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giovedì 24 marzo 2011

Cristina Donà - In un soffio (Unplugged)


Sogno:
Camminavo lungo la spiaggia di S. Agostino, a Gaeta. Credo sia stata una giornata di fine estate. Forse settembre. A un tratto, nel lato strada mi è comparsa davanti agli occhi un’enorme struttura moderna. Tanti cubi appiccicati gli uni con gli altri, con delle vetrate rettangolari interrotte da travi leggere. Il tutto formava un insieme invadente per quel tratto di costa. Magari sul lungomare di Sidney no, ma lì, con quel paesaggio scarno e un po’ selvaggio, proprio non c’entravano nulla. Così pensavo nel sogno, al punto di dirlo ad alta voce. Un gruppo di persone, sentendo questa considerazione critica, ha borbottato qualcosa. Una volta superato il gruppo, dopo aver percorso altri venti metri, mi arriva una pietra sulla testa. Mi giro e intravedo una ragazza che fugge. Vado verso il gruppo ma dopo alcuni passi cado (mi butto?) a terra dolorante. Un signore, che non faceva parte del gruppo, mi dice di rialzarmi che non era niente di grave. Bofonchio qualcosa e mi avvio verso il gruppo di prima. Non trovo la ragazza. Entro nella struttura e mi metto a cercarla: era davanti allo spogliatoio. Mi vede e scappa. La prendo, senza arrabbiarmi le chiedo perché l’ha fatto. Mi risponde un signore dandomi alcune giustificazioni poco chiare ma molto gaetane, nell’accezione positiva: sdrammatizzare col ragionamento. Dimentico l’accaduto e le chiedo che cos’è ‘sta struttura enorme. Mi dicono che si tratta di un centro polivalente comunale. Chiedo se è frequentato. Molto, rispondono. C’è pure la biblioteca. La biblioteca, rispondo sorpreso. E sì, e pare che sia anche più frequentata del resto.
Mi sono risvegliato chiedendomi del perché di questo sogno. Non so rispondere. Molti elementi stanno dentro a quello che sto vivendo in questo periodo. Il resto, spero di capirlo nei prossimi fatidici giorni. Spero?

sabato 19 marzo 2011

9. Il re del mondo, de Franco Battiato


Nelle orecchie le parole affrettate di aspettative belliche. Il giornalista era decisamente fuori dalle righe: una guerra di fronte al tuo giardino di aranci non capita tutti i giorni. Già, e io resto in balia degli eventi non sapendo più giudicare nettamente le cose. Le persone. Intanto leggo un libro sulla – e dentro – la resistenza partigiana, e mi accorgo di quanto siamo appiccicati alle nostre misere cose provvisorie. Ci carichiamo il guscio sulle spalle e lentamente, quasi da fermi, ci avviamo verso soluzioni intermedie.
Sarà il tepore di questa giornata primaverile, ma sento una disgraziata voglia di normalità avvolgere le case del mio isolato. I bambini che corrono - con il Nintendo nella tasca – cercando di tenere viva la tradizione fisica di essere spensierati a quell’età.
Mia madre ascolta delle parole tra la pelle e la vestaglia, e ogni suono rimbomba nelle mie orecchie.
Ogni piano della mia casa è vissuto intensamente. Ogni libro aperto stende un filo di speranza tra noi e il futuro.
Tornando al presente, e aspettando notizie, mi assolvo anche questa volta: il male sta di là del giardino. Il bene sta al di qua dal libro, in una minuscola ferita che apre ogni dibattito serio sulla questione. Privata.
La storia siamo noi?

