Non avevo niente da dire e la
guardavo. Rispondevano le unghie, i peli e le giunture. Il resto assopito mi
terrorizzava piano. Un furgone impazzito prende la curva male e sfonda un paio
di macchine dell’altra corsia; scende una donna senza nessuno. Dall’altra auto
solo rumori di una storia arrugginita e unta alla base. Si fermano tutti e
aspettano le parole giuste per intervenire: oggi sono arrivate, poche e
inaspettate parole su di me. E immagino Andrea fra dieci anni al bar con me,
parole al pin pong che colorano il quartiere e lo rimettono in vita, senza
spargere sangue sul marciapiede di metallo.
Un’onda di nuvole capricciose mi para
da insopportabili magie divine che colpiscono tutti tranne che me e la mia
macchina: sulla strada resta la scia di un pezzo dei Baustelle di vizio e
adolescenza.
Le sottane son passate di moda e
niente che le abbia sostituite, niente, stavolta l’unicità ha vinto e io esulto
come bambino attaccato alle sottane sognate.
Devo quasi tutto al dolore, per
questo ne celebro il suo lento declino accucciandomi stremato del tanto ridere
di me e delle mie ombre allegre.
Lenta cessione, pronta passione.
“E
ridi forte come sai far tu, mostrando i denti come non si usa più” (F.F.)
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