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giovedì 3 febbraio 2011

vanghe di periferia

Il caldo improvviso di maggio investe l’intera città. Di certo, e questo resta un mistero al pari di quelli di Fatima, in periferia fa più caldo. Qui esplode il caldo. Sarà il cemento. L’asfalto o i pochi alberi presenti, ma questo pensiero mi fa sentire un po’ più martire di quelli del centro; quando al tiggì parlano di esodo, immagino noi della periferia in prima fila: avvantaggiati dalla vicinanza delle autostrade ma, soprattutto, più scottati degli altri, pariolini o del quartiere monti che siano.
Insomma c’erano questi due uomini dentro al bar “del nasone”, al tiburtino III. Al riparo si raccontavano degli ultimi fatti:
“….e quello lo voleva buttar di sotto. Diceva: “Ti piglio per le gambe e ti lancio dalla finestra”.
“e Fabio?”
“quello non arretrava. È di coccio a volte, bravo e paziente lo è, ma il pericolo cazzo lo vuoi fiutare?”
“Già, pure quella volta che Paolo gli stava dando una vanga in fronte. Ti ricordi? Voleva sfasciare il muretto del giardino appena costruito.”
“come no, quel pomeriggio è dovuta venire la psicologa. Che sembrava la suora in “Amarcord”, quando ha fatto scende Ingrassia che urlava: voglio una donna!”
“ah ah ah, è vero. Stessa scena. Cambiava solo il panorama alle spalle. Noi con i palazzoni grigi con gli infissi rossi. Nel film un paesaggio morbido e ovattato.”
“mo’ ti metti a fa il critico cinematografico….”
“ vabbè, che dobbiamo parlà solo di culi e spacci?”
“ infatti, caro mio qui tocca difendersi. Mica abbiamo la famiglia a carezzarci le spalle. Quelli non ci cacano affatto. Tocca studià, leggere, andare verso il centro. Mortacci loro”
“chi?”
“ i costruttori, gli architetti, gli urbanisti. E pure i politici. Na manica de squali.”
“vabbè mo’ non esagerà…insomma, alla fine Fabio è riuscito a mangiarsi gli spaghetti con le vongole che aveva preparato Enzo, quello che voleva lanciarlo dalla finestra. Ma se non intervenivo, con la trattativa che nemmeno la CGIL, quello ora stava al Verano . Enzo è uscito l’altro ieri da Rebibbia, e mi sa che ci vuol tornare il prima possibile. Qui è disadattato….”
“bella questa, ma in fondo è vero. Quelli da noi soffrono. Vogliono la libertà di fare i cazzacci loro. Dentro.”

Eccola, ora entra Teresa nel bar. Completo leopardato e cagnolino ai piedi. A vederla sembra la Parietti, ma appena apre bocca pure i poster di Tomas Milian alla parete si piegano un po’. E’ bella però. Una sgraziata immagine che al tiburtino diventa una “proprio bona”. E lo sa bene G., che tutte le sere soffre sul letto di prigione, al pensiero che la moglie possa andare a casa di Nazzareno. Quello già una volta non ha risparmiato neppure un lembo di carne: tutta nella sua bocca è passata. Caviglie comprese. Teresa che poteva fare? Erano due anni che G. stava dentro. Poi gli ha promesso che non l’avrebbe fatto più. Almeno fino alla prossima condanna.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma che cazzo state a di de tiburtini terzo,lavateve la bocca quanno ne parlate,anzi se nun ne parlate è meio,ma che ne sapete come era tiburtino,in borgata nun se toccava niente tantomeno le moie dell'antri anzi quanno uno cascava e annava dentron se aiutava come possibile,se dormiva co la chiave alla porta e stavi tranquillo che nessuno toccava niente a nessuno,adesso co la cocaina nun c'è rispetto pe nessuno e pe gnente e spesso se va a canta 'dai carabinieri e è diventata una borgata di infami e de infamita',ricordateve LAVATEVE LA BOCCA QUANNO PARLATE DE TIBURTINO III°.