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martedì 26 febbraio 2013

Caproni, per arieggiare un po'


poesia di giorgio caproni
 
Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l'altro, tutti
han preso la stessa via.
Ora non c'è più nessuno.
La mia
casa è la sola
abitata.
Son vecchio
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?
Meglio - lo so - è ch'io vada
prima che me ne vada anch'io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l'erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch'essa
da un pezzo - già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Aspetto
e ascolto.
(L'acqua,
da quanti milioni d'anni, l'acqua,
ha questo suo stesso suono
sulle sue pietre?)
Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
del tempo, forse.
Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciare me stesso uscire
da me stesso come,
dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d'altro buio.
Il trifoglio
della cìttà è troppo
fitto. lo son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. lo
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d'un frastuono senz'ombra
d'anima. Di parole
senza più anima

 

lunedì 25 febbraio 2013

il trionfo del tonfo

Godetevi questa strepitosa vignetta pre-trionfo del nulla...

http://www.ilpost.it/makkox/2013/02/25/m5s/

Poi ne riparliamo, cari miei, la lascio nel blog per i prossimi cinque anni, o due, dipende cosa decidono sul da (non) farsi i grandiosi rivoluzionari della fattoria degli...

Perdonatemi, ma la pioggia mi mette di cattivo umore, e il cattivo umore mi fa pensare a Beppe Grillo.
Aspetto il sole e i vostri commenti sereni. Vanno bene anche i silenzi dignitosi e il pettegolezzo raffinato. Vabbè, accetto anche lo sfottò e la pacca sulla spalla.

Mi arrendo, sono circondato dalla paranoia.
http://www.internazionale.it/live-blog/le-elezioni-politiche-in-diretta/
 

sabato 23 febbraio 2013

quasi le tre di notte


Mi vedranno schiacciato dal masso della storia, non capiranno il perché, allora, nelle serate estive trascorse assieme, comunque mostravo sorrisi a pieni denti ai presenti. Perché? Poi, masticando l’inganno, si ritroveranno per le vie del centro a prendersi le carezze di gomma dalle commesse sceme, da contratto.

Sempre la sabbia del mare resta nelle orecchie, così le immagini serene scorrono nelle vene, ma ora, qui, che sono quasi le tre di notte, nella stanza c'è solo il giallo della lampada. Voi due siete sdraiati nei sogni d’infinite partite a pallone. Così la notte emigra nell’angoscia, per sentito dire, in piazza al bar, ognuno apre alle sue ore peggiori: ridendo e confondendo la realtà, il nemico si prende il peggio dei pensieri. Questo percepivo ieri nei passi dei simpatici ragazzi da ascoltare in una piazza di curia romana, nelle loro ferme convinzioni osservate nei milioni di televisori accesi. Sembravano storditi di euforie passeggere.

Mi vedranno quel giorno disidratato di sogni che bestemmio il paese d’origine e tutti i passati silenzi, mentre lo fanno, non crederanno più a qualche dio, compreso me; così, a testa bassa tra le case, un sorriso nella tasca li spingerà a bere il miglior vino del paese. Con me tra i capelli e l’aria.

 

Questo c’era nel pieno della notte, tra un incubo e il suo doppio, poi al mattino la pioggia fredda di vento ci fa sorridere, dopo un prelievo di sangue, davanti a due splendidi cappuccini chiari di schiuma. I nostri nasi sporchi di latte si sfiorano tra abbracci spontanei, era ancora buio e lo ricordo solo ora, ma è tutto ancora presente tra le mie ossa e i polmoni pieni aperti. Ridi e i tuoi capelli si spettinano silenziosi. Fuori la giornata è enorme, noi siamo pronti a correre come cani felici: le code le nascondiamo per pudore.
 

 
 

mercoledì 20 febbraio 2013

Almeno ci provo ( e mo' basta!).


