Mi tocca celebrare funerali ogni
giorno per tutti gli amici spariti, o cacciati. Tutti i santi giorni a capire
il motivo decisivo della loro dipartita, o cacciata. Eppure, solo certi amori
gli son pari: a volte uno degenera nell’altro
e allora è cortocircuito da evacuazione. E già, e già, mi piacerebbe imparare a
scrivere con scioltezza come certi scrittori; sarebbe un rimedio omeopatico
alla sciagura della desiderata solitudine. Ma non credo nell’omeopatia, e accetto
la solitudine come massima elevazione spirituale. Cazzo, certi scrittori non
userebbero tali affermazioni bla bla bla, e già, appunto scrivo su di un blog
bla, bla , bla.
Stamattina mi sveglio, e dopo aver
sognato Napoli, sì, a volte sogno proprio le città, e dopo aver ascoltato le simpatiche
considerazioni di Remotti sulla serenità conquistata a colpi di letture, be’,
mi sono sentito vuoto come un carciofo sfiorito in estate. Potevano esserci
occasioni in primavera di esser colto, qui nella doppia accezione, accenti
esclusi, con cui spesso litigo, insomma, invece di perdermi dietro ambizioni a
noleggio avrei dovuto studiare. Sono figlio d’operaio, e non ho il coraggio di
farlo: mi sbatto per trovare un lavoro che coincida col mio sorriso. In agosto,
quando tutti dormono e io cerco di prendermi tutta la serenità del mattino.
Ecco, finché mi perdo dietro questi
pensieri, dove traggo linfa per i miei otturati vasi sanguigni, allora sono sano
e salvo. E così sia.
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