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mercoledì 13 luglio 2016

ci riprovo con un orto

  Ci tengo a precisare che non sono un agronomo né tanto meno un contadino. Ho soltanto ascoltato dai sei anni con la bocca aperta i racconti che mi faceva zio sulla sua fissazione di creare orti nei posti più assurdi. A cominciare dalla postazione militare di confino a Pola, o nel campo di lavoro nazista di Buchewald o ancora in una officina di Caterpillar in America. Non ho mai osato chiedergli se si trattasse di Stati uniti d’America o del Venezuela, poiché è stato in entrambi i posti nell’arco di tre o quattro anni. Sì, perché poi è tornato in Italia nei primi anni ’50 e l’idea di orto che aveva disseminato nel mondo l’ha realizzata sulla sua terra. Ha costruito serre, cisterne per l’acqua, semenzai e prodotto quintali e quintali di ortaggi nell’arco di quarant’anni, così da permettersi di comprare due case e far studiare due figlie femmine.
Adesso che ho chiuso la bocca e guardo verso quel tempo, mi accorgo che il fatto di aver creato orti in Centri diurni, in Nidi o sui balconi di Roma, lo devo a tutte quelle storie che transitavano rigogliose dalla mia bocca. E poi, la cosa fondamentale - avrei voluto dire seminale ma sarei stato sciocchino – è stato quando all’età di dieci anni ho ricevuto in concessione l’intero semenzaio dismesso da mio zio: ecco, facc’ gl’ uort’.
E io mi misi a faticare come un mulo su quella terra soffice e nerissima: scelsi le orticole che mi piacevano di più e via, tutti i santissimi giorni, ad annaffiare e sarchiare quel rettangolo lunghissimo di terra.
Così quell’estate a casa mia si mangiavano melanzane, San Marzano e zucchine a più non posso! Addirittura, coinvolgendo un mio amichetto, quelle che a casa erano di troppo andavo a venderle alle ricche signore di Vindicio: portamele sopra vuagliò! Quante soddisfazioni quell’anno, sembravo un mini zio senza figlie, seppure  mantenevo la sua stessa aria fiera la sera, quando mi lavavo le ascelle alla sua maniera: bacinella di sapone di Marsiglia nel lavatoio all’aperto, di fronte al pollaio. La felicità la assaggiavo quasi tutti i giorni a quel tempo.
Così anche quest’anno mi ritrovo a formare, ma sarebbe meglio dire a cercare di appassionare, un intero gruppo educativo di un Nido.

Ecco, ci provo con il ricordo, ci provo con un altro orto.