sabato 12 marzo 2011

blog clown


Perché scrivo su questo blog? Per mostrare quel 10/20% in più del mio intimo pensiero? bah, o forse per spiegare il motivo per cui scrivo: liberarmi con equilibrio da clown delle mie mostruosità. E poi m’importa poco degli effetti. Ciò che conta è lasciare le tracce giuste. Magari dopo aver letto quello che scrivo, così come ha fatto Enzo (ciao Enzo), approfondire la questione. Altrimenti ci perdiamo dentro alla cronica esigenza della cronaca spicciola del nostro tempo. Un alt a questa invasione. Uno stop alla deriva televisiva cui siamo comunque condannati. Ci provo, almeno tento questa carta. Negli anni mi sono annoiato a mostrare solo il lato buffo o indignato della mia persona.
Navigo a vista sulle velleità care al mio tempo. Recuperare smorfie autentiche dei miei amici, oggi questo mi basta. Oggi questo mi spetta.
Bello svegliarsi stanchi e nervosi, poi d’un tratto, a ristabilire un equilibrio, le canzoni belle alla radio e un sorriso di mio figlio che parte con la bicicletta.

giovedì 10 marzo 2011

facce strambe


Nella mia famiglia tutte facce strambe. Occhi a palla, occhi verdi. Nasi enormi, sguardi torvi. Per non parlar dei seni tondi e delle bocche spalancate. Poi corpi slanciati, e piedi piatti. Nessuna eccezione, nessuna tradizione. Ognuno è diverso a modo suo. Ci siamo mischiati nell’euforia del tempo. Nessun incontro fluido, solo abbracci confusi. Solo storie combinate, solo amori impossibili.
Io ne resto fuori, sia chiaro, altrimenti chi racconterebbe ste stranezze? E pensare che nella storia di famiglia sto collocato poco su “Maria la pazza”, e poco in basso di “Zi Antonio che portava sempre i limoni…”. Che piacere sta famiglia di strani, che libertà dentro sta famiglia d’irrequieti e quieti. Di seni enormi e culi piatti. Di urla di sorrisi e silenzi tombali. E pure quando arrivano nuore, generi e nipoti acquisiti, il flusso continua. Un contagio virale vivo e generante di casi umani incessante.
Un romanzo non basterebbe, un racconto la umilierebbe, sta storia va distribuita a cadenza annuale. Non parlo di biografia: troppo semplice sarebbe. Storie, leggende, e pettegolezzi che raccontano, tra le righe allegre, una miniera di una miserabile storia. Non conta la verità strillata, ma le verità sussurrate qua e là nelle pagine più in ombra. Sant’iddio, la narrativa è vita che si fa suggerire dalla fantasia. Storielle e tragedie che nel tempo si adagiano. Noi a srotolare e fare a pezzetti tutto questo.
Poi lacrime e risate borbottano tra le pagine che una è figlia dell’altra. Ma cosa importa? Bisogna sempre trovare il tempo di pulire dalla cenere i nostri occhi umidi. E mai farsi schiacciare da una sola emozione. Altrimenti una scopata diventa una lezione teleguidata di fitness yoga….
Noi siamo sangue rappreso che si scioglie nel bucato delle nostre storie private. Almeno fino a quando non si decide di scriverle 'ste cose. E allora son risate e bastonate, dipende dai parenti e amici che si ha.

martedì 8 marzo 2011

Intervista ad Antonio Pascale. Per chiudere il cerchio degli ultimi post

Peppe Stamegna intervista Antonio Pascale. Settembre 2009

La lettura del racconto "Stai serena" mi ha turbato. La scrittura di Pascale regge su di un equilibrio che non è solo formale, ma che è soprattutto sostanziale: seppur asciutti i sentimenti sono espressi all'ennesima potenza. Rivelano contemporaneamente il lato oscuro delle faccende interiori e i loro risvolti sulla quotidianità dei personaggi. Ne viene fuori un’intensità di scrittura che non fa sobbalzare ma tiene incollati alle pagine quasi con la paura che volino via. Che scompaiano per sempre. Così tutto viene trattenuto visceralmente e alla fine del racconto ogni sentimento reclama spiegazioni.
Pensavo ai mal di pancia procurati dall'articolo di Citati e al conseguente liberatorio "Scienza e Sentimento". Di come un libro possa rimanere analitico seppur il suo autore dichiari subito i suoi dolori per come viene trattato l'argomento dai letterati puri.

