L’altra sera chiedevo a Ettore: ma quella volta a Mondragone che siamo
andati a vedere gli Avion Travel, era il 1994? Un’inaspettata giunta di
centrosinistra, dopo gli anni di mani pulite, organizzò il concerto del gruppo
casertano all’interno di un parco pubblico. Saremmo stati una trentina di
spettatori, in cerchio seduti su sedie bianche di plastica. La metà di quei
trenta erano miei amici di allora. Partimmo da Formia entusiasti come sempre,
di quello che si andava a fiutare per resistere al conformismo paesano e con la
speranzosa felicità negli occhi che ci distingueva all’epoca. Fu un concerto
strepitoso e breve. Rimanemmo qualche minuto lì con il desiderio di abbracciare
i musicisti, o mangiare mozzarelle nei mille caseifici lì intorno. Io sentivo
una gioia infantile in quei momenti di condivisione celestiale tra quei Pini
secolari, e voialtri? Invece ricordo che quella sera ci arrendemmo e con le
nostre auto ce ne tornammo quieti quieti al di là del Garigliano.
L’anno scorso ho rivisto gli Avion Travel a Roma in un grande centro
commerciale, all’aperto, sempre su sedie di plastica, insieme a mia moglie, mio
figlio piccolo e Roberta. Mi è piaciuto tantissimo il concerto, con un Servillo
sempre più teatrale e i musicisti ancora più bravi e con un Fausto Mesolella
piegato sulla sua adorata chitarra a interpretare melodie davanti a quello
scatolone di cemento e vetro pieno di merci attraenti. Ecco, oplà, passano i
decenni ed io mi ritrovo sempre coi soliti desideri mischiati a mille dubbi, e
col solito fiuto per gli accenni di felicità qua e là, e l’inossidabile
famelica voglia di mangiare mozzarelle di bufala che si presenta sempre nelle
domeniche sere estive. In quel concerto al centro commerciale Fausto Mesolella
fissava Jacopo, così, come a scegliere di osservare un mondo bambino invece che
quello solito stantio adulto. A me di stare al centro commerciale o tra Pini
secolari interessa davvero poco, quel che conta e mi fa sentire vivo, bello e
pieno di sentimento è la sacralità di certi sguardi, o di certi ascolti. Tutta
qua la mia spiritualità.
Poi
l’altro giorno Claudio mi ha raccontato che Fausto Mesolella fissò anche lui
nel centro di Aosta, l’anno scorso. E difatti Claudio è uno che sa trattenere
l’infanzia negli occhi nel suo passeggiare per il mondo: sicuro e dubbioso nel
suo vagare.
Questa cosa di fissare le persone a me piace e
quando mi rendo conto di non essere l’unico a farlo, per buona pace di mia
moglie, mi inorgoglisco sapendo di far parte di quella cerchia di eletti un po’
matti, curiosi e un po’ morbosi a cui interessa fissare bene bene le persone:
le merci, il cemento, gli oggetti di design, gli oggetti di decoro, i parenti
ottusi e le parole vuote sono poco più di niente per me, pari a caramelle scadute,
appiccicose. A noi che fissiamo le persone, ci interessa seguire quelli che
vagano problematici e colmi di tenerezza per le strade, o anche soltanto che
recitano al meglio la propria tragedia lontano dagli occhi degli altri. Ma non
dai miei, quando mi capitate a tiro, sappiatelo. La vita tutta intera tanto è
prigioniera della noia pesta, e così proviamo a colmare l’angoscia per la
salute che se ne va, o a frenare la paura per i soldi che si dissolvono, o cerchiamo
di non vedere le rughe che compaiono di notte. Eccoci, siamo noi che lottiamo
contro i giorni tutti uguali, a cui ci arrendiamo pacati solo dopo l’amore o un
abbraccio improvviso dei figli. Noi che non sopportiamo la ferita di non essere
riusciti a suonare nemmeno uno strumento musicale, nemmeno una chitarrina. E
allora ci tuffiamo nelle canzoni degli altri, o sprofondiamo nei film tristi, e
il pomeriggio osserviamo le smorfie dei bambini al parco. Così continuiamo
svogliati e splendenti a fare l’amore nei sabati pomeriggio arancioni. Siamo
salvi anche quando né colpevoli né innocenti ce ne andiamo al centro commerciale,
anche se poi ne usciamo sempre con gli occhi che bruciano e quella frenesia di
arrivare a casa per mangiare le mozzarelle di bufala con le mani. Eccomi qui,
uomo e bambino e lasciatemi vivere così: in questo limbo fresco pieno di bufale
campane, con gli occhi arrossati dopo una passeggiata tra gli alberi e i
negozi.
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