Dal quarto piano del teatro dell’Opera
di Roma, seduto al buio con il mio Amore accanto, e con quell’aria condizionata
che non capivo da quale barocco anfratto provenisse, osservavo la Carmen,
minuscola laggiù, dentro una luce azzeccata, malinconica e finta. Come la vita.
L’indomani a pranzo un’impepata di
cozze, e una falanghina fredda e discorsi sul perché siamo così, perché? dice
il mio Amore - con la sua tenerezza invendibile su eBay- siamo riusciti ad
arrivare a oggi, e alla nostra libertà, senza sfanculare intere famiglie
assurde e lontane anni luce dalla nostra sensibilità? Eh, perché? Ma
chissenefrega, oggi, tanto la falanghina scendeva bene lo stesso e le parole le
correvano dietro meglio di tante altre volte: un capolavoro che non vedrà mai
la luce, i nostri discorsi onesti che finiscono sempre sulla sabbia delle
nostre paure: Amore allora ci abbraccia e ci riduce ad amarci.
Poi leggo tanto, senza costrutto, e
spio i miei miti d’oggi, senza scomodare Barthes, ma cliccando twitter, e blog
sconosciuti ai più. Son fatto così, mi accontento di una impepata di cozze,
della falanghina e di mille rivoli di frasi mozzate dall’amore.
Amo Carmen, e la sua morte di ieri è
soltanto una frase d’amore mozzata male sul finale.
3 commenti:
a volte ritorno e ti leggo. con un "pensiero gommoso che la mia vita sia appesa ai libri". cit. ;)
Caro Andrea, é grazie a te che mi ritrovo qui a farneticare tra grammatiche oscure e pensieri luminosi.
Ciao!
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