Ieri ho
ascoltato una storia tragica accaduta alla mia famiglia. Me l’ha raccontata mia
madre, in macchina, dentro all’inferno del raccordo anulare, mentre la accompagnavo
alla stazione. La coda di auto aumentava la tensione, e le lamiere mi
proiettavano fredde verso la disgrazia colorata di particolari emersi dalle mie
mille domande. Si tratta di un mio lontano cuginetto, che nel 1949, a soli tre
anni, morì. Il fatto è tragico ed ebbe risvolti irreversibili per suo padre.
Mio zio. Chiaramente, ne risentì l’intera famiglia. Oggi anche un po’ io. Mi appare l’enorme fragilità che irrompe e che
investe e modifica per sempre i caratteri, le abitudini, le scelte, le posture
- e le tante parole non dette - che hanno determinato la storia della famiglia.
La guerra era appena finita oltre che nella sua rappresentazione scenica, che
conosciamo a memoria dai film, anche dai cocci, dai corpi feriti, e dalle infinite
scorie psicologiche, che stavano appena appena facendo i conti con la gioiosa frenesia
di ricominciare daccapo. Da misere e scoraggianti macerie. In quel fermento di
donne formose e uomini smagriti, di case tirate su in una nottata e strade
polverose piene di bambini scalzi, in questo scenario accadde la disgrazia. Fellini
faceva ancora lo sceneggiatore.
Non riesco ancora
a raccontarla una disgrazia, un dramma così scioccante che rischia di
succhiarsi tutta la storia, a dispetto dei preziosi dettagli, delle ombre e
delle omissioni e delle comparse e dei silenzi, che avrebbero più spessore del
fatto centrale, almeno per la mia sensibilità. Eppure vorrei raccontarla,
poiché rappresenterebbe un inizio, un margine da cui risalire e raccontare
delle mostruosità familiari, che stanno lì, stese al vento dei giorni del
presente: ne vedi i contorni, le sbavature e le inconfondibili storture
narrative. Di fatto, ieri, prima di riascoltarla, ne conoscevo appena il dieci
per cento di questa storia; adesso potrei riempirne quasi la metà di cose vere.
Ma siccome il puro autobiografismo mi annoia ormai, non mi resta che aspettare
una tempesta perfetta che scompagini il vero, accettandone il fantastico; ci
sarebbe l’autofiction, direbbe Pascale. Il grottesco, Ammaniti. I racconti a
mosaico, Cognetti. La commedia, Piccolo. Lo psicoanalista, una mia amica.
foto di luciano d'alessandro |
Ecco, a me piace
assai raccontare fatti privati che si mischiano ai fatti pubblici. Cose realmente
accadute, dentro abnormi e verosimili cazzeggi urbani. Scopate drammatiche al
limite di un amore, che sbattono contro fellatio liberatorie in parcheggi di stazioni lunari.
Innamoramenti improvvisi, prima di abbandoni tardivi. Conformismi astuti di grigiore,
accanto a discorsi diretti e umanissimi di compassione. Questo vale per tutti,
compreso te, vigliacco spione che non sai dichiarare il dolore.
Auguri giovane ottantenne
di Newark!
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