Ci sono dei
libri che la notte viaggiano paralleli alle nostre vite, nel silenzio, accanto al pozzo nero dei nostri pensieri. E capisci
che tutto sta sbandando: il tuo corpo e i tuoi sentimenti stanno per essere
sbattuti a terra da un racconto.
In “Sofia si veste
sempre di nero”, Paolo Cognetti illumina i personaggi con una luce di taglio e
li rendi veri. Quindi, irrequieti dai capelli ai piedi, passando da quel
nocciolo minuscolo che sputa fuori vari sentimenti. C’è poco da fare, un
racconto riuscito poggia su di un’architettura che, seppur fragile e vago
(volutamente) nei contenuti, esprime al contempo una forma solida e convincente
durante tutto il libro, dove i pesi e i contrappesi stanno nelle azioni dei
personaggi, e nella descrizione di stanze e paesaggi che abitano. E allora non servono
più le belle parole, né le descrizioni minuziose - tanto meno le frasi a
effetto - per creare un bel racconto. Eh no, e lo sapevo già questo, ma poi,
quando leggi di un fiato e ne godi di questa lettura, allora capisci davvero
quello che ti hanno spiegato già cento volte ai corsi, alle conferenze, al bar.
In questo libro
i personaggi sono impressionanti. Restano dentro, e continuano a dialogare
nella stanza della lettura così come in bagno, o a pranzo, con gli altri che si
arrabbiano per la tua ennesima distrazione astrale. Scusate, ma prendetevela
con Cognetti e con la sua Sofia. Stavolta.
Mi viene voglia di
scrivere che si tratta di uno dei migliori racconti che ho letto sulla Storia
dello Stivale dagli anni settanta a oggi. Forse lo è davvero, ma tutta quest’arroganza
nel giudicare e far competere tra loro i libri, non si sposa con il tono democratico del libro in questione. Sì,
perché in questo racconto i personaggi nella storia si mostrano sempre
dignitosi nel loro stare al mondo. Per esempio, una Sofia Muratore, in altri
libri o film, apparirebbe una stronzetta di cui t’innamori comunque per forza
di cose, ma che non riesci a stimare davvero e, in fondo, non riesci ad amare. Invece qui dentro la segui e provi
a comprenderla; oppure, anche se ti sfugge e cerchi di rincorrerla col fiatone
preoccupato, non vorresti mai abbandonarla per sempre. Questo accade, forse,
poiché lo scrittore vive bene coi suoi personaggi, e ci lascia intendere che
non potrebbe fare altrimenti, e quindi non potrebbe mai scegliere di far vivere
nei suoi racconti gentaglia qualunque…oppure, perché i personaggi e i paesaggi,
non sono statici, alla Sander, ma partecipano con il loro inquieto movimento,
fino ad aprire una scena ancora più ampia
in cui recitare la propria parte fino in fondo, senza risparmiarsi neppure per
un secondo. Così nell’ultimo capitolo dove il narratore si svela e che,
entrando in scena all’improvviso, non va a rovinare il complesso mosaico del
romanzo breve, anzi, ti pare che questo equilibrio sia dato proprio dagli
annunci e dalle anticipazioni, durante la lettura, che non rivelano nulla: tutto
si auto-arricchisce come nelle migliori lievitazioni di un buon dolce.
Il personaggio
della Zia, Marta, altrimenti si offende, racchiude, nelle sue interazioni, uno
spaccato che da tempo aspettavo venisse raccontato senza pregiudizi o lodi
sproporzionate: le scorie e i germogli degli anni settanta.
Infine, mi preme
ricordare di quanto la descrizione del villaggio Lagobello mi abbia emozionato,
e fattomi partecipe di certe scelte casuali, esistenziali, che si fanno in
momenti cruciali e che poi vanno a produrre storia, racconti, non sempre
banali, di persone e comunità, e nel farlo non utilizza per forza gli strumenti
della sociologia pelosa che usano certi narratori incattiviti a furia di vivere
al centro.
Insomma, questo
libro mi è piaciuto e credo che contenga una forza misteriosa come certe
bellezze, che sanno di abitudine e rovina: l’ideale per conservarlo nel frigo disordinato
della nostra memoria, e poi all’improvviso tirarlo fuori insieme a birre
fresche da bere con gli amici, d’estate, sotto verande surriscaldate. E nei
commenti infervorati metterci un po’ di noi, che siamo quei lettori,
spettatori, alla ricerca dei personaggi ideali, cui affidare la
rappresentazione migliore di questo nostro tempo incerto.
Nessun commento:
Posta un commento