Mi ero fissato che dovevo fotografare Nanni Moretti. Non per caso, per strada o a una presentazione, ma ero intenzionato proprio a fargli dei ritratti in bianco e nero, magari nel cinema suo, con tanto di posa. Telefonavo alla produzione e loro, gentilmente, mi assicuravano che da lì a poco avremmo fissato l’appuntamento con Nanni, così dicevano. Era il tempo di “Caro diario”, e io ne aspettavo l’uscita così come aspettavo anni prima una ragazza, sulla mia vespetta bianca special, verso la fine dei miei anni ottanta. Inutilmente. Continuavo ad aspettare anche la chiamata della gentile segretaria. Inutilmente. Poi mi sono stancato di aspettare. Cominciavo ad avere l’impazienza dei pigri: giravo a vuoto, cambiavo facce e lavori; ma che gusto a chiudere in faccia le porte dei lavori, dietro lasciavo le facce attonite dei padroni, lì dove cercavo padri, fratelli, e altre amenità esistenziali, spesso trovavo sfruttamento travestito da pietà.

  E l’idea dell’attesa evapora ora con tutte le insicurezze di quegli anni, verso uno dei tanti anni che ancora devo abitare.

domenica 3 febbraio 2013

almeno ci provo (ancora?)


Ho chiesto alla persona che adoro e stimo sin dai tempi delle caverne come mai secondo lei mi ostino a frequentare luoghi dove ci sono incontri tra scrittori e lettori. Dopo avermi risparmiato una sua vecchia impressione (sei un mitomane!), mi concede una definizione semplice e genuina, come i suoi pensieri migliori: per piacere, ma anche per stare in certi giri che hai sempre desiderato frequentare. In parte è vero, soprattutto riguardo alla prima  parte della risposta: per piacere. Un piacere piccolo che cresce in certe sere, e si trasforma dentro i ricordi in estasi stagionali.

Poi ti ritrovi in un sotterraneo di libreria insieme a una decina di persone silenziose e timide, e ti accorgi come d’incanto, dopo che per la prima ora dell’incontro non carburavi col pensiero e a malapena seguivi la lettura dei racconti, ti accorgi che ti piace stare lì ad ascoltare. Così ti ritrovi a sentire “La casa di chef” letta dal tuo scrittore preferito del momento, e ti scuoti, come sempre Carver ti scuote proprio fisicamente, e allora non ti resta che partecipare eccitato al dibattito. Mi sono infervorato tanto da sfondare la mia timidezza, costringendomi quasi a fare il maleducato interrompendo l’elegante signora della prima fila. Urgeva la mia opinione.  Sarò sembrato un disadattato, o magari per restare al tema un ex alcolista anch’io, tale era la mia smania di spiegare perché certo dolore lo annusi fino a commuoverti di piacere. Sì, sarà che ho cambiato almeno dieci case tra Gaeta, Firenze e Roma, e la provvisorietà è stata la mia forza ignota di questi anni, ma qui, nell’infervoramento, c’è anche dell’altro: l’arte di Carver a raccontare il presente, senza scandalo né tragedie, soltanto con una narrazione densa di attese e d’immagini nitide che ti si appiccicano tra la gola e il petto, schizzando prima tra gli occhi e la testa. E io, solo in mezzo a voi, sapevo di attendere un’eruzione di storia e parole. Sì lo so, senza impegno non si arriva a niente, e senza coraggio resti un miraggio. Lo so. Vabbè, ripetetemelo se vi va.

A un certo punto mi prende un piacere infantile quando l’analisi di Cognetti va a sfiorare la mia, quasi a svelare un filo rosso che aleggia da anni sopra la mia pigrizia, e che non mi fa concludere quasi niente; mi spiace signora elegante, certe storie sono frammenti essenziali e vanno assaporati spicchio per spicchio, altrimenti sai che brodaglia sciapita di descrizioni inutili, la storia e il mondo. Comunque, non mi fa concludere niente non tanto la signora elegante, quanto lo spietato tarlo che altre signore poco eleganti negli anni mi hanno ficcato nella  testa.

Alla fine Cognetti ha sorriso mentre la mia mano si staccava dalla sua, e tutti i libri alle spalle rigidi che applaudivano la scena: di un uomo che ringrazia, ricambiando col sorriso, la lezione di uno scrittore timido come un vulcano.