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venerdì 7 giugno 2019

Ritornare a Roma, da me

Poi ci ritroviamo alla stazione Centrale sfatti e contenti di rientrare a casa, seppure col rimpianto di aver visto troppo poco della Milano che desideravamo amare. Ho comprato un libro di Agnello Hornby a mia moglie, un manga al piccolo e La vita agra per me. Questo libro nelle prime pagine parlava di Brera, e io non lo sapevo. Gli scrittori mi spiano. Insomma, arriviamo a Tiburtina a trecento all’ora verso mezzanotte. L’indomani mi ritrovo al Tecnopolo dove ho un orto, mi siedo su di una panchina sgangherata e comincio a scrivere un resoconto di scuse e amore per i figli e mia moglie. Oggi vado al lavoro: un pic nic per il progetto che seguo a Fonte nuova, il mio secondo lavoro, quello che ci permette di non chiedere prestiti e ci fa andare a Milano fuori stagione. Amo lavorare per i figli. Sto su questa panchina con davanti lecci e aziende tecnologiche e penso che un po’ di city life c’è anche qui. Mi viene da piangere, invece rido e scrivo, trattengo le lacrime come trattengo la vergogna di non aver letto ancora il Don Chisciotte e altre decine di libri “fondamentali” per imparare a scrivere. Però Socrate ripetuto dal figlio forse vale una collana Adelphi, credetemi, ché in quel momento il mio ascolto vale cento volte il leggere solo per compiacere il mio ego velleitario pieno di pruriti invidiosi, arroganti, che ho avuto (anche) in questi anni di apprendistato disperato. Dolce quel suono di Conosci te stesso, e ora il mito della caverna somiglia a quel pergolato di glicine di donne e bimbi che in una domenica mattina scacciano stress e fantasmi di una settimana appena svangata. Vi osservo da quasta panchina e mi riempio di amore che in un giovedi mattina davanti alle colleghe proprio non riuscirei a provare: ferma tutto, e siediti nella pura riflessione accanto ai lecci di veltroniana memoria, in quartieri che non finiranno mai di costruire né di distruggere. Sbarazzarsi della retorica del “ce la puoi fare” se scrivi tutti i giorni: ho scritto tutti i giorni per anni, e sono crollato davanti a una analisi grammaticale ieri pomeriggio. No so studiare, e i miei figli non sanno studiare, mia moglie non sa studiare, eppure con un sguardo potremmo fare ottocchi la prefazione del Giovane Holden nella nuova edizione tiburtina. Non ce la faccio, mi arrendo e saluto con affetto e gratitudine l’amica scrittrice che mi ha voluto bene, e a cui ho dedicato uno sprezzante thread che ha riscosso un discreto successo da parte di indignati, e di padri di famiglia spaventati guerrieri come me.
Ho scritto questo pezzo perché me l’ha chiesto Diamiladì, che non ho mai visto ma con cui comunico quasi più che con mia sorella. Questo è il mio tempo, questi i miei sprazzi di curiosità donati come si donano abbracci e parole in una stazione del nord che somiglia al mio soggiorno.

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