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lunedì 18 maggio 2015

Lettori si cresce

    Mi sono fissato. Di leggere. Di scrivere. Da piccolo, a parte Cuore e Le tigri di Mompracem in versione ridotta, non ricordo di aver letto altri libri. Sì, dai dieci anni ho consumato l’Enciclopedia Fabbri e l’Atlante, ma è un’altra cosa. Sì, poi c’era mia madre che declamava Pascoli tra una strillata e un crollo sul letto, ma è un’altra storia. Da lì in poi solo partite a pallone, e fughe. Dai vent’anni ho cominciato a divorare a intermittenza quinquennale i libri. Il giovane Holden che mi mise davanti agli occhi Claudio (ehm, grazie). Poi durante una stagione a Madonna di Campiglio ho scoperto Vassalli, De Luca, Ben Jelloun e Benni, leggevo la notte per non far vincere nettamente il datore di lavoro razzista e scemo: mi pagavi, mi davi vitto e alloggio ma la testa di notte era solo mia. Credo di aver cominciato a leggere meglio dal 2010, prima mi trascinavo appresso un approccio disordinato e misterioso, che ogni tanto si ripresenta come mostro d’infanzia: dimentico spesso i finali. La mia memoria  emotiva è stramba e non regge alla lunga. Sono un lettore tonto, ma ho fiuto, a volte. Avrei bisogno di Ammaniti, padre però.

 Ieri ho finito Lettori si cresce, di Giusi Marchetta. Mi sono lasciato scuotere da quelle pagine piene di suggerimenti discreti, godendo di quegli incitamenti a impegnarsi nella lettura, appassionandosi alle storie che ci girano intorno. Pareva che Giusi stesse dialogando a quel me affamato e narcisista che mi sta appiccicato alle calcagna, sin dal mattino. A me, che ho un figlio in età di Polito, la potenza di questo libro ha investito come una doppia raffica di tramontana. Non ho scusanti, considerando la mia vecchia pigrizia, rischio ogni giorno di attestarmi sul “leggo quello che mi pare”, o “i classici e quelli di tendenza li lasciamo agli altri”. Uno snob al contrario, potrei diventare. Prima addirittura leggevo solo outsider, o perdenti come me. Un atteggiamento che si stava trasformando in patologia: diventi famoso? Ciao. Piaci pure a quello? Ciao. E basta! direbbe mia moglie, con la sua silenziosa ragionevolezza. L’istinto. L’Io. E il deserto di sfiganza che avanzava verso la mia pianticella mai davvero cresciuta. Questo fino all’altro ieri, poi una vocina ha cominciato a soffiarmi dentro la mente scenari d’inarrestabili solitudini che banchettavano coi vecchi deliri mai sconfitti. Fermati, e considera la morte. E poi restaci tu a fare il diverso di mestiere, a me viene da piangere al pensiero di essere solo così: intimidito dal tuo passato a non frequentare più il mio misero, splendido tempo.
   Lettori si cresce va fino in fondo e scompagina il taccuino dei buoni propositi, quello zeppo di annotazioni di chi crede che basti lo sforzo una tantum, e non l’impegno costante di leggere, amare, per poi aspettare l’alba col cuore inzuppato e malconcio del giorno prima, di una pagina fa. Starei zitto a questo punto, impegnandomi a non sprecare tutto nel supremo sforzo iniziale: l’istinto che balla con l’intuizione. Impegniamoci di più, e viviamoci quel che si è.
Giusi Marchetta in questo libro racconta le sue esperienze come professoressa, in cui, tra biblioteche sotterranee, classi appisolate e davanti a una tradizione fallimentare d’insegnamento della letteratura, cerca di far passare un vero interesse creando una vicinanza tra i libri e i ragazzi. Gli episodi nella scuola si alternano ad altri: ripetizioni in case zeppe di libri e scarse di attenzioni per i figli, o di passaggio in una casa romana, dove una bimba la ingaggia per una lettura della buonanotte che si trasforma in una sfida tra sé e le aspettative della ragazzina (nonché dell’autrice). Si presenta come lettrice speciale. Si mette in gioco. Come nel carcere minorile, dove pazientemente riesce a trovare un varco nella testa del ragazzo più ostile, per aprire una parentesi di lettura, di vita, condivisa e irripetibile. Mi è piaciuto questo ritmo un po’ narrativo e un po’ da saggio che c’è nel libro: pare l’equilibrio di chi tenti di trasmettere la passione contaminando sentimento e ragione. Stile e vita. Rischiando sempre qualcosa di sé. Perché nei libri se vuoi c'è l'abbandono, la morte, il proibito, il sogno: nei libri c'è veramente tutto, basta avere pazienza.
Quel po’ (prezioso) in più di consapevolezza che ho acquisito da questa lettura l’ho impiegata subito: al figlio con suggerimenti decisi, e al lavoro leggendo di più e con maggiore partecipazione ai pargoletti. Anche per me, recuperando classici impolverati (avevo Marcovaldo e mesi fa l’ho preso in prestito in biblioteca, per dire) impilandoli sul comodino. Vedremo, domani.
In questi giorni mi sono schierato dentro una polemica editoriale, pentendomene dopo due secondi. Forse ho imparato: mai più cedere ai ricatti di un mondo che non mi appartiene per niente. Altrimenti la passione da dilettante che sta crescendo in me rischia di soffocare dentro recinti di congreghe tristi, lontane anni luce dal mio orticello denso di fiori e di api. Preferisco leggere, crescere, e non scimmiottare le scimmie.

