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domenica 19 maggio 2013

ballando s'impara


La fettuccia di cento chilometri sembrava un corridoio, ai lati c’erano le stanze dei miei amici di questi mesi: Itri, Sermoneta, Aprilia, Pavona. Poi gli spettri: la spiaggia di mio padre, la palude di Pennacchi, le montagne della guerra. Ma io non ci sono in quella Storia, appartengo alle mie piccole cose e a quei vecchi poster appiccicati nella mia cameretta, messi lì con scotch e puntine, con l’intenzione di dichiarare guerra alla realtà. La sera prima di addormentarmi farfugliavo: non studio più, vado via con i pensieri e aspetto gli amici migliori del mondo. Che mi salveranno. Mi comprenderanno, senza sciupare in mosse vigliacche la mia sensibilità. Sì, il mio unico tesoro sempre disponibile e mai in disuso, era e sarà la mia sensibilità. Non confondetela con la bontà, per cortesia, sapete meglio di me quante nefandezze fa commettere un’alterata sensibilità. Quanta furia ideologica fa precipitare fuori dalla testa un’ottusa sensibilità. Certo, a dire il vero, a me scuote anche l’anima dilatandola come una sacca di linfa dorata, ma non perdona passi falsi; crea bei pensieri circolari, ma poi la notte rade al suolo ogni certezza. Tant’è, sono alla sua mercé. Per questo rifiuto di leggere certi grandi classici, e non mi preoccupo di acquisire conoscenze imprescindibili per uno della mia epoca. Perché la presunzione, effetto collaterale della sensibilità, mi evita lo sforzo di studiare. A lei basta solo osservare - fissare le persone come opere d’arte - per poi ricrearne mondi e mostri. E già.

Vorrei dichiarare guerra alla mia sensibilità dissociandomi dalla sua tirannia, ma poi, a pensarci bene, questo significherebbe uscire di scena dal migliore palcoscenico che abbia mai gestito; così rimarrei un ordinario impiegato al servizio del potente di turno, con umile onestà parteciperei alla riuscita della società. E poco più.

Allora, mi sa che sia più saggio tradirla amandola anche nei pomeriggi afosi: la farsa, la spocchia, la prepotenza e la carezza. La notte poi, nascondendomi, mi lascerò sopraffare sotto i colpi emotivi della regina delle mie giornate migliori: la beata inconcludente sensibilità.

 Al mattino fresco e rilassato mi rallegrerò di come cazzo faccio a sopravvivere in un mondo così. Semplicemente, la mia seconda moglie, la ridente e fuggitiva sensibilità, mi costringe col suo sguardo a ballare tra alberi e palazzoni in compagnia di pensieri bambini e di oscene signorine. Ballando s’impara.

Vorrei stare ora nel pensiero di me che guido l’auto verso casa, dopo un lungo viaggio, e sul sedile ascolto già le parole dei miei figli, e vedo i loro sguardi di stupore nello specchietto; questo mentre scorrono davvero immagini di capannoni luminosi davanti a colline fantasma, e sotto alcuni uomini che scappano fingendo di evitare le oscenità nell’ombra dell’alba blu.

 

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