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mercoledì 27 agosto 2014

Come un dessert

Questa mia estate è stata come una lunga e affollata cena. All’aperto, sotto gli ulivi, in un luogo a me caro. Fingiamo che ci sia stata questa cena; la tavola lunga trenta metri, tanto quanto l’arco d’anni che abbraccia la frequentazione di questi miei amici convenuti. Ci sono quelli diventati manager, altri che credono che l’Isis sia un movimento di liberazione, oltre, meno male, a quelli che ho frequentato con tante aspettative affettuose negli ultimi anni. Non li ho mai incontrati, tanto meno frequentati, tutti insieme. I manager non li vedevo dai tempi della scuola. Quelli pro-Is (alcuni) dai tempi delle fricchettonate blande. Tutti mi sorridono. Io sono ansioso, no, non solo per le vongole che non capisco se sono spurgate o no; cari amici sono ansioso, fragile come un bicchiere scadente, anche per la confusione che ha prodotto il mio troppo accogliere. In questi anni cosa ho fatto in tal senso? Ho digerito posizioni politiche imbarazzanti, diffidenze inaudite, e infine una costante, implacabile assenza di empatia: del tipo comunicazione simmetrica, adulta. E ho ascoltato tutti. Eccomi là ora, impacciato che vi ascolto sentendomi inadeguato, mentre sento ogni fruscio dei vostri pensieri prepotenti. E so poco di certi argomenti, così mi arrendo come mi arrendevo a quindici anni, quando scappavo dai sapienti di paese sfruttando vuoti treni regionali.
C’è voluto l’acquisto della rivista IL a farmi frenare e precipitare nel mio mondo attuale: apprendista razional-individualista. E per fortuna a metà della scrittura di questo pezzo arriva mio nipote e mi spiega il mondo delle api, così capisco anche perché una specie di vespa (africana, che non ha concorrenti) scaccia le vespe autoctone dai loro favi. Di colpo sono uscito dal principio di paranoia che si nascondeva tra i rovi fetenti. 
Sì, quando sto da solo imparo di più, con gli altri pure imparo, che c’entra, infatti oggi sto finendo la panchina seguendo le indicazioni di E., ma più delle volte con gli occhi addosso vado nel pallone, e, ahimè, non è quello bianco e nero che mi faceva fare dei goal strepitosi da piccolo, ma qualcosa di tondo, viscido, che mi risucchia nel vorticoso nucleo antico dei miei avi.
Chiedo perdono, rispetto, e fiducia per la mia ansia usata male (insopportabile subirla quando c'è pure l’afa, lo so). Un giorno, di colpo, sparirà e io staro con voi contento.
Alla fine, in questa cena lunga trent’anni, mi sono ritrovato in disparte, senza più quella vecchia voglia gruppettara di esibirmi né quella sensazione che il meglio del mondo sia ai tuoi lati e non restava che assorbirne tutto il nettare dorato dell’epoca, così la vita andrà meglio. Macché! Queste son presunzioni scadute ormai. 
 Stop.
Questi pensieri sono morti ieri, oggi altre illusioni, altre parole mi cullano e fanno fare un passettino più avanti, forse non accanto a te vecchio amico che disegni un cielo con stelle cadute chissà in quale buco nero della storia. 


Passeggiavo tra i vicoli del mio vecchio paese e questa scritta mi ha fatto ridere, e non riuscivo a spiegare a mio figlio il vero motivo di questa risata sguaiata. C’è scritto W Ceausescu su una casa diroccata, accanto a una casa affittata a trenta villeggianti stipati in un bilocale, per duemila euro di affitto in nero. Chi ha affittato è la stessa vecchina che ha venduto l’altra sera il vino aspro, acido, alla mia ingenua madre. Gente così io l'ho adorata, fotografata, e rispettata sin da piccolo. Perchè? loro insieme ai tanti amici affollano la mia testa di passato e di terrore, in questo posto sfiorato dalla storia, qui ora chi è evasore, chi raccomandato, chi mantenuto segretamente dalla famiglia; allora di colpo vi sparo il faro negli occhi e vi vedo meglio: grillini-comunisti-meneffottisti. Un rimedio omeopatico il vostro stare contro, in comode case con aria condizionata, e Sky a go-go, e olio di extravergine su quelle spigole a miglia zero appena pescate da Salvatore, il factotum del vostro saldo benessere. Non invidio la vostra comodità, no, invidio un po’ la vostra sfacciataggine: me ne basterebbe un grammo per dirvi quattro cose alla fine di questa cena. Allora come un dessert potrei essere di troppo o disgustarvi, ma farei la sola cosa buona extravergine di questi miei anni di scarsi raccolti. Tanto lo so che anch’io sono un po’ abusivo, un pochino menefreghista, e gravito precario in questo mondo (cupo e sordido) alla ricerca di comodità inaudite, di goderecce situazioni. Ma sono adulto, e aspetto quello che c’è da aspettare: accadimenti trainati da fatiche, pensieri, e dedizioni mai espresse prima. Bravissimi, bellissimi, ansiosissimi. Questo è il cocktail che ci beviamo oggi, degno della nostra generazione metà stronza e metà fantastica.

