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sabato 28 gennaio 2012

Per me Niente di serio


Di solito al primo ascolto del nuovo disco dei Diaframma mi prende il magone, di rimandare ancora l’ascolto del loro capolavoro. E sì, il primo ascolto appare fragile esile e leggero. Allora parte il secondo ascolto, niente, orecchiabili alcune, intense altre ma, alla fine, niente di che. Niente di serio, appunto. Durante il terzo ascolto comincio ad assaporare le emozioni che si presentano alla mia bocca. Tramite orecchie tremanti. Poi, e da quel momento diventa come una droga, è un continuo ascoltare senza soluzione di continuità fino all’arrivo a casa. Più di un’ora e mezza di traffico. Lo svincolo per il raccordo era vicino, le note salivano e sbattevano contro il tetto della macchina: piango mentre canto “vorrei bere il tuo dolore”. E non mi fermo più.  A passo d’uomo rallenta tutto, inclusi i pensieri potenti che crescono e invadono ogni anfratto attorno a me. Anche se un attimo dopo, mentre come coriandoli scendevano i pensieri, già pensavo al pezzo che avrei scritto per questo blog; così, penso, mi becco pure gli improvvisi e vitali complimenti di Andrea, che restano tra le cose più belle che mi siano capitate in questi mesi duri e sordi. Le lacrime indicavano la direzione dei miei sentimenti, con il loro dolce deragliamento verso pareti domestiche.
Stavolta non ho (ancora) comprato il cd; me l’ha passato la mia cara masterizzatrice di fiducia. Appena arrivano a Roma in concerto lo compro a dieci euro, sperando che vadano tutti nelle tasche di Fiumani.
Questo disco è bello. Una sintesi originale di tutto quello che hanno fatto i Diaframma in questi anni. In più suonato bene e con gusto, e si capisce da certe scioltezze armoniche tra i musicisti, seppure in spazi stretti di note e parole. Belle, le parole scelte sono belle per come si presentano a me, sole e forti, e senza ruffianerie del caso.
Alcune frasi irrompono come fionde verso il presente, altre disegnano scene di vita urbana solcate da piedi inquieti, mossi da pensieri teneri. Poi impressioni ritmiche di visioni da balconi sulla realtà.
Nei prossimi giorni parte la sfida alla canzone preferita, così il piacere si mischia al divertimento di farsi catturare, tra un tormento e un godimento, dai pezzi più sentiti.
Per l’importanza di godersi cose buone nei pomeriggi a venire. Così dovrebbe essere un po’ la vita, quella che ci scordiamo in certe mattine infinite di niente. Resta del tempo, meno male. Viviamoci il meglio: del tempo e di noi. E anche di voi.

mercoledì 25 gennaio 2012

raschiando


Uso la tazza verde tisana come arma per ricucire l’anima; be’, un buon inizio. Non c’entra però con me, oggi non c’entra. Devo raschiare parole sensate per la mia storia.
 Se guadagnassi duemila euro al mese, e così facendo vedessi poco o niente i miei figli, allora sarebbe pure peggio. Di stare coi soldi contati ogni notte, ogni mattina,  in macchina e tra gli amici. Sì, facendo i conti fino in fondo, fino alle viscere dei pensieri, mi viene da dire che giocare alla lotta, imitare e inventare personaggi, pettinare il grande e farsi il bagno col piccolo, tengono alto il mio umore. E che non conta?

domenica 22 gennaio 2012

Porta portese


Una volta misi un annuncio su Porta portese: cercasi soci per costituire coop. Sociale/agricola. Mi eccitai durante i giorni della pubblicazione. Sarà mai che si sblocchi qualcosa. Sì, ero frustrato da altri tentativi di metter su un gruppo di persone per creare una cooperativa, finiti male. Era la mia ossessione, la mia unica, a parte l’amore e gli amici, ragione di vita. Se poi, l’Amore e gli amici, fossero gli stessi attori da coinvolgere nella cooperativa, non era un piccolo particolare, no. Non lo era.
Mi arriva una telefonata, rispondo fremente di novità: pronto! Era un ragazzo che, insieme a suo fratello, erano interessati a diventare soci della coop. Ah sì, dissi io, va bene. Ci stiamo organizzando, vi faccio sapere. Ciao. A presto.
Chiaramente, malinconicamente, non se ne fece nulla. Ero solo, come solo un cane in un centro commerciale sa esserlo. Quindi, piansi, e seppure non lo feci davvero, oggi, al ricordo, lo faccio piangere. Quello che ero: romantico visionario squattrinato. È giusto che pianga e che impari che le cose della vita non sono particelle di sogno e aria, eh no! sono fatti e azioni concrete, bello mio.

sabato 21 gennaio 2012

Diario di un maestro


Ieri ho assistito alla proiezione de "Diario di un maestro", di De Seta; http://www.romanotizie.it/vittorio-de-seta-diari-di-un-maestro-di-cinema.html
la biblioteaca dove l'hanno presentato sta nello stesso quartiere dove è ambientato il documentario-film, e non lontano dal Centro dove ho lavorato per un anno intero e intenso, tra disagio e gioia. Allora ho ripescato una cosa scritta qualche tempo fa e che mi pare attinente, perlomeno rispetto alla storia dei protagonisti. Eccola.

