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lunedì 23 settembre 2019

Tutto è cominciato

  Questo è come se fosse un comunicato social per le persone che sanno che sto facendo un lavoro, e invece ne faccio un altro. Un esperimento tra la vita cerebrale e la realtà. Un gioco, serio.

   Tutto è cominciato la notte di San Lorenzo. Si festeggiava con gli amici alla casetta, si, Lorenzo nostro stava a Berlino e ci sembrava strano, ma a me e mia moglie piace pure la malinconia che soffice passa dal vino e si tuffa in chiacchiere allegre di passato e cieli aperti. 
   Ad un certo punto E. mi chiede: allora questo nuovo lavoro? Io rispondo in maniera vaga, come è vago e ignoto il cielo stellato-soffitto che sta sopra le nostre teste, i nostri bicchieri, i nostri pensieri intimi. Faccio cadere il discorso mentre E. cade dalla sedia, e ridiamo di sguardi e di gola. Ne approfitto e distraggo i commensali raccontando di fatti comici accaduti a E., a me, negli anni. Anche di potature di alberi, di vacanze da fare, poi parliamo. 
  Quando vanno tutti via, resto sull'amaca un po' ubriaco, un po' così. All'improvviso sento scendere un'aria gelata nella testa. Mi vedo lontano dalla famiglia per il lavoro, precipito in un buco nero e urlo e a furia di giravolte non mi fermo più: resto bloccato mentre giro nel vortice e non riesco a toccare più mia moglie, i miei figli. Me ne vado a dormire, e un po' passa.
  I primi di settembre conosco i miei nuovi colleghi, la sede di lavoro, il reale stipendio che avrei percepito, e penso no, non mi convince. Passo tre giorni attorcigliato a pensieri e visioni di me come sarei diventato, poi mi fermo, ne parlo ad alcuni amici, quei pochi che in questi anni mi hanno detto negli occhi certe cose ignote pure a me. Senza confessargli il mio intento: li faccio parlare, li ascolto. Poi  mi mangio a morsi l'orgoglio e dico no, non vado. In quei tre giorni tengo all'oscuro mia moglie e i miei figli, percependo ancora quella paura del buco nero di giravolte bloccanti: stavo in bilico e volevo vederli stabili, almeno loro.  
  Ho pure un battibecco telefonico con colui che mi aveva scelto per fare il coordinatore, a cui, con un decrescere dalla rabbia sindacale alla umana necessità di lavorare dignitosamente, comunico che non accetto l'incarico a partita Iva con una mansione da dipendente. Perché, alla fine, sarebbe stato un incarico di operatore-referente, caro mio estimatore che volevi farmi "un regalo".
   Il mio vero, mastodontico problema era di essere rimasto l'ultimo del mio corso di laurea a non fare ancora il coordinatore. Il vero risorgere è stato capire che io non ho mai davvero avuto il coraggio di fare carriera nella giungla delle cooperative sociali, nel terzo settore in generale. Forse, neanche in altri ambienti lavorativi: voglio solo vivere, scrivere e amare i tic degli altri. Stare vicino ai miei figli, mia moglie. 
   Sono ripartito dalla casella di partenza e, come nel gioco dell'oca, ora faccio l'assistente del Sostegno scolastico, e se il bidello mi chiede di andargli a comprare le marlboro io mi sento come dentro a un racconto della Parrella, mica un ragazzo di bottega. 
   Potrei scrivere un saggio sulle reali condizioni di lavoro dei lavoratori delle cooperative sociali, del terzo settore in generale, tante ne ho viste e subite in quel mondo. Ma, come dice A., sarebbe meglio che cominciassi seriamente a raccontare le più avvincenti situazioni comiche, inverosimili e poetiche che ho vissuto anche in quel mondo: trasformarle in racconti, farci frittate con la mia realtà. 
      Tanto gli altri stanno nei fatti propri, più impicciati di te, quindi, ricordati che sei quel minuscolo punto polvere laggiù tra gli ulivi non lontano dal mare, sei lì che racconti storie comiche su una sedia di plastica bianca, sotto l'acacia piantata vent'anni prima, perché innamorato del viale di acacie vicino all'università. Sei là, tra gli amici in un agosto normalissimo. Eri là, oggi sei qua nella periferia romana senza mare, e sgonfia di aspettative. Osservo nonni che vanno a prendere i nipoti al nido e, una volta messi sul seggiolino, gli chiedono: ci canti tutti al mare? Sì, cantiamo. Cantiamo canzoni d'amore.
 Vedrai che andrà bene, abbraccia il futuro, ché ti appartiene.

https://youtu.be/IN6Twf0p4kA
PS
Leggo questa mio scritto e sembro ammantato di un'aura tragica, in verità la mia più intima aspirazione è fare ridere il prossimo, quindi, ridete insieme a me: a coglione, ancora non sei riuscito a fare il coordinatore!