Peppe Stamegna: Quale forza contiene la sua scrittura? e come riesce a gestirla davanti agli impeti delle emozioni?

Antonio Pascale:Tutto (almeno nella mia testa) poggia sull’idea di saggio personale. Un genere parecchio frequentato nei paesi anglofoni. Invece di ragionare su tesi a partire da altre tesi, si racconta una propria esperienza e dopo si prova a ragionare sui risultati. Prima si vive poi si pensa. Il saggio personale ha una matrice nobile: i dialoghi filosofici. Quelli di Platone avevano tre caratteristiche che mi piacerebbe continuare a utilizzare. a): erano antiretorici. Il Protagora inizia così: da dove vieni Socrate? Si fa uso di canoni orali. b) si sostituisce l’azione drammatica con la riflessione attorno a una questione. c) c’è il tentativo di coinvolgere il lettore nella discussione, dunque, spesso sono saggi “aperti”. A differenza dei dialoghi che vedevano personaggi peculiari alle tesi dibattute, quello personale sostituisce ai personaggi la figura dell’autore stesso. Naturalmente non sto teorizzando la superiorità del saggio sul romanzo o questioni simili. Quando si inventa un personaggio all’altezza dei tempi, il romanzo procede a meraviglia, ma quando questo personaggio non appare (come nel mio caso), si può usare questo genere. Ha dignità letteraria insomma.


P. S.: Leggendo il suo libro ho capito che le mie convinzioni sul biologico poggiavano su miti consolatori. Sarebbe interessante a questo punto veder uscire fuori dalla melma retorica i fautori del biologico e innescare un dibattito costruttivo. Le è successo in questi mesi?


A.P. No. La questione “biologico” per essere affrontare purtroppo richiede competenze agronomiche. E’ difficile far capire che quei prodotti coltivati seguendo i dettami del biologico sono gli stessi che coltiviamo nell’agricoltura convenzionale. Vengono dagli stessi laboratori di genetica e tranne qualche sfumature vengono lavorati con gli stessi metodi agronomici. Ma chi coltiva biologico ha una forte matrice religiosa, pagana. Crede alla madre terra e cose di questo genere. Quindi per un laico come me è dura discutere di religione. L’unica soluzione è quella dello Stato laico, capace di discutere caso per caso, legiferare buone norme che permettono di fare un buon biologico e una buona agricoltura convenzionale. Abbiamo bisogno sia della produzione di massa, che si ottiene grazie all’agricoltura intensiva, sia dei lussi, che si ottengono con la produzione biologica.

P.S. Ho partecipato all'incontro che c'è stato a piazza Navona tra lei e Sebaste. A un certo punto lei ha tirato fuori un discorso su Pasolini contrapponendolo a Parise. La poesia urlata e la poesia silenziosa. Negli anni anche per me ha prevalso la seconda seppur all'inizio non c'era partita. Poi "l'odore del sangue" e i Sillabari hanno schiacciato in un angolo "i ragazzi di vita" e tutto l'armamentario ideologico che ne è derivato. Poi il fatto che "l'odore del sangue" terminava proprio in piazza del popolo facendo emergere una città livida sotto i colpi di una generazione violenta ha chiuso il cerchio del ragionamento. Almeno il mio. Non trova che Pasolini sia invecchiato di colpo e Parise invece appaia fresco e pronto a raccontarci un'altra storia?


A.P. Sì, chiedo naturalmente tutte le attenuanti per la dichiarazione che sto per fare: non trovo Pasolini così interessante. Parise è inquieto, parla di sentimenti senza essere sentimentale è civile senza usare la retorica dell’indignazione. Parise è moderno, Pasolini fa uso del sapere nostalgico (tutto quello che è avvenuto nel passato ha valore, tutto quello che è presente è corruzione). Siccome il sapere nostalgico va di moda, Pasolini non tramonterà mai.


