Di solito al primo ascolto del nuovo
disco dei Diaframma mi prende il magone, di rimandare ancora l’ascolto del loro
capolavoro. E sì, il primo ascolto
appare fragile esile e leggero. Allora parte il secondo ascolto, niente,
orecchiabili alcune, intense altre ma, alla fine, niente di che. Niente di
serio, appunto. Durante il terzo ascolto comincio ad assaporare le emozioni che
si presentano alla mia bocca. Tramite orecchie tremanti. Poi, e da quel momento
diventa come una droga, è un continuo ascoltare senza soluzione di continuità
fino all’arrivo a casa. Più di un’ora e mezza di traffico. Lo svincolo per il
raccordo era vicino, le note salivano e sbattevano contro il tetto della
macchina: piango mentre canto “vorrei bere il tuo dolore”. E non mi fermo più. A passo d’uomo rallenta tutto, inclusi i
pensieri potenti che crescono e invadono ogni anfratto attorno a me. Anche se un
attimo dopo, mentre come coriandoli scendevano i pensieri, già pensavo al pezzo
che avrei scritto per questo blog; così, penso, mi becco pure gli improvvisi e
vitali complimenti di Andrea, che restano tra le cose più belle che mi siano
capitate in questi mesi duri e sordi. Le lacrime indicavano la direzione dei
miei sentimenti, con il loro dolce deragliamento verso pareti domestiche.
Stavolta non ho (ancora) comprato il
cd; me l’ha passato la mia cara masterizzatrice di fiducia. Appena arrivano a
Roma in concerto lo compro a dieci euro, sperando che vadano tutti nelle tasche
di Fiumani.
Questo disco è bello. Una sintesi
originale di tutto quello che hanno fatto i Diaframma in questi anni. In più
suonato bene e con gusto, e si capisce da certe scioltezze armoniche tra i
musicisti, seppure in spazi stretti di note e parole. Belle, le parole scelte
sono belle per come si presentano a me, sole e forti, e senza ruffianerie del
caso.
Alcune frasi irrompono come fionde
verso il presente, altre disegnano scene di vita urbana solcate da piedi
inquieti, mossi da pensieri teneri. Poi impressioni ritmiche di visioni da
balconi sulla realtà.
Nei prossimi giorni parte la sfida
alla canzone preferita, così il piacere si mischia al divertimento di farsi
catturare, tra un tormento e un godimento, dai pezzi più sentiti.
Per l’importanza di godersi cose
buone nei pomeriggi a venire. Così dovrebbe essere un po’ la vita, quella che
ci scordiamo in certe mattine infinite di niente. Resta del tempo, meno male.
Viviamoci il meglio: del tempo e di noi. E anche di voi.