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giovedì 27 settembre 2012

niente sale stasera


Nell’ultimo post si avvertiva un sentore di morte, di vertigine per i declini intravisti, e di tutte le parole di sale non dette ma odorate, dal primo all’ultimo bit, che non avrei potuto scrivere altro; e poi tutti se n’erano andati a dormire, comprese le ragionevoli attese, le immancabili speranze. In realtà erano enormi e gonfie paure, visto che oggi poi ho trottato come un mulo e nella testa pensieri come di un fanciullo prima di tuffarsi in mare, nel mese di aprile ai primi caldi.


Antonio, capisci che la situazione non è poi così statica: tutto si muove, come in un vortice magari, da non lasciarci fermi neanche con le certezze nelle tasche. Mi viene voglia di fermare ogni cosa o battito, e vedere se le cose da sole cambiano e dove vanno a finire. Ma non ce la faccio, quindi, mi sdraio sull’asfalto e ascolto il rombo lontano come monito per scappare verso marciapiedi infiniti. Vedo parallele strade accompagnare i tuoi pensieri, coi tuoi preziosi consigli sui bordi per me. Sarò forte da non deviare all’improvviso o tuffarsi in qualche altro personaggio o idea, no, stavolta sarò saldo e luminoso nel captare ogni buona occasione per non sragionare dietro pensieri altrui. Starò notte e giorno con gli occhi sbarrati a osservare il mondo abbaiare. Così aspettare il momento giusto, tra latrati e paure, per tirare su le serrande abbassate della mia bottega di parole e colori.

mercoledì 26 settembre 2012

occhi rossi


Guardavo quella bimba alla sua prima prova di danza, in una stanza quadrata di legno e specchi, e quasi mi veniva da piangere: una scossa di pensieri sui miei figli proiettati lontano da lì. Fuori dal mondo, da quello mio e da quello loro, che si spegnerà come tante altre meteore bizzarre di passaggio. Capito Raymond?  guardo una bimba incerta sulle sue gambe sopra a quel pavimento liscio, e mi vedo all’angolo accovacciato con gli occhi rossi e gonfi. Anche l’orologio alla parete andava avanti, e la musica forzava le porte e tutte le finestre. Fuori la Prenestina faceva già paura coi suoi motorini velenosi e spietati, che fanno apparire i pedoni degli scampati al tramonto, e nessuno che si dava la mano.

Caro amico mio io non ricordo quasi nulla. Perdo ogni memoria, desiderando che questa sottrazione porti davvero verso la timida leggerezza che amavo da bambino. Invece eccomi accovacciato con la barba incolta a immaginare Toronto, Carstairs e il dolce fango femminile che ne deriva. Le bimbe ballavano e io navigavo.

lunedì 17 settembre 2012

Quella signora


Nel ’93 lavoravo come assistente, inviato da una cooperativa, presso una signora che soffriva di Alzheimer. Mi era molto simpatica, con quel suo accento del nord che utilizzava con disinvoltura in giro per il quartiere AppioTuscolano. Una mattina, al mio arrivo, la intravedo dal cancelletto del giardino che traffica dentro la sua lavanderia; cerca di mettere la montagna enorme di panni sporchi nella lavatrice facendo una fatica enorme, poiché non riesce a coordinarsi bene davanti a quell’elettrodomestico che un tempo avrebbe domato in un attimo. Non ce la fa e si vede. Mi commuovo a quella scena, ma, una volta dentro il giardino, mi arrabbio un po’ ricordandole che mi avrebbe dovuto aspettare, poiché l’avremmo fatto insieme il bucato, così come d’accordo preso insieme all’assistente  sociale. Si mette a ridere e mi dice che sono dolce. Lo è lei senz’altro - anche perché nonostante il figlio tossico  che spesso la maltrattava cercando di estorcerle soldi -  resiste col suo stile discreto dentro a una casa diventata troppo grande dopo la sua malattia e la morte del marito. Il figlio quando non va in crisi è tranquillo e sonnecchia più del tempo in camera sua. Questo ragazzo allo sbando mi obbligava ad ascoltare le sue composizioni malinconiche chitarra e voce, live nella sua cameretta; mi faceva pure ascoltare musicassette registrate tempo prima, quando si faceva un po’ di meno, e collaborava con altri musicisti. Così diceva. E io lo ascoltavo, coi miei vent’anni, i capelli lunghi e tutte quelle illusioni speranzose che mi hanno fatto vedere decine e decine di film in giro per la città; mi hanno fatto leggere libri come mai era successo prima. Alla fine queste illusioni mi hanno fatto vedere pure Rutelli, poco prima che diventasse sindaco, dentro a una Ritmo beige al tiburtino terzo, subito dopo un comizio davanti a una platea di borgatari e me. Questo perché ero curioso fino all’osso, e dopo anni di attese in una piccola città di mare ora mi toccava nuotare tra le splendide aspettative in una Roma ancora più polverosa e per niente eterna, che si sdraiavano ogni giorno davanti ai miei occhi sensibili.

