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mercoledì 14 ottobre 2015

la rampa del futuro



    In una domenica mattina d'ottobre passo sotto al Municipio e vedo un vigilantes con tanto di scuotitore elettrico che raccoglie le olive, a Roma, nel 2015. E penso a quella volta che Veltroni venne ad inaugurare l’inizio dei lavori del raddoppio della via Tiburtina, era il 2006. Così ripenso a quei vecchietti scettici che durante l’inaugurazione bofonchiavano “see, e mo’ la fanno sta’ strada nova”; mi urtavano ai nervi e cercavo coi pensieri di emarginarli dentro alla loro vecchiaia acida: vedrete cosa sappiamo fare noi giovani cittadini attivi, eh! Ora pare che riescano a finirli i lavori prima del Giubileo, ché Marino in primavera sì è impegnato pubblicamente tra vescovi e imprese. Nel 2006 pure l’allora presidente del Municipio disse: guardate che nel 2009 in dieci minuti arrivate alla metro! E io segretamente a progettare uscite infrasettimanali verso Roma. In questo giorni per arrivare alla metro facciamo una vera gimcana e nei giorni feriali ci impieghiamo anche un’ora per fare sei chilometri.  

   
    Sempre all'epoca ad una festa dell'Unità chiesi all’assessore ai lavori pubblici: ma ci state pensando alle scuole nel quartiere nuovo? E lui, un po’ alticcio per il vino di Olevano, fissa un suo collaboratore con un’espressione a metà tra House of cards e sintesi sguaiata del neorealismo nostrano, e gli fa: ce li abbiamo due milioni? Quello annuisce e l’assessore mi risponde: mettiamo due milioni per la scuola, facciamo un istituto comprensivo modulare. Un po' stordito mi son tenuto per me questa promessa con il timore che dicendola in giro il ridicolo poi sciupasse la speranza. Che scemo che ero.
    Nella stessa domenica d'ottobre dell'incipit sulla Tiburtina ho davanti una Smart nera che clacsona furiosa a una Fiat con un vecchietto dentro, poco prima di prendere la rampa per il Gra; i due della smart si accaniscono contro di lui, e subito dopo verso il gruppo di ciclisti che facevano rallentare il vecchietto. La carreggiata è stretta per i lavori in corso e non ci passa nemmeno la Smart coi ciclisti al lato. Ci vuole pazienza pensavo, ma senza preoccuparmi o incazzarmi, mentre osservavo i due esagitati con la testa di fuori che inveivano contro il vecchietto lento e spaurito oramai già sulla sua rampa.

    Nel 1995 vendevo in giro una rivista di poesia che si chiamava “Per terra”, e spesso la vendevo all’ingresso della facoltà di Lettere, oppure, usando il Trovaroma, scovavo tutte le rassegne dove trovare possibili acquirenti di poesie. Le ragazze della rivista erano contente di me, perché vendevo centinaia di copie ad ogni uscita. Ne ho regalata una copia a Lindo Ferretti prima di un suo concerto a Castel S. Angelo; Zamboni non c’era, ché aveva rischiato di perdere un occhio nel pomeriggio. Il concerto fu sconvolgente, e per il pogare allegro persi la cartellina con le poche copie invendute. Disperato ma felice ho aspettato seduto sul marciapiepe che il pubblico se ne andasse: la cartellina era lì per terra, schiacciata come in un fumetto, come una sottiletta, come la mia condizione d’allora, e dentro c’era anche la mia copia con autografo di Lindo. Com'ero beato e complicato allora.

    Fino a ieri avevo un patto in sospeso con la mia generazione: fai il bravo e seguici nelle nostre peripezie politiche, artistiche e mondane: dopo il futuro sarà splendido e autentico per te. Oggi sto alternando lo stuccare le pareti del mio seminterrato, allo scrivere frenetico di questi fatti al pc, con la colonna sonora degli Ustmamò: lì ascolto soprattutto per vedere l'effetto che fa. 
Al centro della stanza si è formata una nuvola rosa di polvere, e osservandola fantastico il progetto per una feconda vecchiaia a prova di rampa. Tutto questo mi piace e mi procura una smorfia di sorriso solitaria, e vorrei che durasse per un'altra vita ancora. Ma che fatica far sembrare questa condizione descritta come la mia realtà, e non come una metafora ispirata in una domenica che scappa via.