Pagine

lunedì 7 febbraio 2011

mia sorella e la sigaretta


A mia sorella non piaceva venire in campagna, o afor’: questa parola usavano quelli della mia famiglia per indicare la campagna, cosi si diceva, forse, solo perché un tempo fuori dalle mura del paese, ma a me quella parola risultava molto densa di significati fascinosi. Ancora oggi mentre la pronuncio nel silenzio della mia mente provo un piacere di scoperta, mai fino in fondo avvenuta, di un mondo a me lontano e che si presenta come leggenda da conservare. Anche solo nella testa. Insomma a Concetta, mia sorella poco più grande di me, la campagna non esercitava nessun fascino. Anzi, forse in fondo la detestava come non sopportava certe faccende famigliari. Io no, per me la campagna veniva prima di tutto. Mi piacevano anche tutte le vicende famigliari che vivevo sempre appiccicato ai miei genitori: sempre a piedi sulle strade di Gaeta.
La macchina mio padre non l’ha mai avuta, e per la sua epoca non era in fondo una grossa anomalia. Insomma, nonostante il distacco di mia sorella per i fatti della terra e della famiglia, è immortalata con dei capelli da maschiaccio, accanto a me, davanti al lungo viale che dalla campagna’ di Zi Giannin porta fino all’Appia. Mi teneva un braccio al collo e mostrava un delicato affetto ancora oggi non del tutto svanito. In fondo all’immagine s’intravede il mare del golfo di Gaeta, anche se lattiginoso di foto in bianco e nero.

 Ora questa foto è alla destra della mia scrivania e mi strugge il pensiero che un giorno possa consumarsi nel gorgo del tempo.

Un’altra abitudine che avevo in quegli anni in campagna era di fumarmi una sigaretta nel pomeriggio, dentro al mio rifugio che stava poco sopra al mio orto. Si trovava in cima ai terrazzamenti e a circa duecento metri dalla casupola dove mio zio alloggiava durante la giornata. Comunque lontano dalle serre e quindi dalla parte dove lui era più impegnato nei lavori quotidiani di cura delle piantagioni. I pacchetti di sigarette erano di provenienza americana. Un cugino o uno zio di Zi’ Giannin le portava di tanto in tanto; emigrato negli Stati Uniti nel dopoguerra come era stato emigrante Zi’ Giannin nel Venezuela. Anche se per pochi anni, giusto il tempo di capire che la sua storia doveva compiersi in Italia, a Gaeta, a Vnnic’, Afor’. E non nelle remote Americhe, che forse arricchivano qualcuno, sistemavano molti, ma, in fondo, spesso sradicavano pure intere generazioni.
Fumavo a dodici anni una sigaretta al giorno non come vizio, ma come abitudine da rispettare; a modo mio ero entrato nel mondo degli adulti: avevo l’orto, prendevo l’autobus da solo e fumavo in cima alla campagna, poco sotto alla ferrovia Roma - Napoli. I treni sfrecciavano a circa cinquanta metri dalla mia testa; e ricordo che da piccolo salutavo con la mano imperterrito ad ogni passaggio di treno. Erano tanti che passavano su quella linea, ma io non volevo far un torto a nessuno… allora pure i treni merci salutavo, con le loro macchine traballanti e colorate. E non solo il macchinista, ma anche tutte le Fiat in fila.



Nessun commento: