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domenica 7 agosto 2016

E la chiamano estate? (domani, sì domani)

Insonnia.
La tavolata era lunga, fino al fondo dei nostri fallimenti. Sulla tavola frutti di mare, vino, cocomero. Mani timide, mani piccole, tutte a prendersi sprazzi di vita altrui. Sì, si stava insieme per convenienza, per una forzata serata di utilità sociale. I bimbi sono gli unici a saperlo per davvero, e per questo, forse gli unici a fingere di fingere per acchiappare qualche briciola di sincera beatitudine. I bambini lo sanno, e le bambine ancora di più, che il mondo rotola fingendo di stare fermo: così gli adulti si scannano in un precipitare di parole e rancore. Credi di fermare il mondo con qualche bicchiere di vino bianco tracannato di fretta, senza grazia e con quella faccia che a tratti lascia intravedere la smorfia del bambino che eri.
Dopo dieci righe nere.
Non posso che dichiarare tregua al mio precipitare fin dentro la notte dell’estate: non riuscire a dormire, non riuscire a scacciare via la fatica e il fallimento. Leggevo La prima verità ma sapevo che avrei dovuto scrivere la mia ultima bugia. La sincerità delle notti insonni l’avevo dimenticata. Quando senti le facce deformi dei parenti che volteggiano nella stanza, e quelle degli amici, minuscole, che si nascondono negli armadi nel preciso istante che ti siedi sul letto per pensarli.
Dopo sei righe grigie.
La porta socchiusa sul giardino buio. I pomodori dell’orto pomiciano con le melanzane, tradendo così il basilico, che intanto guarda sgomento la scena pur non cedendo lo stesso alle lusinghe della fragola. Il melograno copre tutti zeppo di frutti e pazienza, e aspetta la leggerezza di fine settembre quando gli restano solo foglie e tempo per fantasticare un’altra primavera di api e di acqua.
Dopo cinque righe colorate.
Alle cinque e tre minuti sento le ossa dentro gli occhi che reclamano un letto.




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