L’ultima volta che ho visto la signora con l’Alzheimer stava al S. Giovanni, tra altri malati, e con suo figlio accanto al letto. Di lì a poco un parente del nord l’avrebbe portata a vivere con sé; del figlio non ho saputo più niente. Il mio intervento assistenziale è apparso, alla luce dei fatti, e per una logica di welfare, perlopiù inutile.

Questa cosetta mi è venuta in mente dopo aver letto il pezzo di Pascale.
 
Ecco, pensando a Roversi penso anche a questa canzone:
 
 

 

venerdì 14 settembre 2012

mitomania


Devo imparare a gestire la mitomania virale che si presenta la domenica mattina; per farlo, e per praticare una giusta distanza da questa materia incandescente che sta poco più sotto dell’amigdala, devo leggere. Tanto. Il meglio. Quello che serve per la mia formazione a singhiozzo, che negli anni, da sempre, mi ha garantito slanci memorabili attraverso prestazioni da nobel – magari che durava un paio di mesi – e vuoti immensi quanto gli oceani, dove precipitare nell’abisso dell’inabilità. E in quei momenti mi sento un ignorante di gran classe, un emerito nulla al galoppo del suo tempo. Di velleità quasi televisive, di anticorpi che prendono la forma di sempliciotte soluzioni di redenzioni a portata di mouse. No. Non può essere sempre così, non oggi né domani. Intanto v’invito a leggere quest’articolo davvero azzeccato di Nicola Lagioia.

http://www.minimaetmoralia.it/?p=9358

 

martedì 11 settembre 2012

stavo a terra


Stavo a terra e guardavo le nuvole che si rincorrevano come cani al rallentatore. Intorno non c’era nessuno. Ai lati dei miei piedi pompelmi e mandarini, fratelli amari messi lì da qualche giardiniere sensibile, anni fa. Quando per le strade si usciva mano nella mano e si mangiava la pizza il sabato sera, prima delle malinconie quiete delle domeniche. Ah sì, era il tempo dei concerti con pochi soldi, almeno due o tre il mese e poi il fine settimana in Umbria o un volo all’ultimo minuto per Londra. C’era Gianni che offriva sempre la birra, il venti del mese, giorno godereccio del suo stipendio. Antonia no, a lei mancava il coraggio di vivere spensierata ché il padre aveva sempre sofferto di depressione bipolare, e non le sembrava giusto godere di quelle esagerate libertà di quegli anni. Già, e c’era pure Oreste che sentiva tutti quei brividi sulle braccia quando la notte rincasava e ripensava ai racconti ironici, pungenti e azzeccati che Sandro narrava nei locali pieni di fumo e vino rosso.

Mancavo io, che stavo già a pensare a questo pezzo-testamento da scrivere, ma adesso ci sono, e mi ritrovo nel locale con le pareti rosso scuro senza fumo e con vini solo biologici e per niente rilassanti. Non so cosa fare né da dove cominciare a scalpitare per presentarmi brillante davanti a quest’ultimo atto denso di attese che vedo correre al rallentatore come i cani bianchi dietro al vento.

 

sabato 8 settembre 2012

simpatia


Mia moglie merita un posto d’onore tra le creature che, attraverso un intreccio di stile e dolcezza, sanno meritare l’appellativo di persone perbene. Io da oggi ambisco a ciò.

Un’amica dai lineamenti sereni mi ha trasmesso pensieri in rivolta, senza toni aggressivi né guerre di religione per praticarli. Lode a questa ragazza esile e forte e con quella sua carnagione che la sa lunga sul diritto alle vacanze di noi tutti. Bene, sono contento di aver scambiato con lei per circa un inverno pensieri e sogni, incubi e incomprensioni.

Un amico mi lascia intendere che gli trasmetto sincerità e coraggio; mi nutro di questo silenzioso complimento e spero di digerirlo molto lentamente.

Una bimba di nove mesi con un faccione esplosivo che ride al primo sguardo.

Allo stupore di certe simpatie improvvise verso persone mai annusate prima, e, annusandole, ti accorgi di un simile odore d’infanzia che ti volteggiava sulle spalle al mattino, prima della partita di pallone. La prima partita, delle trenta e più che affronterai con gli altri dieci ragazzini drogati di pallone come te, in quelle giornate estive.

Alla speranza che la tua storia si faccia scrivere da mani decise e sincere, per niente ruffiane, no, ma almeno che possano gravitare libere tra l’autentico e il feroce, magari di notte.

Al sudore speso per amore per niente sportivo.

Alle persone simpatiche che incontrerò.