sabato 2 maggio 2015

il quotidiano

Solitamente almeno un paio di settimane d’agosto le passiamo in una casetta di legno di 30 metri quadrati, circondata da ulivi e fantasmi, a dieci minuti dal mare. Il 20 agosto 2013 mi sveglio all’alba, come a volte mi capita lì. Esco, perlustro il perimetro del giardino con gli occhi e, una volta verificato che non ci sono animaletti indesiderati nei paraggi, salgo in auto e in tre minuti sto a Maranola. Nel bar in cima alla scalinata mi faccio imbustare quattro cornetti alla crema, ne mangio subito uno da solo e senza sensi di colpa, mentre spulcio Latina Oggi; prima di uscire chiedo un caffè lungo. Non so voi, ma io all’alba ci associo sempre un quotidiano da divorare, sempre dopo il cornetto, sia chiaro. Col sapore del caffè sulla lingua, guido spensierato verso l’edicola, che sta accanto al frantoio. Scendo e mi fiondo davanti al chioschetto: Repubblica, per favore. Lo afferro e con gli occhi già scorro la prima pagina mentre aspetto il resto: sappiate edicolanti che in quei momenti potete darmi pure dieci centesimi di resto quando vi do cinquanta euro, tanto non me ne accorgo. Mentre il primo articolo mi entra negli occhi e nella testa, mi avvio a risalire sull’auto e, continuando a leggere, impiego decine di secondi a cercare di infilare la chiave. Finito il pezzo, infastidito, guardo il cruscotto: ma che cazz! In due secondi capisco. Ho sbagliato auto. Intuisco che il tipo robusto che mi stava accanto in edicola è il proprietario dell’auto dove mi sono accomodato: sta comprando la Gazzetta dello sport: quel rosa si accende nei miei occhi. Tremo. E se questo mi acchiappa e mi sbatte per terra pensando che io stia qui per rubargli l’auto? Schiaccio il mio tasto replay uscendo fulmineo, col giornale tra le mani chiudo lo sportello ma me lo do sul pollice, forse inconsciamente creo un cuscinetto per non fare rumore con la portiera: mi attraversa dalla testa alle infradito il dolore più acuto della mia vita adulta. Santiddio! Sento il tipo della Gazzetta che continua a chiacchierare di Juventus con l’edicolante, ignaro che uno si sia intromesso nella sua auto, tantomeno che si sia sfracacciato il ditone scappando, nel frattempo. Santiddio! Entro nella mia auto e piango, per davvero: le lacrime scendono che è una bellezza. Dalla caduta in cameretta a otto anni (dente spezzato) che non vivevo un aspro dolore così. Noto che l’auto dove ho appena finito di leggere un editoriale è soltanto nera come la mia. Nel giro di qualche secondo comincio pure a ridere. E sudo. Non riesco ad accendere la mia auto. Intanto sento i due che si scaldano: e voi quanti ne avete rubati di scudetti? Parto lentamente, e guido come quei contadini dentro le Apette che bloccano il traffico per le strade dei paesi. Faccio le curve fino alla casetta ridendo e piangendo con una cadenza sorprendente, a un certo punto comincio pure a cantare. Da fuori sembro un disperato appena lasciato dalla fidanzata, prossimo alla pazzia. Da fuori sembro proprio fuori di me. All’ultima curva, zuppo di sudore, di lacrime e di mocciolo rischio di prendere in pieno un ulivo secolare.
Eccomi arrivato. Sono solo salvo. Mi siedo ancora piagnucolante sul terrazzino col ghiaccio sul dito e il giornale stropicciato sul tavolino bianco. Meno male: gli altri dormono ancora, e a me e al gatto non resta che fissare sconsolati il mare che appare dietro al giovane melograno. Mi esplode un’immagine ghiacciata in testa: vedo la busta bianca di cornetti alla crema adagiati sul sedile passeggero nell’auto dello juventino.

-Papà…papà, ma hai preso i cornetti?