Insonnia.
La tavolata era lunga, fino al fondo
dei nostri fallimenti. Sulla tavola frutti di mare, vino, cocomero. Mani
timide, mani piccole, tutte a prendersi sprazzi di vita altrui. Sì, si stava
insieme per convenienza, per una forzata serata di utilità sociale. I bimbi sono
gli unici a saperlo per davvero, e per questo, forse gli unici a fingere di fingere
per acchiappare qualche briciola di sincera beatitudine. I bambini lo sanno, e
le bambine ancora di più, che il mondo rotola fingendo di stare fermo: così gli
adulti si scannano in un precipitare di parole e rancore. Credi di fermare il
mondo con qualche bicchiere di vino bianco tracannato di fretta, senza grazia e
con quella faccia che a tratti lascia intravedere la smorfia del bambino che
eri.
Dopo dieci righe nere.
Non posso che dichiarare tregua al
mio precipitare fin dentro la notte dell’estate: non riuscire a dormire, non
riuscire a scacciare via la fatica e il fallimento. Leggevo La prima verità ma
sapevo che avrei dovuto scrivere la mia ultima bugia. La sincerità delle notti
insonni l’avevo dimenticata. Quando senti le facce deformi dei parenti che
volteggiano nella stanza, e quelle degli amici, minuscole, che si nascondono
negli armadi nel preciso istante che ti siedi sul letto per pensarli.
Dopo sei righe grigie.
La porta socchiusa sul giardino buio.
I pomodori dell’orto pomiciano con le melanzane, tradendo così il basilico, che intanto
guarda sgomento la scena pur non cedendo lo stesso alle lusinghe della fragola.
Il melograno copre tutti zeppo di frutti e pazienza, e aspetta la leggerezza di
fine settembre quando gli restano solo foglie e tempo per fantasticare un’altra
primavera di api e di acqua.
Dopo cinque righe colorate.
Alle cinque e tre minuti sento le
ossa dentro gli occhi che reclamano un letto.
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