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giovedì 25 febbraio 2016

Vergogna a Stoccolma

 
Abito in una zona a ridosso di una città che si espande ogni giorno come una macchia d’inchiostro. Dal limite estremo sentiamo l’odore delle novità, delle feste sulle terrazze e delle donne bellissime che la sera come piume d’uccello transitano sopra le vie del centro. Da noi l’autobus ci arriva da poco più di un anno. Il minimarket l’hanno aperto a settembre scorso e chiuso poi a febbraio. Il solarium non c’è più, al suo posto le pompe funebri. Due parrucchieri uno accanto all'altro. Un veterinario, e tre barpizzeriatavolacalda. Dieci anni fa abitavo in un palazzo scorticato dalle acque sulfuree e i tir la notte facevano manovra dietro al mio collo, e chissà che sogni on the road facevo in quelle notti. Stanotte invece ho sognato che partivo con il traghetto, mentre la mia famiglia restava sulla terra ferma e non riuscivo a fare i biglietti per restare sulla terra, e per questo litigavo in cabina con il Capitano, e così vedevo allontanarsi la terra con le persone a cui voglio bene: disperato mi sono svegliato di soprassalto. Sono stato tutta la la giornata ad accarezzare di sguardi mia moglie e i miei figli.

   Penso, mentre fischietto nel parchetto sbrindellato del quartiere, che negli anni avrei dovuto applicarla in scandinavia la mia moralità. Non qua. Ora osservo una bordura di bottiglie di birre intorno a un olivo piantato da me anni fa, tutto spontaneo qua, almeno la Malva resta silenziosa e regale, indifferente ai nostri affanni urbani. Piantavo alberi, facevo figli e cercavo il lavoro della mia vita. Poi sono cresciuto, quasi più veloce dell'olivo, ma sicuramente meno dei miei figli. Adesso, senza affanni misteriosi o attacchi di panico per strada, m'incammino lentamente verso la scuola del piccolo, e trattengo a stento le ghiandole lacrimali al pensiero che dimenticherò l'epoca delle prime pappe o della prima volta che hanno mangiato a pezzi, e i giochi pomeridiani sdraiati sul pavimento fino allo sfinimento, così come quei cambi di pannolini serali, con quella luce di taglio da ottobrata. Poi al letto si rideva fino a quando i bimbi crollavano a malincuore verso il sonno. Io restavo sveglio, e vagavo nel salone e su internet: rumori di auto fuori che si fondevano nello scricchiolio della connessione analogica, procurandomi un brivido che non so ancora spiegare. In quel tempo ansioso e felice comunque mi nascondevo, mi vergognavo, mi sentivo piccino, insicuro, buono a nulla e non riuscivo nemmeno a disprezzare chi andava disprezzato. Non era per bontà, no, era che non ci riuscivo proprio: mi mancava il coraggio della cattiveria a piccolo dosaggio.
   In questi giorni di minima cattiveria, di lucida resa e di clamorosa consapevolezza esistenziale, la mia commedia obbedisce a un'altra sceneggiatura: di vergognarmi ancora ma stavolta di quello che scrivo, e nonostante continui a farlo tutti i santi giorni con piacevole stordimento. 
Dottore, hai capito come sto?

il dottor Gachet (Van Gogh)

Ieri è tornata Lei, aveva gli occhi stanchi e pungenti e con la sua bellezza mi ha suggerito di vergognarmi ancora e di farlo regolarmente tutti i giorni. Già dall'alba. 
Come bere l’intera moka di caffè.
Come spiare la famiglia di fronte.
Come fare l’amore nel pomeriggio. 
Come raccontare la sua malattia. 
Come piangere durante la sua recita.  
Come vedersi tra i fiori fiero e fallito.
Come rinascere la domenica mattina.
Come adesso, poco prima del clic.
Ecco i buoni propositi da praticare prima di scappare a Stoccolma.




(voglio che la vita mi lasci in pace nella contaminazione tutta mia di queste canzoni)



2 commenti:

Capitan vongola ha detto...

Crepuscolare, apri le finestre che il cielo ha bisogno della luce del tuo cuore!

peppe stamegna ha detto...

No, fa troppo freddo, preferisco vedere attraverso le tapparelle.