Poi ti capita di passare una giornata presso una masseria diventata nel
frattempo un luogo per eventi, in provincia di Caserta, dove le strade sono
piene di copertoni e prostitute. E sto lì al tavolo con un amico quasi
sessantenne, ex fricchettone, uno che mette il panama in testa e riesce a
essere sprezzante col mondo intero poco prima di tuffarsi vestito in piscina.
Una volta riemerso gli ho chiesto se sapeva da chi era gestito questo posto, e
lui, denso d’alcol e rimpianto, mi dice che è una lavatrice di soldi sporchi, ma per poi ammettere, con fare da
attore alla Carlo Cecchi, che la sua generazione oramai spara solo cazzate. Romantiche
cazzate, che però a me continuano a piacere, così come mi piace fissare quell’attimo
prima della decadenza, chissà perché.
E durante la cerimonia ho continuato
a chiedere se questo posto è “pulito” a un vice-sindaco, che mi farfugliava
mah, chissà, e poi… a un altro parente, che dissertava come un travaglio
qualsiasi; c’era poi chi mi rideva in faccia malizioso, e alla fine mio cugino
Pasquale che si è ritrovava il mio stesso stupore in volto: magari questi sono
diversi, e checcazz! Poi ho scoperto che sì, sono stati minacciati all’inizio,
ma che poi sono riusciti a far incarcerare quei delinquenti. Tanto lo so che i “Io
so, ma non ho le prove” che Pasolini disseminò in giro, qui, nel basso Lazio o
nell’alto casertano, hanno attecchito più delle palme delle Canarie. Insomma,
qui tutto si regge sull’emotività, sul pessimismo borbonico o ex-extraparlamentare
e nessuno ha voglia di dire le cose per come sono davvero, per come nascono, si
sviluppano e poi muoiono: come gli uomini, come le idee, come quell’Erica
aggrappata alla Montagna spaccata. Questo vale anche per le questioni
personali. Io, per esempio, ho una situazione famigliare stramba da sempre, a
tratti angosciante, che gli altri conoscono, eppure, da anni, sono pochissimi
quelli che mi hanno chiesto: Come stai? col tono affettivo giusto, di quello
che ti fa rispondere senza fretta di troncare per paura di annoiare. Queste
persone che l’altra sera ballavano e ridevano io le ho amate tantissimo, fino poi
a odiarle altrettanto: anche se non riesco a essere sprezzante come l’ex
fricchettone col panama (ti voglio bene ancora, eh!). Io non voglio
invecchiare, pensavo stamattina sull’amaca mentre provavo a leggere, senza
note, i canti dell’Inferno salvati sullo smartphone. Io voglio scappare dai
clan, no, non solo da quelli gomorriani, soprattutto da quelli semplicemente famigliari: nell’aria ci
sono turbamenti neri d’invidie e litigi e accuse e risentimenti e diffidenze e
vafammocc’. Qui è così. E ci sono scappato nel ’90, per paura di crollare in
una depressione coperta da mascara e birra.
Alla fine della serata l’ex
fricchettone, oramai a modo suo integrato anche se nel fine settimana sputa
veleno bevendo vino rosso buono, e che a me continua a stare simpatico,
comincia a delirare spaziando su una gamma d’odio che partiva dagli ebrei,
passando dai napoletani e finendo coi gay.
A questo punto gli ho messo una mano
sulla spalla, ho abbassato al minimo il tono della voce e cercando
l’espressione più dolce e accogliente che avevo appresso, e gli ho sussurrato:
buonanotte, amico mio.
Ieri sera il grande ha
cominciato a parlarmi dei suoi problemi di comunicazione con gli amici “quelli
quando io gli racconto di me mi troncano e cambiano discorso”, scoppiando a
piangere alla fine della frase, come se avesse rivisto quell’espressioni
chiuse. Allora l’ho abbracciato e mi sono sforzato di non dirgli cazzate, così
ho aspettato alcuni minuti, facendolo piangere sotto quell’ulivo dove fiondava
luce lunare, e riabbracciandolo gli ho appena sussurrato “ti voglio bene”, con
il tono giusto, almeno credo. Dopo siamo usciti a prendere il gelato. E dopo ancora
ho rischiato di mettermi il panama anch’io e…
(continua domani).
(continua domani).