A S. Basilio c’è una biblioteca. Poi un
giovedì di luglio propongono un concerto e un film, l’aria è calda e ti viene
voglia di canzoni d’amore degli anni sessanta. E’ fisiologico, per noi romantici
sedotti da certa entropia letteraria.
Parte la chitarra di Fausto Mesolella
arpeggiando pericolosamente tra le capigliature rossastre delle nonne in terza
fila. Le note cercano di arrivare fino all’ultima di fila, ma no, quaggiù dove
siamo io e Enzo, c’è una barriera di chiacchiere di un’intera borgata ripiegata
all’angolo dell’arena. Le note diventano familiari: Lucio Dalla Beatles.
Niente, questi chiacchierano come forsennati. Il musicista, con fare educato,
dichiara che questo vociare non lo fa suonare bene, pur ammettendo che un
concerto di sola chitarra sia spesso una palla. Che stile Mesolella, riesce a
zittirli tutti, trascinandoli dentro la sua musica discreta.
Si mette a musicare la scena tragica
di “Un borghese piccolo piccolo”, e poi quando termina si siede ai bordi del
palco a vedere anche lui il film di Fabrizio Bentivoglio “Lascia perdere, Johnny”
tratto dal suo raccontare i suoi
inizi da musicista, a Caserta, negli anni settanta, in compagnia della sua
adorabile timidezza.
Il film procura risate al gruppone
chiacchierone, e anche a me, seppure con varie declinazioni sentimentali. A me
il film è piaciuto, e non so il perché. C’è una tenerezza antica, pudica, che
si presenta alle spalle dei vari personaggi di
costume degli anni settanta; di quegli anni ancora tutti da esplorare con
lenti trasparenti, e anche da raccontare meglio, scansando veli ideologici
fuorvianti. Il racconto del film ci riesce nel narrare le difficoltà di un
ragazzo a muoversi intorno alla sua passione, la musica, senza snobismi, ma non
per questo gli è facilitato il percorso. Anzi. Un magnifico incontro costringe
la sua insicurezza a rivedere le potenzialità e spingerlo verso palcoscenici
improbabili, contro quella noia che spesso mortifica ogni possibilità di
crescita.
Ci sono tanti bravi attori in questo
film e belle canzoni, e facce da raccontare agli amici. Per sentirsi partecipi
di storie mai del tutto dimenticate, e niente affatto lontane da quel che
siamo. Bisogna tuffarsi in queste storie senza spocchia, ma con l’intenzione di
fare pace con certa terra, certe facce, certi costumi, che ancora oggi
condizionano il nostro liberatorio girovagare. Procurando risate e dolore,
vertigini e attese. La timidezza di Fausto mi appartiene, e mi obbliga a
rivedere i piani mai del tutto navigati in queste acque fangose, mai del tutto
sicure. Lascio perdere?
2 commenti:
no, non lasciare perdere. I tuoi momenti recensivi/raccontanti meriterebbero di essere volantinati dagli aerei sulla spiaggia e sulle piazze. Non lasciare, Peppe.
Grazie Andrea, troppo bono. Comunque l'immagine dell'aereo ci piace, a me e a mio cugino Arturo...
Posta un commento