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venerdì 7 ottobre 2011

Di qualche mese fa, un compito per la Lattanzi.


La calma in tasca
          Devo scendere. Ecco, alla prossima fermata scendo. Devo prendere aria. Qui sto scoppiando. In tasca stringo forte il barattolino giallo. Dentro c’è la mia calma. Certo, potrei prenderlo ora, ma sarebbe imbarazzante. Qui nella metro tutti ti osservano. Lo faccio pure io di solito, in fondo c’è poco altro da fare.
Fermata Cavour. È piccola, quasi anonima. Proprio qui mi toccherà prendere per la prima volta le dieci gocce di Tranquillirt. La gentile psichiatra del S. Camillo me le ha date durante un pronto soccorso: mi ha detto di usarle solo per emergenza. Così me le tracanno d’un fiato. Alla faccia dei basagliani d’accatto. Voglio vedere loro in queste condizioni. Una ragazza come me, di buone letture, brava lavoratrice che - all’improvviso - dopo trenta anni vissuti tranquillamente, si ritrova ad avere attacchi d’ansia incontrollati. E fare figure di merda quasi tutti i giorni. Scappare anche quando si sta tra amici, sempre con la scusa della diarrea. Il mio ragazzo che non vuole più scopare. “Sembra ‘na matta, ha ‘ste paure ogni cinque minuti”. Solo a lavoro sono integerrima, non scappo mai.
Già mi sento meglio, le gambe si alleggeriscono e l’asfalto sembra molle. Le insegne si allungano davanti a me. Vedo la faccia di mia nonna annuire serena; il rumore delle auto è dolce e mi spinge a sedermi sul gradino freddo della scalinata.
          - Pronto, volevo dirti che la matta sta per fidanzarsi col Tranquillirt gocce, e preferisce il suo sapore aspro nella bocca, piuttosto che il tuo alitaccio malaticcio. -

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