Ecco mani nervose che muovono aria
viziata, e tutte le voci delle donne che fanno un coro immenso. Cammina veloce
senza badare alla voce, e le mattonelle sono sorelle, di una storia urlata
nelle notti d’agosto. C’era quella bimba che lo voleva sposare e lo cercava
tutte le sere. A lui piaceva il vento che si alimentava tra le sue parole
sussurrate e i suoi occhi spalancati. Tra balcone e balcone, cinque metri di
ponte tibetano invisibile, da dove passava tutta la timidezza spinta da quella
sua ebbrezza. Un vortice fresco di cui oggi sente una tremenda nostalgia.
Questa bimba giocava alla moglie e
vestiva come quelle bambole in spaccata sui lettoni dei nonni. Sbuffava per
farsi notare, cadeva per farsi prendere. Niente, lui teneva tra le mani solo
figurine: “Zoff non esce mai”. Soffriva. Zoff era davvero inafferrabile. La
bimba cantava la canzone di Modugno che sentiva cantare alla madre mentre
lavava i piatti, con tutto l’odore dei broccoletti che pesava nell’aria.
“Mamma, mi porti giù?”
Nel budello di cortile faceva freddo
d’inverno con tutto quel mare che smuoveva l’umido, e pioveva poco. Le sparute
macchine chissà quali corpi di donne maltrattate obbligavano a viaggiare. Senza
stelle certi paesi restano oscuri. La bimba pensava a quegli odori, e sentiva
quelle urla strozzate. I nonni ancora non erano rientrati. Le tende immobili
spegnavano le speranze, di supereroi pronti a intervenire. Nessuno. Neppure zio
Mimmo, ché stava sempre imbarcato su navi gigantesche piene di petrolio nella
pancia. Insieme al cugino Alfredo nel pomeriggio aveva visto il capodoglio sdraiato
sulla banchina, morto, accerchiato da uomini vigliacchi: lo sapesse Achab, sai
che calci con quella sua gamba d’avorio. Invece silenzio, in paese deve
scendere il silenzio, altrimenti diventa città. La bimba, con gli occhi tutti
rossi e quelle guance graffiate dalle proprie unghie, voleva, in quella serata
pungente, soltanto che quel bambino coi capelli neri spettinati le dicesse
ciao.
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