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martedì 29 novembre 2011

solo lui.


Si era accorto di somigliare alla madre molto più di quanto potesse suggerirgli un qualsiasi dio del caso; uno squarcio profondo tra gli occhi e la gola. Da lì tutto passa e ripulisce o, nei peggiori dei casi, inquina, il brodo vitale che serpeggia nella testa. Già, è proprio lì che c’è la somiglianza svelata.
Quelle parole che pronuncia con sforzo intellettuale, scalciando deliri incombenti, appaiano flebili davanti alla storia. Agli altri. Questo vale solo per alcune volte. Oggi no, perché oggi ha detto quello che, come scheggia irrefrenabile, sta attraversando l’intero suo corpo in questo periodo. Culo compreso, quindi, quello che ha dichiarato, è tutto autentico. Magari alcune cose troppo personali e quindi un po’ enigmatiche, ma che fa, e l’altro che ci sta a fare se non per ascoltare?
Sullo sfondo una città gigante di persone indaffarate. Priorità decantate. Urgenze manifeste. Lui seduto su quella sedia di plastica e ferro a dire cosa è successo. A lui. Certo, solo a lui, in questi tre mesi d’isolamento. Chiuso. In una stanza piena di bimbi e vuota di aspettative. Una morte inutile.
Non ha letto un cazzo di David Foster Wallace, ma il suo cappio pieno di libri, con le innumerevoli traduzioni, invece, è carico d’aspettative.
Capisce,mi sussurra, l’imbestialimento di Dino Campana quando quei poetacci del caffè gli persero il manoscritto. Ché aveva percorso i trentacinque kilometri con lui, Marradi Firenze, con tutte le attese magiche del caso. Lui lo sapeva, solo lui; gli altri un po’ meno.
Ecco, oggi questo mi vuole raccontare.

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