Conoscevo bambini dalle facce
crudeli. Vedevo i loro padri con le panze di fuori, e dietro c’erano le mogli
informi con quelle mani minuscole, a chiazze rosse sul dorso, che si agitavano
ferme. Conoscevo una ragazzina con i capelli lunghissimi e una bocca senza
voce. Conoscevo quella strada in discesa da dove vedevo il castello con le sue
torri tonde, e tutta la fortezza che disegnava il resto. Poi lo splendore di
quel dolore improvviso che ci scuoteva come sarde nella cassetta: appena
pescate e non ancora scampate al loro inutile destino ignoto. Come me e le mie
fragole da mangiare d’un colpo nel pomeriggio, mentre dalla sua faccia colava
sudore senza fatica, senza dolore.
Era ieri e sembrava tutto perso
dentro quel tram verde Roma anni sessanta, e la Magnani coi suoi viziosi
capricci adorabili già era passata. Non volevo avere numero telefonico ieri e
nemmeno una finestra. Volevo una zattera levigata libera di guidarmi senza
freni.
Appena un albero mostra il primo
germoglio mi spoglio e come una scimmia sorridente salgo fino alla cima, solo
gli occhi fuori dalla chioma: sotto un blu che lascia cadere giù, e io ad osservare
la fretta come ricordo di un vecchio mondo.
Quei due ragazzi lasciati soli
qualche anno fa non avevano proprio bisogno di quest’assenza improvvisa, che
significa un padre morto mentre lo diventava lentamente. Se becco lo
sceneggiatore che sta dietro le loro storie, giuro che gli do un rovescio come
si deve. Eh! Qui c’è un conto salato già pagato. Un abbraccio P. e D.
(da SIGMUND FREUD, Opere. 1915-1917
Volume 8°, BORINGHIERI 1976) 1915
CADUCITA’
Non molto tempo fa, in compagnia di un amico
silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una
passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la
bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il
pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col
sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza
umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno
creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava
svilito dalla caducità cui era destinato.
Da un simile precipitare nella transitorietà di
tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti
dell’animo. L’uno porta al tedio universale del giovane poeta, l’altro alla
rivolta contro il presunto dato di fatto.
No! è impossibile che tutte queste meraviglie
della natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo
esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato e
troppo nefando. In un modo o nell’altro devono riuscire a perdurare,
sottraendosi a ogni forza distruttiva.
Ma questa esigenza di eternità è troppo
chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore
di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo decidermi a
contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che
è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del
bello implichi un suo svilimento.
Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore
della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della
possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che
il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al
riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione
dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della
nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza
vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa
breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce
una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida. E così
pure non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell’opera d’arte o
della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione
temporale. Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo
saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più
le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un’epoca
geologica in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa: il valore di
tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato
per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è
indipendente dalla durata temporale assoluta.
Mi pareva che queste considerazioni fossero
incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul
poeta né sull’amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore
affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti di aver
individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica contro
il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che tutta
quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime sensibili
il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da
tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello
l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.
Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo
amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a
dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di
quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose
oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità di
amare che chiamiamo libido la quale agli inizi del nostro
sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà molto presto,
la libido si distoglie dall’Io per dirigersi sugli oggetti, che noi in tal modo
accogliamo per così dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno
perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad
essere libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare
provvisoriamente all’Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi
oggetti debba essere un processo così doloroso resta per noi un mistero sul
quale per il momento non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Noi
vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi oggetti e non vuole
rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è già pronto.
Questo è dunque il lutto.
La mia conversazione col poeta era avvenuta
nell’estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e depredò il
mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in
cui passò e le opere d’arte che incontrò sul suo cammino; infranse anche il
nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per
moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo
superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime
imparzialità della nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita
pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di
aver debellato per sempre, grazie all’educazione che i nostri spiriti più
eletti ci hanno impartito nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria
e di nuovo lontano e remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che
avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo
durevoli.
Non c’è da stupire se la nostra libido,
così impoverita di oggetti, ha investito con intensità tanto maggiore ciò che
ci è rimasto; se l’amor di patria, la tenera sollecitudine per il nostro
prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna sono diventati d’improvviso più
forti. Ma quali altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro
valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere? A molti
di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la
pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è
prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in uno stato di lutto
per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si
estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò
significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo
libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli
oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi
ancora. C’è da sperare che le cose non vadano diversamente per le perdite
provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la
nostra alta considerazione dei beni della civiltà non hanno sofferto per l’esperienza
della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha
distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.
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