Via Mozart sta al tiburtino?



Il caldo improvviso di maggio investe l’intera città. Di sicuro, e questo resta un mistero pari a quello di Fatima, in periferia fa più caldo che nel resto della città. Qui esplode il caldo. Sarà il cemento, l’asfalto o i pochi alberi presenti, ma questo pensiero mi fa sentire più disgraziato di quelli del centro.
 Ci sono questi due giovani uomini dentro al bar del nasone,  al tiburtino terzo. Al riparo si raccontavano degli ultimi fatti:

venerdì 20 gennaio 2012

sogno n°3


Sembro più di quanto non sia, c’è poco da fare, anima mia, è così.
Però vedo cose visionarie e promettenti, come a volte sembra un certo passato che mi segue discreto. Come quella volta appena entrati, due giovani con la pelle tirata e liscia, in una casa di studenti salentini; appena dopo aver pagato caparre e affitti al capo studente, chiusa la porta, i due corpi si sono levigati fino alle rifiniture. Non c’era tempo che teneva, discrezione che frenava: quei corpi volevano morbidezze di panna. Da lì a poco ricompare il capo studente che, accortosi del momento solenne, abbassa il capo e torna a studiare economie inutili, almeno a loro due, che sprecano ogni risorsa e risparmio sul campo.
No, non pensate a Klimt, no, vedete piuttosto quella scena del Decameron, dove esili corpi si accucciano dopo i tuoni e fulmini che sfondano la scena di pioggia.
Le caramelle le hanno mangiate tutte, e le dita le hanno leccate bene, ora è cielo aperto da tuonare per tornare ad amare. E lasciate stare le canzoni col fiato corto, immaginate certe acidità di Nico e dei maledetti coi capelli corti.
A che punto siamo? Quale punto ancora toccare, smuovere, per colorare visioni cerebrali da immolare per la causa dell’onestà prima di tutto?
Non saprei, ditemele voi.

mercoledì 18 gennaio 2012

sogno n°2


Mi tocca celebrare funerali ogni giorno per tutti gli amici spariti, o cacciati. Tutti i santi giorni a capire il motivo decisivo della loro dipartita, o cacciata. Eppure, solo certi amori gli son pari: a volte uno degenera nell’altro e allora è cortocircuito da evacuazione. E già, e già, mi piacerebbe imparare a scrivere con scioltezza come certi scrittori; sarebbe un rimedio omeopatico alla sciagura della desiderata solitudine. Ma non credo nell’omeopatia, e accetto la solitudine come massima elevazione spirituale. Cazzo, certi scrittori non userebbero tali affermazioni bla bla bla, e già, appunto scrivo su di un blog bla, bla , bla.
Stamattina mi sveglio, e dopo aver sognato Napoli, sì, a volte sogno proprio le città,  e dopo aver ascoltato le simpatiche considerazioni di Remotti sulla serenità conquistata a colpi di letture, be’, mi sono sentito vuoto come un carciofo sfiorito in estate. Potevano esserci occasioni in primavera di esser colto, qui nella doppia accezione, accenti esclusi, con cui spesso litigo, insomma, invece di perdermi dietro ambizioni a noleggio avrei dovuto studiare. Sono figlio d’operaio, e non ho il coraggio di farlo: mi sbatto per trovare un lavoro che coincida col mio sorriso. In agosto, quando tutti dormono e io cerco di prendermi tutta la serenità del mattino.
Ecco, finché mi perdo dietro questi pensieri, dove traggo linfa per i miei otturati vasi sanguigni, allora sono sano e salvo. E così sia.

martedì 17 gennaio 2012

sogno n°1


Smuovo le immagini che mi afflosciano su questo divano duro. Alcune mi fanno maramao, e son quelle stronze di ieri: quelle col vestitino di velluto che parlano di politica, rivoluzioni, resurrezioni. Maledette sorelle. Poi ci sono quelle che puzzano di mela grattugiata e mi fanno dondolare con i pantaloncini corti sopra gli scogli morbidi dell’infanzia. Ah, quelle indiavolate di donne arrabbiate e sole che mi rincorrono dietro come lo si fa per un ladro bello. E poi altre quadrate e regolari che mi spiegano come funziona la vita da queste parti. Mi dimeno e cerco di addormentarmi. Non riesco a vedere immagini reali e quiete; solo movimenti pericolosi fermi all’avvio: aspettano urla e ordini per abbattere le cellule ribelli che stanno in piedi a difendere lo status quo. All’improvviso una luce violenta di sangue e muco prepara il terreno alla resa quotidiana.
Intorno come tanti paperini arrabbiati ci sono i miei oggetti soliti: ciabatte, cappelli, riviste vecchie e tazzine sporche. Aspetto un supereroe attillato di sé che mi prenda in braccio e mi sbatta fuori dalla realtà. Così ruzzolare fino a te, fino all’inizio, e fino alla pagina vuota ma ormai unta che mi aspetta.
Guardo le scarpe di Minni e me ne innamoro subito. Ha gusto questa topa d’altri tempi, penso, e mentre lo faccio mi aggrappo alle ringhiere del mio tempo. Sbircio lo sbirciabile e anche stavolta rimando il grande salto.