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venerdì 22 aprile 2016

Romics e noi



     Avevamo dei biglietti omaggio, era domenica, si stava sereni abbastanza da rischiarci una domenica. Andiamo al Romics. Fiera di Roma. Appuntamento davanti alla parrocchia, dove gli amici del piccolo vanno a messa. Si parte.
Già dalla Prenestina rallentamenti. Google Maps mi dice che ne avremo ancora per un’ora abbondante. Smadonno. Devio all’Eur: intanto sulla Magliana direzione mare il sole ritorna domenicale per noi. Non ero mai stato alla Nuova Fiera. Un parcheggio immenso ci accoglie, in fondo vedo un tunnel pedonale pensile di ferro e vetro: e io penso subito alla solitudine notturna di luoghi così. Sfila accanto a noi un’intera comitiva mascherata da terroristi o poliziotti, non si capisce bene, con armi in pugno e tanto di cane con museruola nera che avanzano con passo marziale in direzione del tunnel. Rido di sguincio, e penso che in verità non sono mai stato un fumettaro, solo Zagor e Topolino da piccolo, poi da grande Gipi e Zerocalcare, un po’ di Peantus e un altro po’ di altre cosette sparse qua e là.
Una volta dentro ci ritroviamo nel fiume di persone che sfoggiano serenamente superpoteri, e ragazze con vestiti succinti che si lasciano fotografare ammiccanti, poi altri ancora con scatoloni colorati addosso, e tante altre infinite maschere che non riconosco: proseguono  ingombranti verso il chiassoso palcoscenico del Romics 2016. Tra loro ci sono le immancabili comitive sudate, con parvenze teppistiche, che intonano canti come allo stadio. Accanto a uno stand coloratissimo fisso una famigliola affamata di emozioni da catturare: Matte’, te voi fa’ ‘a foto con spaidermeen?


