Mi sono fissato. Di leggere. Di
scrivere. Da piccolo, a parte Cuore e Le tigri di Mompracem in versione ridotta,
non ricordo di aver letto altri libri. Sì, dai dieci anni ho consumato l’Enciclopedia
Fabbri e l’Atlante, ma è un’altra cosa. Sì, poi c’era mia madre che declamava Pascoli tra una strillata e un crollo sul letto, ma è un’altra storia. Da lì in
poi solo partite a pallone, e fughe. Dai vent’anni ho cominciato a divorare a
intermittenza quinquennale i libri. Il giovane Holden che mi mise davanti agli
occhi Claudio (ehm, grazie). Poi durante una stagione
a Madonna di Campiglio ho scoperto Vassalli, De Luca, Ben Jelloun e Benni,
leggevo la notte per non far vincere nettamente il datore di lavoro razzista e
scemo: mi pagavi, mi davi vitto e alloggio ma la testa di notte era solo mia. Credo
di aver cominciato a leggere meglio dal 2010, prima mi trascinavo appresso un
approccio disordinato e misterioso, che ogni tanto si ripresenta come mostro
d’infanzia: dimentico spesso i finali. La mia memoria emotiva è stramba e non
regge alla lunga. Sono un lettore tonto, ma ho fiuto, a volte. Avrei bisogno di
Ammaniti, padre però.
Ieri ho finito Lettori si cresce, di
Giusi Marchetta. Mi sono lasciato scuotere da quelle pagine piene di
suggerimenti discreti, godendo di quegli incitamenti a impegnarsi nella
lettura, appassionandosi alle storie che ci girano intorno. Pareva che Giusi stesse
dialogando a quel me affamato e
narcisista che mi sta appiccicato alle calcagna, sin dal mattino. A me, che ho
un figlio in età di Polito, la potenza di questo libro ha investito come una
doppia raffica di tramontana. Non ho scusanti, considerando la mia vecchia
pigrizia, rischio ogni giorno di attestarmi sul “leggo quello che mi pare”, o
“i classici e quelli di tendenza li lasciamo agli altri”. Uno snob al contrario,
potrei diventare. Prima addirittura leggevo solo outsider, o perdenti come me. Un
atteggiamento che si stava trasformando in patologia: diventi famoso? Ciao.
Piaci pure a quello? Ciao. E basta! direbbe mia moglie, con la sua silenziosa ragionevolezza.
L’istinto. L’Io. E il deserto di sfiganza che avanzava verso la mia pianticella
mai davvero cresciuta. Questo fino all’altro ieri, poi una vocina ha cominciato
a soffiarmi dentro la mente scenari d’inarrestabili solitudini che
banchettavano coi vecchi deliri mai sconfitti. Fermati, e considera la morte. E
poi restaci tu a fare il diverso di mestiere, a me viene da piangere al
pensiero di essere solo così: intimidito
dal tuo passato a non frequentare più il mio misero, splendido tempo.
Lettori si cresce va fino in fondo e
scompagina il taccuino dei buoni propositi, quello zeppo di annotazioni di chi
crede che basti lo sforzo una tantum, e non l’impegno costante di leggere,
amare, per poi aspettare l’alba col cuore inzuppato e malconcio del giorno prima,
di una pagina fa. Starei zitto a questo punto, impegnandomi a non sprecare
tutto nel supremo sforzo iniziale: l’istinto che balla con l’intuizione.
Impegniamoci di più, e viviamoci quel che si è.
Giusi Marchetta in questo libro
racconta le sue esperienze come professoressa, in cui, tra biblioteche
sotterranee, classi appisolate e davanti a una tradizione fallimentare
d’insegnamento della letteratura, cerca di far passare un vero interesse creando una vicinanza tra i libri e i ragazzi. Gli episodi nella scuola si alternano
ad altri: ripetizioni in case zeppe di libri e scarse di attenzioni per i
figli, o di passaggio in una casa romana, dove una bimba la ingaggia per una
lettura della buonanotte che si trasforma in una sfida tra sé e le aspettative
della ragazzina (nonché dell’autrice). Si presenta come lettrice speciale. Si
mette in gioco. Come nel carcere minorile, dove pazientemente riesce a trovare
un varco nella testa del ragazzo più ostile, per aprire una parentesi di
lettura, di vita, condivisa e irripetibile. Mi è piaciuto questo ritmo un po’
narrativo e un po’ da saggio che c’è nel libro: pare l’equilibrio di chi tenti
di trasmettere la passione contaminando sentimento e ragione. Stile e vita.
Rischiando sempre qualcosa di sé. Perché nei libri se vuoi c'è l'abbandono, la morte, il proibito, il sogno: nei libri c'è veramente tutto, basta avere pazienza.
Quel po’ (prezioso) in più di consapevolezza
che ho acquisito da questa lettura l’ho impiegata subito: al figlio con
suggerimenti decisi, e al lavoro leggendo di più e con maggiore partecipazione
ai pargoletti. Anche per me, recuperando classici impolverati (avevo
Marcovaldo e mesi fa l’ho preso in prestito in biblioteca, per dire)
impilandoli sul comodino. Vedremo, domani.
In questi giorni mi sono schierato
dentro una polemica editoriale, pentendomene dopo due secondi. Forse ho imparato: mai
più cedere ai ricatti di un mondo che non mi appartiene per niente. Altrimenti
la passione da dilettante che sta crescendo in me rischia di soffocare dentro
recinti di congreghe tristi, lontane anni luce dal mio orticello denso di fiori e di api. Preferisco
leggere, crescere, e non scimmiottare le scimmie.
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