P.S. I suoi racconti hanno ospitato tanti personaggi, anche molto differenti tra loro. Fino a che punto appartengono a spunti autobiografici?


A:P. Generalmente invento. Ma, in fondo, scrivo, perché credo di aver vissuto esperienze interessanti. Come diceva Carmelo Bene, ogni autobiografica è falsa.


P.S. Il suo considerarsi un letterato impuro è una difesa o una maniera per sentirsi più svincolato e quindi libero da scuole o congreghe letterarie varie? o cosa?


A.P. Semplicemente non nutro fiducia della narrativa, al contrario ho molta fiducia del ruolo dell’intellettuale. L’intellettuale è quella persona capace di creare connessioni e fornire orientamenti, più curioso è, più è capace di integrare i saperi, meglio lavora. 



sabato 5 marzo 2011

outsider


Da sempre sono affascinato dagli outsider. Da ragazzo ne facevo una malattia: come il personaggio (outsider) diventava riconosciuto e affermato, gli voltavo le spalle. Oggi riesco a non abbandonarli del tutto….per esempio Pennacchi. Lo scoprii con il suo “Mammut”, e ora, dopo lo Strega, ancora lo considero tra i miei  scrittori preferiti.
Sono guarito? Invecchiato?
Forse ragiono un po’ di più e del romanticismo di seconda mano, proprio non ne ho bisogno.
Quello di cui avrei tanto bisogno è la voglia di continuare a scoprire libri o musica, personaggi o artisti, ma senza spegnere in loro tutte le mie paure. Frustrazioni che schiacciano contro il muro della solitudine.
Oramai a quest’età sono sempre più somigliante al sangue che attraversa il mio corpo. C’è poco da contraffare.

giovedì 3 marzo 2011

Piccolo è davvero grande(facile questa)

Davvero Francesco Piccolo è un mio contemporaneo, perlomeno lo è quanto io lo desideri. Nel senso che lo trovo laterale - quindi interessante - ad ogni contrapposizione asfittica del mio tempo.
Inoltre, e non è poco, mi piace quello che scrive e che dice.
Tutto qua.

Stanchi anche di indignarci

di Francesco Piccolo | tutti gli articoli dell'autore
È uscito anche in Italia Indignatevi! di Hessel, che in Francia ha avuto enorme successo. Sembra che il pamphlet debba avere anche nel nostro paese la forza d’incoraggiamento e di coinvolgimento che ha avuto in patria; del resto, già da molti mesi ci era giunta l’eco della sua spinta emotiva. Ma la verità è che se c’è una cosa di cui l’Italia (o almeno quella parte del paese alla quale dovrebbe rivolgersi Hessel) non difetta, è l’indignazione. Se c’è una cosa che la metà della popolazione italiana, dal 1994, ha fatto, è esattamente questa: si è indignata. Se c’è un sentimento che la sinistra italiana in ogni sua forma e incarnazione ha espresso, è l’indignazione.
Nella sostanza, l’unico. Oltretutto, deve trattarsi di un sentimento di cui nemmeno si riesce ad avere consapevolezza, visto che dopo diciassette anni, arriva un libro che si chiama Indignatevi! E tutti urlano: ecco cosa bisogna fare!
Il risultato è che l’indignazione – lo testimonia la storia di questi anni – non ha generato nient’altro. E non è un caso, perché indignarsi vuol dire sentirsi estranei a ciò che accade davanti ai propri occhi; è una reazione civile, ma che respinge ogni coinvolgimento nella realtà. Quindi, al contrario di ciò che sostiene Hessel, vuol dire tirarsi fuori da quello che accade. Non partecipare mai fino in fondo.
Se per partecipazione si intende stare dentro le cose e lavorare per cambiarle, allora il vero slogan che servirebbe adesso, dopo tutto questo tempo, è: Basta, non indignatevi più!
27 febbraio 2011