 A me sembra di stare a una festa patronale, ma organizzata meglio. Giochi digitali invece della pesca dei pesciolini rossi, stand al posto delle bancarelle, sushi al posto del muss’ de’ puorc’. Mi sento circondato da migliaia di ragazzetti tutti eccitati che non si accorgono del mio stupore, già, sono vecchissimo per loro e li capisco, anche se in realtà vorrei capirli meglio, ma forse dovrei cominciare a giocare come loro. Ma come faccio? Sarebbe una mimetizzazione asimmetrica, ridicola. In fondo è impossibile, e questa smania di conoscere tutto per me ha i giorni contati: parlo di quello che so, scrivo quello che vedo, il resto è soltanto un enorme pregiudizio affettuoso verso questi ragazzini, almeno per oggi.
    Mi avvicino a una specie di arena sponsorizzata dalla regione Lazio, sprofondo sul puff che fa da salottino accanto a dei venditori di giochi; ne approfitto per prendere fiato e mettere a caricare il cellulare. Sfoglio il programma. Intanto mio figlio mi chiede di comprare Nba ps3, cedo subito, in fondo cinque euro dentro a questa baraonda spendereccia mi sembra il minimo, figlio bello. Sbircio, tra decine di eventi oscuri ce n’è uno interessante per vecchi come me: lo sceneggiatore di Zagor al padiglione 5! Ma è nel pomeriggio, intanto ci tuffiamo nel fiume degli altri padiglioni. Arriviamo a quello che ospita gli youtuber e mi para davanti la scena che il figlio grande mi aveva raccontato il giorno prima quando con i suoi amici, ormai più per abitudine che per vero piacere, si erano fatti un giretto qui: c’è un casino, so’ organizzati proprio male! Mi ritrovo in mezzo a ragazzini ancora più eccitati, ancora più caciaroni di quelli di prima: vogliono le magliette, gli autografi e i pop-corn. Sul palco ci sono dei ragazzotti con felpe grigie che fanno battute meno riuscite di quelli di Made in sud, e si lasciano acclamare dalle festanti comitive, facendoci intendere dove sta il centro del mondo oggi. In fondo somigliano agli amici dei nostri figli, con quelle facce e quelle mani che un tempo forse erano timide e ora stanno lì per compiacersi di una gloria a buon mercato, spinti magari da vecchi produttori assetati di clic e soldi facili. Boh! Forse sto svalvolando coi pensieri in mezzo a tutti questi watt-giga-laser. Intanto lasciamo i nostri figli a fiutare le loro star sotto il palco. Ne approfitto al volo e dico “vado a sentire lo sceneggiatore”, ma D. mi fa: ma ce stava alle 15! Ma davvero? e non era alle 16? Rispondo già rassegnato. Riprendo il programma e scopro di una proiezione al padiglione otto. Scappo. Ci sentiamo dopo, eh. Per ridurre i sensi di colpa avevo invitato nel frattempo mia moglie a fumarsi una sigaretta per conto suo, e poi, una volta al padiglione otto, la chiamo ricordandole che allo stand della Panini ci sono gli autori di Topolino che fanno i disegnini ai ragazzi, magari al piccolo piacerebbe... Immagino la faccia di mia moglie davanti a questo mio solito teatrino telefonico, e così decido di salutarla abbassando i toni. A vedere la proiezione siamo in sei, di cui due ragazze lì per riposarsi e chattare in pace. Parte L’Augellin’ Belverde di Luzzati, musiche di Fossati e Oscar Prudente. Allora mi vedo dall’alto un po’ alla maniera dello scrittore di Caserta (che vive a Roma!): ai lati un intero mondo nerd che smanetta all’unisono, famiglie affaticate appresso ai loro piccoli e io, solo, al centro di una saletta anonima a vedere una proiezione che sarebbe potuta esserci anche nel ’73. Mia moglie se la ride pensando a queste mie patetiche fughe, così come ride di gusto anche mentre si fa fotografare accanto a un personaggio di Star Wars con tanto di spada laser: poi pubblica su facebook la foto e ci ridiamo su per tutto il viaggio di ritorno. Noi siamo così: un po’ Flintstones e un po’ Star Wars, sempre fuori luogo ma con una smania festosa di mischiarci col mondo, ridendo di noi, e di tutti i panni dei personaggi che abbiamo indossato in questi anni assieme. Quando si usciva con fare da intellettuali alle feste dell’Unità, o corrucciati e malinconici ma bellissimi dai concerti punk rock, o ancora seri seri, zitti zitti da certi cinema d’essai, infine anche  felici e sguaiati dopo certe cene dove la nostra autoironia diventava il sale della serata.
  Mio figlio alla fine non è riuscito ad avere il disegnino: era già tutto prenotato dal mattino. Lo porto da un fumettista che conosco, ma niente, questo cazzeggiava di un suo prossimo evento “altro che Romics” - dove lui però sta promuovendo il suo libro eh – e non aveva voglia di fargli il disegnino. Mio figlio con la testa abbassata e stanco mi sorride come a dire: ma lascia stare questi mezzi fricchettoni sempre insoddisfatti, sempre contro, sempre sazi (sì, lo ammetto, sto paternalmente proiettando fiducia nella luminosa mente del mio piccolo).

Prima di andare via ho dovuto tirare fuori i superpoteri. Non si trovavano gli altri due ragazzini della comitiva. Stavano ad aspettare autografi degli youtuber, ma non rispondevano al telefono, e nemmeno all’annuncio che ho fatto fare da Dexter in persona. Così chiedo a uno della vigilanza se posso entrare a cercarli. Mi spostano le transenne e mi ritrovo tra le star del web. Sbuco fuori e sento urla stridule, mi fissano tutti questi occhi e io fisso loro, ma come mi vedono con una giacca beige e la barba incolta non mi cacano nemmeno. Intanto sfilo davanti alla transenna e punto ancora agli occhi: sono stanchi questi ragazzini eppure gli brillano ancora da fare spavento. Becco i nostri eroi, sono schiacciati in prima fila. Mentre esco con loro sento una vocina che mi chiama: ehi, ho solo un misero blog con massimo venti visualizzazioni al giorno, penso vanitoso mentre mi giro lentamente, e chi vuoi che mi riconosca… invece eccola, è M. 12 anni, col fratello B. e il papà A., e fanno parte di un progetto educativo che sto seguendo in questo periodo. Sono contenti di vedermi e me lo lasciano intendere dai loro occhi vivissimi e, mentre i due eroi degli autografi prendono i cazziatoni dalle loro madri, io li abbraccio tutti e tre assieme: così oggi credo di aver fatto almeno due cose buone nella vita. Stavolta non piango, no, sono troppo stanco, invece abbraccio barcollando mio figlio sul viale alberato dell’uscita mentre tu ci osservi da dietro: e ora, davanti al piccì, sento negli occhi quel tuo sguardo come una lieve carezza laser.