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sabato 19 maggio 2018

ecco cosa mi sta accadendo

  Ecco ora che sta accadendo. Io ascolto un mix su you tube, e c’è Vasco Brondi che canta “all’estero…”, il figlio piccolo è di sotto a combattere con la matematica e con lo spettro della sua insegnante ingombrante. Ho appena osservato dalla finestra mia moglie, accompagnata dal figlio grande, che riempivano la macchina di panni usati, da portare al mercatino. Erano mesi che non li vedevo insieme così sereni. Ah, in verità ora sto cercando di scrivere di questi ultimi mesi per niente sereni, ma pieni pieni di fatti che prima o poi dovrò raccontare. Non riuscivo a farlo bene in questi mesi, quindi spesso ci ho rinunciato. Invece preferivo leggere cose tipo In esilio, Nati due volte, Nel nome del figlio, o pezzi su Basaglia, su Don Milani. In realtà preferisco scrivere struggenti quanto inutilmente liriche cose sui social. Non riesco a concentrarmi, a essere asciutto, a raccontare a un amico quello che sto passando veramente. Non è vero, ma qui mi piace camuffare la realtà, poiché ne ho parlato con alcuni amci e amiche del mio disastro che preannuncia un riscatto, sì, ché così mi piace esprimermi per incoraggiare la mia famiglia, quando, davanti a urla, pianti e porte sbattute pareva che stessimo scoppiando come quelle mongolfiere minuscole nei cieli americani. Preferisco uscire di più coi miei figli, e starmene lì ad ascoltare la loro musica in auto lungo le luminose strade di Roma; o vederli di spalle mentre sono in fila dal kebabbaro, oppure poco prima che cominci la lezione di musica, oppure ancora mentre si scatenano a furia di canestri durante gli allenamenti. No, in partita l’allenatore al grande non lo faceva giocare, per poi dire in allenamento che lui, il grande, gioca per la squadra, ma in allenamento non mi pare, spiffero nell’unico accenno di polemica in otto anni di mia frequentazione della palestra. Forse ci piace dare il meglio negli allenamenti? dietro le quinte, dietro una tastiera? Forse, e gli altri lo capiscono? Non credo che lo facciano, siamo numeretti, così come ci ha fatto capire l’insegnante che ieri non ci ha accolti, respingendoici con parole che puzzavano di burocrazia, facendo intendere che sarebbe stato meglio che il grande non si fosse trasferito da loro l’anno prossimo. No, nella mia gamma di patologie mancano le manie di persecuzione e questa insegnante con lunghi capelli bianchi, e nello sguardo cinque ore di battagie con gli adolescenti, con noi ha avuto un atteggiamento pessimo, costringendomi a perpetuare nei miei pensieri un’idea di scuola lontana anni luce dagli studenti: non gli ha chiesto neppure una cosa a lui, al grande, coi suoi sedici anni di insicurezze che gli uscivano dagli occhi. Ora quello che conta è che ci ascoltiamo di più, e che ridiamo meno istericamente nei venerdì sera euforici post settimane faticose. No, ora ridiamo di gusto, lavoriamo con più determinazione e andiamo a scuola grintosi, a parte il grande, che sta riprendendosi da anni di incertezze. La sua scuola in questo periodo sono gli incontri con il professore A., l'ascolto di canzoni, vedere i pezzi sul bullismio su Nemo, e anche le presentazioni dei libri a cui gli chiedo di partecipare, sempre con agganci musicali o per incontrare personaggi che piacciono anche a lui: Zoro, Gipi, Virzì, Lenzi, Brunori, ecc. il mio pantheon che sfiora e accarezza un po’ anche lui, col suo sguardo che si presenta prima torvo, ma poi si scioglie in sorrisi primordiali di felicità mai dimenticate. Io non ho mai amato così bene la mia famiglia, ora lo so, perché l’ho verificato col mio sensore emotivo. Un giorno lo spiegherò meglio, ora ho fretta di andare a preparare gli spaghetti alle vongole, di organizzare la notte ai musei, di incoraggiare ognuno di loro a non sperperare il tempo prezioso che ci rimane da vivere insieme, prima di deviare, ognuno per conto suo, verso luoghi e volti che ameremo e capiremo solo noi, pur con la voglia di farne assaporare il piacere anche agli altri che continueremo ad amare, a raccontare, su quei nuovi divani morbidi, dove assumeremo ognuno in un soggiorno diverso, la stessa ottusa e commovente posizione che abbiamo avuto sin dall’infanzia. Io cercherò di farlo senza ansia, ah non ve l’ho detto? Non sono più malato di ansia, mi è passata, ora sono malato di pazienza: aspetto che si faccia giorno, che si faccia qualcosa insieme, che si prenda coraggio e si esca dalle nostre vecchie vite anguste. Voi che fate stasera?


foto rappresentativa non trovata

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