Poi giorni appiccicaticci di parole pesanti nell’aria, di figli
annoiati, e di me che lotto come uno scemo contro la solita frustrazione di
fine agosto: ancora un anno a lavorare lì? Ancora?
Così le serate le ho avvelenate con
accuse e mugugni, subendo musi e sfottò. A quel punto eravamo una famiglia in preda
a demoni aleggianti come Pokemon. Braccia graffiate dai rovi, birrette tutte le
sere sotto le stelle ma con troppa troppa salsedine addosso. Al risveglio mi dedicavo alla ricerca
di alberghetti economici in Trentino, e nella faccia si stampavano preventivi
che mi deprimevano a ogni cliccata: quanto sei povero, tu con la tua rata
per la fogna da ristrutturare. Poi ce l’ho fatta, e siamo fuggiti dal mare.
Transitati da Roma giusto il tempo per portare vestiti e pannolini a una
collega di mia moglie, che poi li ha consegnati ai terremotati nel paese dei
suoi genitori. Così ci siamo messi in macchina direzione terme di Saturnia, con
gli occhi pieni di sfollati e bimbi tirati fuori dai calcinacci. Passiamo da
Saturnia ché anni fa con mia moglie ci trascorremmo giorni incredibili d’amore e
tremori in tenda, tra teneri pazzi con cui abbiamo poi condiviso panini con
porchetta, storie maledette e paesaggi commoventi. Eccoci là tutti e quattro
sull’Aurelia a fare colazione felici e assonnati. Io che cerco la rivista IL,
ma appena dopo Santa Marinella c’è solo terra argillosa ai lati della strada.
Alle terme sotto le cascatelle ci diamo la mano e ridiamo e forse tratteniamo quegli
attimi e forse ameremo quegli attimi: oltre ai grovigli sentimentali, che i figli
portino con sé immagini di noi che ci baciamo nelle pozze d’acque sulfuree.
Mi riparo nel chioschetto con la
password del wifi sulla lavagnetta e ricomincio a cercare su booking. Stavolta
provo una tappa intermedia tutta per lei: Pavana, per salutare il suo Guccini.
In trattativa con un albergo fermo la stanza per cinque minuti, il tempo di
controllare su Maps: tre ore e quarantanove minuti. Niente. Puntiamo al
concerto di Salmo a Senigallia, per fare una sorpresa al grande. Intanto
prenoto una camera affare a Chianciano terme. Si parte e Maps ci immette in una
strada sterrata dove non incrociamo macchine né persone e neppure animali, col
tramonto di fianco che ci accompagna tiepido. Mi stacco da terra e vedo ora
quella macchina che recupera serenità a ogni metro macinato, e la vedo di zolfo
e di argilla avanzare lentamente tra filari di cipressi impolverati da noi:
piccola e nera assomiglia a un insetto innocuo, a una tartaruga che cerca erba
bagnata. Arrivati sull’Amiata siamo spersi senza GPS e con una fame spaventosa. Ci fermiamo davanti a una specie di rigattiere pieno di lamiere, è buio, solo gatti dentro a un mini borgo disabitato (ma chi li fa mangiare 'sti gatti, penso: ove per poco il cor non si spaura). Ci prende una voglia matta di barattare l’affare di Chianciano con un albergo sperduto di
montagna: niente, tutto caro. La strada comincia a scendere insieme alla nostra
stanchezza, ma ecco dopo l’ultima curva compare Arcidosso con una sagra fumante.
Freno, e tutti contenti con le magliette a manica lunga ci tuffiamo nella
sagra. Continuo a chiedere di alberghi, ma qui sono ancora più cari. Il paese
ci piace, e ce lo giriamo dopo cena pieni di arrosto e sorrisi. Una compagnia
di teatro fa le prove, un manifesto del festival dei racconti di strada sta accanto
a una biblioteca che da fuori ci immaginiamo bellissima; poi signore che ci
sorridono, e ragazzi che ci raccontano di sé partendo da un mio accenno di domanda.
Siamo felici, e intanto sentiamo sparare i fuochi della Madonna del… boh?
Ripartiamo in macchina. L’albergo di Chianciano sembra fermo al 1982, incluso il
portiere di notte e il suo aiutante vecchietto con l’accento campano, per altro
gentilissimi. Abbiamo due stanze comunicanti, così cominciamo a comunicare come
non si faceva da giorni. Al risveglio trovo IL in una edicola in centro, e mi leggo il pezzo
che Nadia mi aveva consigliato. Ci siamo tutti in quel libro dice, e intanto,
sicuramente, siamo finiti tutti un po’ denudati dentro alla sua bella recensione. Deviamo verso il Trasimeno, poiché al risveglio leggo che Salmo ha
annullato il concerto (‘sti giovinastri rapper), ma lo diciamo lo stesso al
grande che, incredulo, forse ci ringrazierà davvero fra ventisei anni… A Città
della Pieve ci confondiamo tra mattoni rossi, mercatini affollati e chiese. Ripartiamo
per il Trasimeno. Ci perdiamo ancora, ’sto cacchio di GPS, e ricominciamo a
litigare inchiodando su un’altra strada sterrata. Sempre col caldo sono in
agguato le nostre bestiali vulnerabilità. Alla fine ci tuffiamo in piscina e sciogliamo ogni
inutile e pallosa tensione. Siamo sereni, quasi felici, e i figli giocano beati
a basket nonostante i 30° gradi di afa. L’indomani gite, sorprese, isole, e il
piccolo che si fa tagliare i capelli da un barbiere improvvisato in piazza. Noi
ad ammirarlo per il suo coraggio, e per quella sua curiosità che vorremmo ancora
intatta nelle nostre teste, tra capelli brizzolati e permanenti che ci tengono ancora
in equilibrio.
Assaggiamo pesce fritto di lago all’interno di una stancante serata vintage paesana, a tratti divertente: i
primi dieci minuti. Arrivato a questo punto, tu che leggi, penserai: oddio che
cronaca dettagliata e spietata, ma perché ti riduci a questo? Provo a
risponderti con l’ultimo fatto. La sera successiva dopo aver cenato a Perugia
con tutta quell’aria fresca che attraversava vicoli e piazze piene di ragazzi,
di suonatori, di pasticcerie arrapanti, e di strangozzi eccitanti, mi è
scappato un pensiero di testa: a me gli altri piace solo sfiorarli, fissandoli, e desiderarli fino all’osso, ma restandomene un po’ fantasma in disparte. E allora
tutto questo che sto scrivendo è frutto di un’incontrollata e frustrata voglia
di condivisione. Smisurata, irreale, quasi compassionevole. Ecco il perché. E non
avendo ricevuto neanche un invito quest’anno, cosìcché noi, affamati sempre degli altri,
bisognosi di abbracci e addii, quest’anno ci siamo preoccupati, cioè, io
soprattutto mi sono preoccupato: che la vecchiaia ci avesse già catturato
sbattendoci a terra o affondandoci in una spiaggia assolata. Questo non mi pare
giusto con tutto questo sole che c’è, mi ripetevo tra una cliccata su booking e
una litigata con mia moglie: al di là del dolore c’è sempre un luogo disposto a barattarlo in amore. E la geografia ci salverà, e le strade sterrate prima o
poi ci lasceranno entrare in giardini rigogliosi di persone e rose.
2 commenti:
Bello il pezzo di Nadia. Ma tu lo hai letto Foer? Io no, ma credo che lo farò.
Ciao!
... ma non puoi fare i complimenti a Nadia sul mio blog;)
No, ancora no, lo faremo?
Ciao!
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