 

giovedì 6 settembre 2012

pezzo d'amore


Oggi festeggio un anno dalla fregatura più grottesca e spietata che mi sia mai capitata in vita, incubi esclusi. E che fa? Niente, perché tanto niente cambia se faccio. Questo potrei dire se fossi una persona conformista e vagamente di sinistra. Invece io, a dispetto di quel che sembra, sono sì libertario nei movimenti, ribelle negli aggiustamenti e moderato di temperamento (ma poi, cosa sembro?); alla fine però se mi rompi o freghi mica ti lascio fare. Eh! Allora scatta quello sbrocco che tanto ha caratterizzato la mia vita lavorativa. In fondo ognuno fa politica come crede: c’è chi chiacchiera e dichiara guerra tutte le sere al mondo sprofondando sul divano e chi, magari, si inserisce in gruppetti puri e duri e pensa di stare all’avanguardia del meglio, ogni santa mattina. Beati voi. Vi voglio venire a trovare a uno a uno nei vostri posti di lavoro, o tra le vostre reticolanti famiglie. Ho scelto, già da giovanissimo, di affidarmi al mio fiuto sociale e alla mia fedele sensibilità. Quasi sempre c’ho preso. Altre volte sono caduto dentro me stesso, come in un vortice mi sono lasciato risucchiare dal buco nero; altre volte ancora sono entrato in crisi e poi scappato verso lidi più caldi. Non mi pento caro mio, vorrei solo aver imparato a riderne con tutti i denti splendenti in mostra: la mia prima linea combattiva e convinta, tra canini e sorrisi.

Lasciamo stare ché in questi giorni sono sereno al punto giusto e non voglio precipitare nel gorgo fascinoso, sempre pronto per noi vecchi nevrotici. Stavolta mi godo gli interstizi tra l’amore e la noia, e per dare un segnale alla popolazione fremente mi zittisco e prometto che il prossimo post sarà solo di risate e porcate.
 
Ascoltate questo bel pezzo d'amore.

martedì 4 settembre 2012

Alla ricerca del personaggio perduto


C’era il personaggio c’era. Stava dietro la sua gonna, e cercava l’odore. Quello denso e vivo utile a tirare fuori il carattere. I contorni netti. Poche scene, quelle necessarie a far muovere le sue gambe in groppa ai propri sentimenti: un passo irresistibile.

Ti dico che c’era il personaggio e nuotava a largo, intorno alla boa, lontano dagli scogli. Poi una barca lo fa salire e lui si tuffa con stile accennato. Ancora si tuffa, e prende l’aria, quella a filo d’acqua che contiene brodo, o sapore, di un mondo profondo e ignoto. Sopra la sua nuca bagnata e salata un cielo blu senza nuvole. Intorno tutto aperto, troppo aperto ché fa vedere la morte in fondo. Ma lui non ci sta e vuota il sacco: una serie di sfumature sulle sue incapacità e di amori impossibili appena accennati, nei suoi giorni normali.

Insomma, c’è quel mostro che scalda i muscoli e spacca specchi, in bettole di campagna, nelle camerette dell’adolescenza già distrutte a colpi di bastonate, nelle notti d’angoscia. Davanti a un seno da succhiare. Un gatto da accarezzare.

 
Il personaggio sta nei nostri occhi, caro Andrea, e vuole scappare con tutto il tesoro.

Ora mi sdraio sul letto e gli faccio lo sgambetto, intanto uno della casa va al gabinetto. Adoro queste scene quotidiane, mentre sogno altre meridiane.

 

sabato 1 settembre 2012

mutante


 Appena vedo un trailer dove Toni Servillo fa l’attore protagonista, capisco che il film ha già un suo perché. Quest’attore di Caserta, di cui so poco della sua vita privata, e che magari fa vita monacale, per cui può permettersi di fare almeno due o tre film di alto livello ogni anno, è il mio attore preferito e credo sia tra i migliori . Di sempre. A me il suo recitare emoziona e turba. Come vedo la sua faccia modificata per il regista di turno, mi preparo a un’immersione in una storia da godere.

È poetico sapere di mutazioni casuali del DNA che ci sono capitate, con le quali abbiamo fatto i conti per tutta la giovinezza, spesso incrippandoci, dando mille significati diversi ai nostri passi falsi, alle nostre mosse azzeccate, improvvise, che ci hanno fatto sentire un po’ speciali e un po’ coglioni.

 
Mutare o essere mutanti, questo dilemma oggi mi fa apparire pacificato davanti alla mia storia. Almeno per oggi. Forse anche domani. E magari per tutto settembre, che già mi emoziona col suo ventaglio di possibilità. Col suo fresco passaggio di giornate luminose e semplici. Con la sua carica erotica che ci spinge a voler far l’amore tutti i pomeriggi, e a non contare più i giorni sprecati dietro a deboli prospettive. Sì, Toni Servillo mi spinge a mutare per ogni parte da affrontare. Senza vergogna, senza freni, quelli tanto già ci sono in me; ma con ogni molecola allertata, ogni muscolo pronto, e tutti i sentimenti in movimento, nel costruire il personaggio azzeccato e memorabile da cui ripartire.