Pagine

giovedì 6 aprile 2017

ho perso un pensiero al parco

   L’altra sera chiedevo a Ettore: ma quella volta a Mondragone che siamo andati a vedere gli Avion Travel, era il 1994? Un’inaspettata giunta di centrosinistra, dopo gli anni di mani pulite, organizzò il concerto del gruppo casertano all’interno di un parco pubblico. Saremmo stati una trentina di spettatori, in cerchio seduti su sedie bianche di plastica. La metà di quei trenta erano miei amici di allora. Partimmo da Formia entusiasti come sempre, di quello che si andava a fiutare per resistere al conformismo paesano e con la speranzosa felicità negli occhi che ci distingueva all’epoca. Fu un concerto strepitoso e breve. Rimanemmo qualche minuto lì con il desiderio di abbracciare i musicisti, o mangiare mozzarelle nei mille caseifici lì intorno. Io sentivo una gioia infantile in quei momenti di condivisione celestiale tra quei Pini secolari, e voialtri? Invece ricordo che quella sera ci arrendemmo e con le nostre auto ce ne tornammo quieti quieti al di là del Garigliano.
   L’anno scorso ho rivisto gli Avion Travel a Roma in un grande centro commerciale, all’aperto, sempre su sedie di plastica, insieme a mia moglie, mio figlio piccolo e Roberta. Mi è piaciuto tantissimo il concerto, con un Servillo sempre più teatrale e i musicisti ancora più bravi e con un Fausto Mesolella piegato sulla sua adorata chitarra a interpretare melodie davanti a quello scatolone di cemento e vetro pieno di merci attraenti. Ecco, oplà, passano i decenni ed io mi ritrovo sempre coi soliti desideri mischiati a mille dubbi, e col solito fiuto per gli accenni di felicità qua e là, e l’inossidabile famelica voglia di mangiare mozzarelle di bufala che si presenta sempre nelle domeniche sere estive. In quel concerto al centro commerciale Fausto Mesolella fissava Jacopo, così, come a scegliere di osservare un mondo bambino invece che quello solito stantio adulto. A me di stare al centro commerciale o tra Pini secolari interessa davvero poco, quel che conta e mi fa sentire vivo, bello e pieno di sentimento è la sacralità di certi sguardi, o di certi ascolti. Tutta qua la mia spiritualità.
   Poi l’altro giorno Claudio mi ha raccontato che Fausto Mesolella fissò anche lui nel centro di Aosta, l’anno scorso. E difatti Claudio è uno che sa trattenere l’infanzia negli occhi nel suo passeggiare per il mondo: sicuro e dubbioso nel suo vagare.
 Questa cosa di fissare le persone a me piace e quando mi rendo conto di non essere l’unico a farlo, per buona pace di mia moglie, mi inorgoglisco sapendo di far parte di quella cerchia di eletti un po’ matti, curiosi e un po’ morbosi a cui interessa fissare bene bene le persone: le merci, il cemento, gli oggetti di design, gli oggetti di decoro, i parenti ottusi e le parole vuote sono poco più di niente per me, pari a caramelle scadute, appiccicose. A noi che fissiamo le persone, ci interessa seguire quelli che vagano problematici e colmi di tenerezza per le strade, o anche soltanto che recitano al meglio la propria tragedia lontano dagli occhi degli altri. Ma non dai miei, quando mi capitate a tiro, sappiatelo. La vita tutta intera tanto è prigioniera della noia pesta, e così proviamo a colmare l’angoscia per la salute che se ne va, o a frenare la paura per i soldi che si dissolvono, o cerchiamo di non vedere le rughe che compaiono di notte. Eccoci, siamo noi che lottiamo contro i giorni tutti uguali, a cui ci arrendiamo pacati solo dopo l’amore o un abbraccio improvviso dei figli. Noi che non sopportiamo la ferita di non essere riusciti a suonare nemmeno uno strumento musicale, nemmeno una chitarrina. E allora ci tuffiamo nelle canzoni degli altri, o sprofondiamo nei film tristi, e il pomeriggio osserviamo le smorfie dei bambini al parco. Così continuiamo svogliati e splendenti a fare l’amore nei sabati pomeriggio arancioni. Siamo salvi anche quando né colpevoli né innocenti ce ne andiamo al centro commerciale, anche se poi ne usciamo sempre con gli occhi che bruciano e quella frenesia di arrivare a casa per mangiare le mozzarelle di bufala con le mani. Eccomi qui, uomo e bambino e lasciatemi vivere così: in questo limbo fresco pieno di bufale campane, con gli occhi arrossati dopo una passeggiata tra gli alberi e i negozi.