoglierci come si aspettano i sogni al mattino? Ora spazzare via questo lirismo sdentato e scrivere del mio crollo di oggi. Un chiodo lungo un anno che premeva nella testa, “gli altri” che non sopportavo più, il tuo ennesimo risentimento che ho bloccato all’istante, e poi quella tua insopportabile rabbia esplosiva contro tuo fratello, insomma, tutto quel peso di nuvole nere che c’era oggi Roma.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/pH5niAmC3LQ/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/pH5niAmC3LQ?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
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<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;">Maledetto questo tempo di cattiverie esibite come medaglie, fatto di parole povere, concetti assenti, sensibilità soffocate per una rabbia bambina di non avere il macchinone nero, né un lavoro donato, né una fidanzata bionda. È che fa ringhiare anche persone insospettabili contro le facce spaventate dei migranti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E noi che parliamo così bene quando difendiamo i più deboli, e noi che staremmo sempre su un treno a fantasticare mondi a suon di musica e libri. Ah, Il lamento di Portnoy, che mi sto godendo in questa ciclotomia passeggera che mi fa vedere tutto nero, ma poi leggo e tutto scompare.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
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<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/mQdtg4jFR5U/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/mQdtg4jFR5U?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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<br /></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ora stiamo sul pullman uno accanto all’altro. Io scrivo, messaggi a casa, altri sui social, e tu ascolti il nuovo pezzo di Ernia - senti ch’è bella, pa’,e mi presti una cuffietta - e io che ascolto e penso alle tue insicurezze sempre più evidenti eppure sempre più scacciabili. So quanto ho contribuito in questi anni a farle crescere, perché crescevano anche in me. Scusa, scusatemi, in questi mesi ce la sto mettendo tutta a trasmettere energia buona a tutta la famiglia, e sto usando tutte le migliori parole che ho per voi. </span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A volte cedo, altre rinasco, poi ricado, e poi ancora mi rialzo e soffio dentro alla mia testa una sorta di tisana del pensiero: blocco ogni scatto aggressivo e riparto che sembro Gandhi in un centro commerciale.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Arrivati in questa cittadina spellacchiata e già generosa, poiché ti ha concesso di sfoderare sorrisi e battute in quantità che trabocca una quasi felicità.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dal letto del b&b scrivo in mutande e registro sullo smartphone questi segnali di disgelo emotivo, e sto benissimo.</span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
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<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(Continua)</span></div>
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peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4409137104048220582.post-69761046283051988222018-06-10T07:30:00.002+02:002018-06-10T09:07:51.527+02:00L'esordiente e la coca cola<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-1c5a7bd3-e825-6382-732f-28edaaa8fd6c" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;"> Due parole, due parole buone per descrivere una sconfitta liberatoria. Sono rimasto due mesi ad aspettare che mi convocassero quelli della casa editrice L’eruttiva, per definire l’uscita del mio libro di racconti. Ero pronto per la collana esordienti. I racconti erano autosufficienti e avevano bisogno solo di un editing finale, così mi disse con un tono flebile Antonio Campanella, editor che mi accolse con una coca cola tenuta come una sigaretta, in un pomeriggio tiepido poco prima dei miei quarantotto anni. Quella sera fu una delle ultime volte che mi incazzai platealmente in casa, dopo un diverbio col figlio grande. Poi uscii, vagai con una paura di rovinare tutto e tutti, e feci un patto con i miei demoni tirando fuori una smorfia di sorriso che si specchiò dentro una vetrina di un compro oro. Mi sono detto: da oggi faccio l'esordiente, basta capricci, lagne o altri drammi ereditati da una vita sempre in salita, quella vecchia vita spesa perlopiù a compiacere gli altri. Comprai lo spumante e brindammo in piedi: col contratto in una mano e nell’altro il calice, confessai ai ragazzi di queste mie velleità letterarie. Da sempre le avevo strozzate a colpi di vergogna e insicurezza. Il piccolo disse: io lo sapevo già, ho letto un tuo file aperto. Mia moglie era raggiante e il grande mi dava pacche sulle spalle a ritmo di “bella papà”. La famiglia, a cui ho dedicato i miei ultimi anni e a cui ho sottratto squarci di vita intima destinata a creare mondi paralleli, parentesi sofferte in cui cercavo di dare il meglio di me a dispetto del mio frustrante e amato lavoro e della mia storia interrotta a quindici anni: la famiglia che mi cingeva e amava davanti a una tavola apparecchiata. È da quando ho sedici anni che vorrei scrivere un libro. Ingenuo, curioso, caparbio e carico di un’ignoranza linguistica e lessicale insormontabile, attesi fino ai quarant’anni prima di iscrivermi a un corso di scrittura di Antonio Pascale. Da lì in poi gioco a ping-pong con le mie velleità. Frequentando come un imboscato presentazioni di libri, dove spaesato sudavo sotto quelle mie camicie colorate. Poi arrivò la scrittura matta e incessante per il blog, e gli amici sorpresi che mi incoraggiavano, e la scrittrice curiosa che mi sosteneva. E quelli che mi leggevano senza mie sollecitazioni pruriginose, mi gratificavano ancora di più. Poi arrivò Elisa a suggerimi di andare a un incontro pubblico con questi editor della casa editrice L'eruttiva. Ci andai un sabato mattina, e Campanella insieme al suo capo stavano seduti tra gli scaffali nella stessa libreria dove feci il corso di scrittura. Il destino, pensai, il coglione che sono, penso ora. Sì, perché se fossi stato più intelligente quella coca cola a mo’ di sigaretta che teneva Campanella, con quella sua posa stanca, avrebbe dovuto farmi riflettere: cosa significa autosufficiente quando parli di racconti di un esordiente? Campanella me lo disse in un incontro successivo, senza il suo capo, lo stesso che poi disse che Campanella fu radiato, e da quel momento in poi la linea editoriale cambiò. Un po’ dubitai, a dire il vero, dopo l’incontro della coca cola, ma per comprimere il timore della riemersione di antiche paranoie ereditate in famiglia, mi zittii da solo, in macchina, dentro un pomeriggio radioso e appena ventilato che mi accolse all’imbocco del Gra. E bevvi tutto d’un sorso quella aspettativa frizzante. Ci campai una primavera intera, la stessa che vide il figlio grande imbrigliato nella sua adolescenza inquieta. Ecco, L’eruttiva mi diede quel più di vita che sto utilizzando ancora per ascoltare meglio le paure e i desideri di mio figlio. Oggi colgo il mio stato di grazia per ringraziare anche la casa editrice L'eruttiva. Ciao a voi.</span><br />
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;">Il destino, penso ora, quello che ci facciamo sceneggiare da editor con la coca cola penzolante in mano, è un racconto scritto male senza trama né sospensione: una lineare cazzata che sa di panna e preti vecchi, donne incantate e limonata. Il destino, bah, sempre meglio un mattino fresco con una dolce erezione tra cinguettii e bip-bip dei compattatori che penetrano nella mia finestra.</span></div>
<div dir="ltr" id="docs-internal-guid-1c5a7bd3-e825-6382-732f-28edaaa8fd6c" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/aPM5dCTBq4Q/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/aPM5dCTBq4Q?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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<span style="font-family: "arial"; font-size: 11pt; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
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peppe stamegnahttp://www.blogger.com/profile/07102485908419920667noreply@blogger.com0