Pagine

martedì 31 marzo 2015

Mio padre è un osso di seppia

Ho ritrovato mio padre sulla spiaggia di Anzio. Era diventato un osso di seppia, striato da questi anni di silenzio. Stavo lì davanti agli scogli, infreddolito, solo, e lontano non vedevo neppure un’isola: mi sforzavo d’immaginare la sua barca anni cinquanta con quelle reti scure d’acqua. Sì, potrei raccontare che vendevi il pesce al mercato, e che restavi ad Anzio circa tre mesi l’anno. E dormivi rimpicciolito nella stiva, e mangiavi pane e alici fritte. Il vino bianco la sera. Un film la domenica. Gli occhi sui culi delle donne locali, nessuna avance, era un’epoca strana: facevate all’ammòr’ ma non ci avete raccontato da dove partiva la seduzione. Dalla fame? O dal sale o dall’argilla che impastava le tue nere braccia?

Mi sono tuffato e faceva già meno freddo, l’osso di seppia se ne stava su quegli scogli che morivano davanti a quella sabbia nera e bollente di ieri. L’osso di seppia aveva il cappello di mio figlio messo di traverso. Ho nuotato ore e ore fino a stordirmi di sale e silenzio.


Un anno fa scrivevo come sopra, stasera scriverei come un mostro: nel mezzo mi ascolto questa canzone fresca. Non chiedo più la luna o vette troppo alte per la mia storia, no, solo un po' di sincerità e amici da abbracciare la domenica mattina.
Fanculo le aspettative e il grigio dei tuoi occhi. 

Goffredo Parise lo spiegava meglio di me, così: "Non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo e mi fanno perdere anche un solo secondo di vita."

Goffredo Parise


venerdì 20 marzo 2015

Le piccole virtù

    Cercavo parole per la mia crisi con gli amici di sempre, e le ho trovate fresche e luminose. Cercavo frasi per approfondire meglio dell'amore e delle incomprensioni con mia moglie, e stavano là distese ad aspettarmi. Soffrivo l'assenza di confronto per capire le ragioni e le ribellioni di mio figlio adolescente, ed eccole spiegate senza disperazione. Cercavo una spinta per la mia vocazione, il mio mestiere, l'amore per la mia storia, e oplà, d'improvviso mi sento sollevato di non aver sperperato la speranza di ottenerla ancora.
    Sì, Le piccole virtù, preso in prestito in biblioteca, di colpo diventa il libro che brilla di più sul mio comodino in questi giorni di eclissi e silenzi.
   Natalia Ginzburg e la sua scrittura leggera, superba e profonda, mi suggerisce di non esser troppo entusiasta, e aspettare, in silenzio aspettare, quell'equilibrio segreto:
 "e d'un tratto le cose della terra ci sono apparse al loro giusto posto sotto il cielo, e così anche gli essere umani, e noi stessi sospesi a guardare dall'unico posto giusto che ci sia dato: essere umani, cose e memorie, tutto ci è apparso al suo posto giusto sotto il cielo. In quel breve momento abbiamo trovato un equilibrio alla nostra vita oscillante: e ci sembra che potremo sempre ritrovare quel momento segreto, ricercare là le parole per il nostro mestiere, le nostre parole per il prossimo;...


   Grazie Natalia Ginzburg, e scusa per averti incontrata così tardi (non è mai troppo tardi diresti, dolcemente seccata, ripetendomi di tenere sempre a mente quel momento segreto).

   Così metà disperato e metà sollevato mi avvio a un silenzio da me cercato, temuto, ma non per questo desiderato. Dovere delle cose, della memoria e delle attese che spaccano in due la nostra esistenza: un prima e un dopo. Intanto vado a cercarmi il mezzo, l'equilibrio, il segreto.

lunedì 9 marzo 2015

mio figlio dal ciuffo immobile

     Mi sono iscritto al primo superiore. Sì, sul sito del Miur hanno preso la domanda di mio figlio col mio nome. Il resto dei dati sono i suoi, ma il nome è mio. Dirai: lo soffochi, lo stressi, non gli permetti di sbocciare d’identità. Ehi, non esagerare, un po’ è vero ma mica sono così matto da schiacciare fino a questo punto la sua bella e acerba identità. E’ stata una falla online. Però in questi giorni di incazzature feroci sto scoprendo, e quando succede mi viene quasi da piangere, di come gli sto volendo sempre più bene a questo ragazzo oramai alto quanto me, e di come sta aumentando questo sentimento proprio mentre lui si stacca piano piano da noi. Eccolo coi suoi capelli dal ciuffo immobile, e quelle sue mani fulminee, e quel suo passo incerto tra montagnole e catrame del suo amato quartiere: dove al tramonto si intravede il cupolone, laggiù, come fosse una quinta consolante in miniatura per noi oltre raccordo. Quando deve farsi notare ha certi buffi movimenti di scatto: sembra un attore, fa bene l’attore, il mio ragazzo dal ciuffo immobile. 

   Si muove svelto col suo carico di giovinezza: a volte ci sembra triste, altre troppo serio, poi in fondo magari sta cercando soltanto il suo stile, come ogni persona sensibile su questa terra. E ride di gusto davanti a quei video su YouTube, e scava in quel tubo per me misterioso alla ricerca di specchi suoi, soltanto suoi, e noi esclusi aspettiamo che ritorni cresciuto, col suo sorriso pieno di denti che assomiglia a una canzone.

    Mannaggia a me, e ai miei mille egoismi adulti. Perché non gli ho risparmiato quando era piccolino mille traslochi e quintali d’ansia. Lui se ne stava tra di noi con quegli occhi a fissare lunghe banchine di metro, giganteschi alberi nei parchi romani, persone curiose o sole, ed io tremante con la faccia contorta a evitargli di vedere le mie fragilità; ma meno male c’era la faccia serena e decisa di tua madre ad asciugare ogni paura. Ma quante rabbie e frustrazioni passavano lo stesso, sai; poi passavano anche parenti ottusi e amici fuggevoli, che c’entra. Passava tutto. Ce ne stavamo su quel marciapiede di domenica, e intorno a noi invisibili puzze sulfuree ad assorbire i nostri sguardi, per confonderli; poi sorridere all’improvviso è sempre stata un’arte per noi. D’estate in giro con la tenda insieme agli artisti di strada, e gli amici intorno, noi eccitati, loro perplessi. Tua madre con le gonne lunghe da zingara, e gli altri che non capivano quel nostro accanimento a voler muoverci come fossimo ancora persone come loro; adesso che loro ci sembrano piccole sette famigliari - guai chiamarli durante i pranzi domenicali - non sanno che mortificano un po’ il nostro spassoso passato comune. Beati loro. Noi restiamo così allegri ma serissimi, nonostante siamo diventati insieme famiglia e persone, restando belli e soli. Alle ortiche ogni rancore stanotte.

Quel giorno con tua madre sdraiati sulla spiaggia bianca di notte, il mondo là seduto silenzioso e blu - bloccato come in una foto con la posa b - mentre noi stiamo per iniziare l’amore salato: un disgelo che sappiamo solo noi e la nostra antica tenerezza.


Facciamo che mi sono iscritto al primo superiore, sì, perché vorrei ricominciare da zero con i pensieri teneri e luminosi di questi anni, ché quelli di ieri erano di seconda mano, angosciosi, dolci e poco più. Andrea, sai che reportage ne uscirebbe? Me ne starei con la vita esplosa nelle tasche a far dimenticare il dolore con le mie inutili storie: raccontandole una a una senza far rumore. Come bloccate in una foto.