Vi amo tutti lo stesso, perché in questo nostro tempo ci separano solo, in effetti, piccole, ma determinanti sfumature, che somigliano a certe scelte fatte di notte, lontano da tutti. Ogni vostro tenero ricordo me lo ricorda, e ora vi saluto col sole basso alle spalle e alla radio canzoni italiane che stanno per colonizzare ogni anfratto della mia sensibilità.





martedì 12 agosto 2014

Avevo una gran fretta di liberarmi degli anni '90

Avevo una gran fretta di liberarmi degli anni novanta. Sbagliando, come sempre, quando decido solo razionalmente cosa sia giusto fare. Quegli anni novanta dei centri sociali, delle letture e dei concerti necessari, quegli anni di dolore messo da parte, oggi, nel pieno delle ferie d’agosto, mi si presentano come figli abbandonati.
Negli ultimi anni mi sono difeso come una tigre da quei tempi di mangiamo solo biologico;  dal “non lo leggo perché non so se è di sinistra”; da “quegli amici degli amici che sono troppo normali”. Sto diventando pazzo tra il sentirmi libero di mangiare quello che voglio, di leggere o ascoltare e frequentare chi voglio, e quel mio annuire ringhioso quando invece sento gli altri dichiarare cose che non mi convincono del tutto, e sembra che stiano sussurando: siamo migliori perché diversi. Ammettilo, così facendo rischi l’isolamento, illudendoti di avere amici solo dalle notifiche, e non avvicinando davvero ai tuoi schiusi sentimenti gli amici veri.  Rischiando la faccia, e il cuore – questo sì che pare necessario – per fargli ascoltare le tue impressioni più spietate o delicate sul mondo, magari inaspettate anche per te.
 Ho percorso più di duemila chilometri in questi giorni (con pochi euro in tasca) per raggiungere un dubbio più autentico: basta razionale contro irrazionale, chilometro zero contro il mondo. Qui non si arriva a niente; già sono rimasto bloccato per un decennio a causa di un’insicurezza dettata dai soliti padroni del pensiero pieno, totale, quasi religioso. Ora vorrei scegliermi in santa pace il guado da attraversare, il libro da leggere, l’ignoranza da servire. Gli amici da frequentare.
Sto frequentando vecchi amici, oltre che per un affetto smisurato, per capire da dove arrivano le mie paure, così come le mie migliori intuizioni. Mi sento obbligato di continuare a vedere l’effetto che fa quando espongo al sole della rete i miei pensieri improvvisi, a tratti spregiudicati, che delle volte sorprendono e spingono al dilà della boa di sicurezza la mia esistenza.
No, non sarò mai uno che camperà solo di parole e d’idee, forse dopodomani, magari dopo una botta di culo, ma oggi a me importa che ogni cellula deviata del mio essere faccia il suo mestiere: scompaginarmi i piani e guidarmi nei sentieri del verosimile. Voglio essere un esempio per i miei afflitti e lacunosi anni novanta, spingendo più in là ogni frenata inevitabile, ogni tenera inadeguatezza. Sono bello così, quando arreso alla sera mi dipingo la testa e lascio scorrere la punteggiatura della mia storia. Umile, ricca, desolante (durante l’insonnia), vincente (quando godo le glorie di un attimo), ma soprattutto solitaria e piena di voci irrequiete che s’impongono per un legittimo riconoscimento. Oggi, non domani.


Sto scrivendo spinto dalla lettura di questo bel pezzo; poi sempre ieri ho finito di leggere anche questo ma, inutile negarlo, soprattutto perché sto cercando di inventare una cosa che mi ha chiesto la mia “inservibile”, preferita, e indispensabile figura di riferimento del momento. Lo farò usando la mia voce, nient’altro che una voce delicata, cruda, sensibile, che cercherà di raccontare un pezzettino di vita romanzata senza lagne o presunte superiorità morali. Poco meno che me catapultato dentro tutti voi. Staremo a vedere, cari e pazienti amici veri o verosimili, chiunque voi siate.
I miei anni '90 appesi a un filo...
foto di claudio muolo