Ecco chi sono!
Lo dichiaro ora dopo circa due anni che gestisco questo blog, che pare mio, ma,
in realtà, è una scatola lunga e profonda che funge da deposito sentimentale
per tante cose di questo tempo. Mi chiamo Peppe, vivo a Roma e faccio
l’educatore. Faccio, nel senso che questo risulta davvero nella mia busta paga,
poiché, a dirla tutta, siamo un po’ tutti educatori in senso lato, no? Ma non tutti hanno il coraggio di farsi pagare… In questa
scatola confesso le mie pene, aggiusto i miei sentimenti e spalanco le porte
agli altri, sia nel mostrare i loro blog che accogliendo i loro pezzi, commenti
e suggerimenti. Quello che più mi ha colpito
è stato quello di un abitante del tiburtino III che mi voleva menare, per via
di come avevo trattato quelli del tiburtino in un raccontello.
Non l’ho detto a
tutti i miei amici della vita del blog, un po’ perché me ne vergogno e un po’,
che è l’altra faccia della vergogna, per vanità. Scoprimi e farò il sorpreso,
amami e ti amerò: tristezze prodotte dalla mia vita metropolitana, oltre che da
tare affettuosamente incollate al mio carattere.
Molti confondono
gli intenti, per primo io, così mi ritrovo a controllare le statistiche delle
visualizzazioni come forse faceva Vasco Rossi nel controllare se stava nella
top ten dell'hit parade, all’inizio degli anni ottanta. La quantità fa il valore? o fa il
veleno?
Comunque, a me
viene da scrivere queste cose, senza sapere davvero il perché, come qui di seguito : una
domenica mattina ho fatto outing dichiarando la mia resa all’emotività. Così tutti
sapevano, ma niente cambiava. Al discount tra gli scaffali speravo di non riconoscere
nessuno, dopo, una volta arrivato a casa, che tutti avessero rinunciato al nostro invito a pranzo. Volevo
restare solo e pensare a una via d’uscita, e che coincidesse magari con
l’uscita di sicurezza del discount. Tra farine e biscotti mi ricordo di aver scaricato, quella
stessa mattina, la Canzone dei Baustelle che mi aveva scosso il giorno prima, già il pensiero di riascoltarla mi rianima:
dentro quella canzone ci sono le parole che aspettavo. La sofferenza non eccessiva veniva cantata, come qualcosa di vivo dentro le nostre giornate, come
un cancro benigno che ti accompagna fino alla vecchiaia, per poi comparire l’ultimo giorno: ti bacia e non
lo vedi più.
Quel giorno
avrei fatto mettere in cerchio tutti i miei amici per parlare di noi, di quello
che siamo diventati. Di come la berlusconizzazione ci abbia investito come un naturale
innalzamento delle acque del mediterraneo, cui si ricorre con metodi blandi e
inconcludenti. Ma chi siamo, e cosa pensiamo in macchina prima di arrivare nei
nostri minacciosi posti di lavoro?
Da tempo seguo solo scrittori, pensatori,
cantanti, amici, che mischiano con grazia e impegno i sentimenti alla ragione,
utilizzando il contenuto come stella cometa. Il resto del groviglio
social-politico-cultural non mi appassiona più, il passato dorato mi disturba quanto l'ipocrisia e la
bontà ormai mi pare che sia il tappeto dove far esprimere le migliori cattiverie a certi tipi un po' all'antica e un po' coglioni. E tutti
ridono.
Ecco la canzone,
eccole le parole che mi appassionano ancora.
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