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domenica 5 maggio 2019

Non trascurate Milano!

  Siamo stati a Milano. Un viaggio agognato da anni: un giorno vi porterò nella città più vicina ai vostri sogni che ci sia. Più o meno questo il mantra che recitavo ai miei figli in ogni fine settimana, per contrastare la paura di morire di domenica a Roma, insoddisfatti. Parla per te, potrebbero dirmi.
A Milano ho fatto subito una cazzata alla romana: ho acquistato una Milano card inutile, condizionando tutta la mattinata; e meno male che siamo sbucati col treno direttamente al bosco verticale.
Col nostro trolley abbiamo passeggiato già dalle 8 di mattina per quei viali. Poi sdraiati su quelle panche ergonomiche sembravamo un urban family. Fa niente che una volta alzati, all’incrocio, stavamo già litigando per via del mio accanirmi con questa Milano card: attivala, e su, pa’. Per poi accorgersi che si doveva aspettare le 12 che aprisse il punto vendita in galleria, nonostante l'avessi attivata online. Arrivati in hotel a Lambrate, ci siamo fatti una doccia e poi di nuovo fuori: ci aspettava il corteo della Liberazione. La mia ansia di arrivare e non godere di tutto il soffice e benefico corteo antifascista, minava gli equilibri famigliari. Una volta al Duomo mi sono ritrovato a cantare Bella ciao a due metri da Fabio Fazio, mentre passava Gino Strada, e poco prima che mia moglie si facesse una foto con Pif e stringesse la mano alla Boldrini. Il massimo per un curioso mitomane come me. Intanto i figli zompavano tra la Mondadori e la Feltrinelli in cerca di manga, film e musica rap. Poi ci siamo ritrovati nella coda anarchica del corteo, e abbiamo ballato tutti e quattro anche appresso ai loro camioncini sgangherati di birra e passato.
Poi ai Navigli, dove il piccolo ha preso un tè da portare via presso un negozietto in un vicoletto zeppo di piante e silenzio. E il grande ha voluto (miracolo a Milano!) che li fotografassi sotto al megacartellone degli Avengers.
La sera rientriamo in hotel e io ho una crisi da troppo carico organizzativo. Gli rimprovero di non sapersi organizzare, che nei giorni precedenti glissavano ogni volta che parlavo di Milano. Un pazzo. Visto che non avevamo proprio cenato, e non riuscivo a stare in quella stanza, esco e affronto il deserto di Lambrate. Un egiziano con gli auricolari sussurra al suo amore lontano, un vecchietto rientra a casa con una spesa piccola piccola. Entro al Lidl e prendo la cena per i figli. Riempio disperato due buste e affronto il viale del ritorno. Le bottiglie sfondano le buste e sembrano dei cannoni contro eventuali cani randagi, Sudatissimo mi fermo al centro di una mega rotonda giardino e, davanti a un tavolo da ping pong di pietra, mi do uno schiaffetto. Parlo da solo, maledico “il modo in cui sono fatto…”, piagnucolo. L'egiziano è ancora lì a sbaciucchiarsi con la fortunata donna e guardandolo mi arriva un sollievo tra i polmoni e la giacca: sfranto e madido non mi faccio più pena perché anch'io amo, o so amare almeno. Rientro, do istruzioni su come prepararsi le cose nel cucinino comune dell'hotel e mi faccio una doccia. In quell’oretta in cui sono mancato avevo il cellulare spento. Il grande mi aveva scritto: torna pa’. Il piccolo aveva detto alla madre: ma lui è fatto così, con sorriso e saggezza che mi riempie di orgoglio e allegria in differita.
L'indomani una tregua di nuvole e umore ci fa visitare il castello Sforzesco e analizzare il perché di varie posture di San Sebastiano nei dipinti.
Poi arrendersi alla non finita pietà Rondanini. La strana e bellissima coppia al bar di parco Sempione ci serve uno spritz, mentre il piccolo noleggia una bike sharing e il grande si avvia al Duomo per incontrare amici dell' instagram. Prendere al volo un tram e arrivare al cimitero monumentale. C'è Manzoni al centro, ma pure tanti Levi e milanesi lontanissimi e distribuiti come in una anagrafe capovolta in cui la burocrazia mette radici e racconta. Casa Manzoni era chiusa, optiamo per City Life, e ci facciamo inghiottire da metro-parco-centrocommerciale senza che arrivi mal di testa o mal di gente. Il piccolo prende l'ennesima bici e noi sogniamo di vivere in mezzo a quel tanto e silenzioso che ci è sempre mancato: le basi sicure per fare quello che ci va di fare, senza rompere al prossimo.
Il grande sbuca alle Tre torri e ha le vertigini per tanta geometria rassicurante. Si decide di andare in via Paolo Sarpi, e così mangiamo da cinesi cinesi con l'ansia di disturbare con le nostre richieste. Poi prendiamo il tram nel verso sbagliato e salta l'uscita Navigli o Brera solo con i figli. Fa niente, oggi è stanchezza piena.
L'indomani vado col piccolo a Brera. Mentre lui punta al Mantegna per accorciare la distanza per lo Starbucks promesso, io rallento e penso che a volte vedere “tutte le opere” in un museo è da pazzi, perlomeno farlo di seguito. Non sarebbe meglio mettere un bar tra una stanza e l'altra? Dove rivedere in mente quelle opere, o su un libro, magari sorseggiando un caffè? Inutile, non ho più il coraggio di dimostrare di averle viste tutte, come in un pacman che dà status da intenditore. Siamo vecchi ormai, facciamo i bambini davanti all'arte, su.
Esco da Brera, il piccolo prende la …. e io da Google Maps scopro che là di fronte c’è la casa di Lalla Romano. Una vecchina sta entrando e chiedo se quel nome sul citofono corrisponde alla scrittrice. Mi fa, certo, abitava qui la Lalla, brava giornalista… Mi pareva di essere in un racconto, in una scena del romanzo italiano del Novecento. Ho preferito questo alla visita del suo museo, mi perdonerà Lalla Romano?
Poi abbiamo incontrato il grande e mia moglie. Si doveva andare a pranzo da un’amica d'infanzia di mia moglie, in campagna. La metro arriva anche lì, tagliando fiumi e campi verdissimi.
Milano in fondo non me l'aspettavo ancora più verde dell’ultima volta che l’ho vista.
Arrivati, e invece della cotoletta ci aspettava uno spaghetto alle vongole, per noi che crediamo nelle contaminazioni creative era un segnale preciso per le nostre vite.
Se volete continuo col viaggio di ritorno e le riflessioni e scuse del giorno dopo a Roma. Diciamo che questo era solo il primo atto...