Giravo per Formia fiutando le opinioni
sull’omicidio dell’avvocato Piccolino. In libreria, mentre compravo “Le streghe”
per mio figlio e per me, una signora, forse un’insegnante, affermava che l’avvocato
era un po’ provocatore col suo blog; poi un altro davanti a un negozio
d’abbigliamento sportivo fa “era anche strano quello è”; un mio amico al
telefono sottolinea che “era anche sui generis, però”. Per raccogliere un po’
di dolore e spavento sono dovuto arrivare al Circolo Arci, dove non ero ancora mai
stato: oggi annulliamo la presentazione di un libro per la fiaccolata (me lo
dice un signore gentile con una voce flebile, di chi teme che la camorra
cominci davvero a fare guerre anche qui).
Non vado alla fiaccolata, perché sono due mesi che non vedo mia madre e le avevo detto che avrebbe passato la serata con noi. In fondo non so bene perché non vado, forse credo sia una cosa che riguardi i formiani - io poi sono pure di Gaeta - e in fondo oramai da anni vivo a Roma. Non vado forse perché amaramente girando per la piazza ho salutato la prima persona solo dopo mezz’ora: estraneo ora quando un tempo ero solo strano. Ma sbaglio. Perché quest’omicidio brutale deve riguardare tutti, anche me, e anche quelli che commentano con distacco, aggiungendo alla fine della frase che l’avvocato (un po’ eh!) se l’è cercata: forse così si rischia di arrivare allo stesso sragionamento di quelli che stanno usando i ma per non premiare i disegnatori di Charlie. Se uno ti spara per quello che dici, scrivi o disegni, non ci sono ma che tengano, a meno che tu non sia inconsciamente più vicino al carnefice che alla vittima per paura, per vigliaccheria o chissà per quali altre diavolerie psichiche e sociali che qualcuno prima o poi dovrà decifrare: per capire meglio questi anni, e le nostre storie confuse che ci sono finite dentro. Per riempire di senso questo vuoto creatosi tra quello che facciamo realmente in famiglia e in società e quello che professiamo poi da una tastiera o da un bar, e farlo anche a costo di autocritiche feroci, e di solitudini temporanee.
Non vado alla fiaccolata, perché sono due mesi che non vedo mia madre e le avevo detto che avrebbe passato la serata con noi. In fondo non so bene perché non vado, forse credo sia una cosa che riguardi i formiani - io poi sono pure di Gaeta - e in fondo oramai da anni vivo a Roma. Non vado forse perché amaramente girando per la piazza ho salutato la prima persona solo dopo mezz’ora: estraneo ora quando un tempo ero solo strano. Ma sbaglio. Perché quest’omicidio brutale deve riguardare tutti, anche me, e anche quelli che commentano con distacco, aggiungendo alla fine della frase che l’avvocato (un po’ eh!) se l’è cercata: forse così si rischia di arrivare allo stesso sragionamento di quelli che stanno usando i ma per non premiare i disegnatori di Charlie. Se uno ti spara per quello che dici, scrivi o disegni, non ci sono ma che tengano, a meno che tu non sia inconsciamente più vicino al carnefice che alla vittima per paura, per vigliaccheria o chissà per quali altre diavolerie psichiche e sociali che qualcuno prima o poi dovrà decifrare: per capire meglio questi anni, e le nostre storie confuse che ci sono finite dentro. Per riempire di senso questo vuoto creatosi tra quello che facciamo realmente in famiglia e in società e quello che professiamo poi da una tastiera o da un bar, e farlo anche a costo di autocritiche feroci, e di solitudini temporanee.
Così il giorno dopo mentre sistemavo
il glicine e potavo il melograno, sono sprofondato nel fantasticare di una
presentazione estiva de “Gli anni al contrario”, proprio qui, in questo
pezzetto di terra disordinato che circonda la nostra casetta: negli anni è
stato un ritrovo estivo per amici e parenti, oggi lo è un po’ meno, ahimè.
E vaneggiavo per difendermi da questa sottile solitudine, e anche per tentare
di rispondere a quelli che si rifugiano nei piccoli mondi famigliari: forse proprio
lì si nasconde quel varco invisibile, velenoso e pericoloso per ogni futuro scenario malavitoso della città. In questi posti tutto si svolge e risolve in mezzo al
proprio (enorme) nucleo famigliare. Il senso civico se visto dall’alto appare a
macchia di leopardo, pochi sparuti luoghi belli da frequentare, il resto è
tutta una gran barricata cementosa davanti ai miseri e opportunistici
interessi. Tremo all’idea di quello che sarei potuto diventare restando qui. E
allora ho scritto una mail a N. sull’eventualità della presentazione, facendolo
col mio solito esagerato entusiasmo: ma cos’altro mi ha salvato da questo
piccolo mondo se non l’entusiasmo per gli abbracci da desiderare?
Se solo avessi due grammi di forza organizzerei
davvero la presentazione del libro come suggello a quello che non siamo diventati, magari facendolo proprio durante la
notte di S. Lorenzo, e tu sai il perché.
Qualcuno mi presta quel grammo
mancante?
[il desiderio di me
bambino con le ginocchia tra le mani a desiderare gli amici che avrei avuto da
grande, e mentre fantastico provo un brivido che mi anestetizza il presente
incerto, doloroso a cui sono comunque legato e, tremando all'idea di perderlo,
corro ad abbracciare chi c'è: un attimo di splendore illumina quel dolore e poi
dagli occhi arriva quel sorriso che somiglia a un pronto soccorso appena
lasciato]
p.s.
oggi ha confessato l'omicida dell'avvocato: non era un camorrista, ma un imprenditore risentito che si è vendicato. Resta il fatto grave e assurdo, e restano le impressioni che ho raccolto per strada.
p.s.
oggi ha confessato l'omicida dell'avvocato: non era un camorrista, ma un imprenditore risentito che si è vendicato. Resta il fatto grave e assurdo, e restano le impressioni che ho raccolto per strada.
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