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lunedì 8 ottobre 2012

bimba


Ecco mani nervose che muovono aria viziata, e tutte le voci delle donne che fanno un coro immenso. Cammina veloce senza badare alla voce, e le mattonelle sono sorelle, di una storia urlata nelle notti d’agosto. C’era quella bimba che lo voleva sposare e lo cercava tutte le sere. A lui piaceva il vento che si alimentava tra le sue parole sussurrate e i suoi occhi spalancati. Tra balcone e balcone, cinque metri di ponte tibetano invisibile, da dove passava tutta la timidezza spinta da quella sua ebbrezza. Un vortice fresco di cui oggi sente una tremenda nostalgia.

Questa bimba giocava alla moglie e vestiva come quelle bambole in spaccata sui lettoni dei nonni. Sbuffava per farsi notare, cadeva per farsi prendere. Niente, lui teneva tra le mani solo figurine: “Zoff non esce mai”. Soffriva. Zoff era davvero inafferrabile. La bimba cantava la canzone di Modugno che sentiva cantare alla madre mentre lavava i piatti, con tutto l’odore dei broccoletti che pesava nell’aria. “Mamma, mi porti giù?”

Nel budello di cortile faceva freddo d’inverno con tutto quel mare che smuoveva l’umido, e pioveva poco. Le sparute macchine chissà quali corpi di donne maltrattate obbligavano a viaggiare. Senza stelle certi paesi restano oscuri. La bimba pensava a quegli odori, e sentiva quelle urla strozzate. I nonni ancora non erano rientrati. Le tende immobili spegnavano le speranze, di supereroi pronti a intervenire. Nessuno. Neppure zio Mimmo, ché stava sempre imbarcato su navi gigantesche piene di petrolio nella pancia. Insieme al cugino Alfredo nel pomeriggio aveva visto il capodoglio sdraiato sulla banchina, morto, accerchiato da uomini vigliacchi: lo sapesse Achab, sai che calci con quella sua gamba d’avorio. Invece silenzio, in paese deve scendere il silenzio, altrimenti diventa città. La bimba, con gli occhi tutti rossi e quelle guance graffiate dalle proprie unghie, voleva, in quella serata pungente, soltanto che quel bambino coi capelli neri spettinati le dicesse ciao.

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