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domenica 13 aprile 2014

unastoria e un po' di me

Mi sono iscritto alle notifiche dei commenti sotto un’intervista a Gipi. Volevo addormentarmi, il giorno dopo avevo una cosa medica che mi turbava, ma arrivano a cadenza d’insonnia le notifiche: parte una discussione tra lo stesso Gipi e una tale F. Non prendo più sonno. Ho unastoria sdraiata sul comodino, la prendo, mi siedo e la leggo. Metà libro mi risucchia e mi presenta il dolore in varie tonalità. Penso all’esame medico, al perché Gipi abbia avuto “il genio” di fare questo libro. 
Perché tanto strillare? Magari per evitare quella vocina stronza che ci spinge a insistere con questa vita casuale che ci tocca interpretare, no, amica, strillare non serve a niente. Lascia passare i crucchi e i grigi di questi pomeriggi, e poi un collo luminoso e un incontro inaspettato, o uno o l’altro, per poi tornare a portare in giro una smorfia di stupore che ti ricorda il vecchio sgomento, e ti costringe a vivere. Bene. Quel che basta per farsi perdonare dai posteri, dalle scolaresche chiassose che verranno.
L’indomani l’esame è andato bene, e mi sono ritrovato senza un perché in doppia fila con le quattro frecce davanti alle fosse ardeatine. C’era un sole violento, e c'era una guida carina che temporeggiava chattando, ridendo. Entro. Quasi corro verso le grotte di tufo. Arrivo in fondo e capisco di stare tra studenti tedeschi. Sono tanti, sono circondato da redenzioni. Vedo quelle pietre sgretolate e penso alla durezza della guerra, alla sua assurdità che un tempo pareva normale. Il loro tempo. Mica quello mio e di questi tedeschini che agognano solo di pomiciare tra di loro, e si lasciano trascinare dalla storia. Vado dove ci sono le lapidi schiacciate dalla luce sporca dell’Ardeatina. Esco. Veloce raggiungo la macchina e mando un tuitt per scacciare fuori tutta quella storia che non capisco. 

Stanotte ho finito unastoria. Ci sono poche parole e tante immagini. Perfetto per pensare a quel gesto, a quella vita che l’antenato si porta dietro dalla guerra. Quel gesto che un tempo avrei giudicato violento, oggi temo sia stato necessario. E nel temerlo mi accorgo che questo libro contiene qualcosa che ci fa tremare: giù tra una parola e l’altra, in quel silenzio, nascondiamo una terribile storia da rivelare. Una volta deciso, non si riesce più a tornare indietro. Credo che questo abbia spinto Gipi a passare dalla sedia per giocare al pc a quella dove cominciare a disegnare questa storia: lasciar scorrere quel chiarore, quell’albero, quelle facce, quelle nuvole. E quel magnifico collo lì ad aspettare la vita. Che ora è diventata unastoria commovente. Scordarsi la quiete per un po’, ce lo chiede sottovoce un dolore, un’amica o la storia. Grazie Gipi.

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