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lunedì 2 luglio 2018

Il ritorno

 Stanotte parlavi chiuso nel bagno con un tono sussurrante, implorante, amaro di incomprensioni subite, di sbandamenti non accolti; forse parlavi con uno dei tuoi amici che non frequenti più. Forse ti hanno chiamato per darti gli auguri. Un po’ me lo auguro, anche se ero intontito dal sonno e a tratti, per il sacro rispetto della privacy, mi tappavo le orecchie. Diresti, lo scrivi sul blog e ora fai la morale? Aspetta, scrivo soprattutto di me, anche rischiando di coprire la sua storia. In realtà il nostro rapporto ha tante di quelle variabili adolescenziali, di mie preoccupazioni trattenute, oppure slanci che potrebbero finire in qualche poesia postuma di Carver. Se ti va fai che questo racconto diventi una scorticata pittura rupestre da contemplare mentre fuori imperversano battaglie e amori.
Una persona che ha letto la scorso episodio sul blog, mi fa: ma i tuoi figli non s’infuriano per le cose che scrivi? No, ché non lo sanno e io non so fino in fondo perché mi ostini a questo lacrimoso esercizio esibizionista. Appena finite di leggere questo post chiamatemi che ci facciamo risate su risate sulle situazioni comiche che sto vivendo davanti a persone con facce strambe, un po’ alla Battiato e un po’ alla Pippo Baudo, e nel mezzo le mie chiacchiere con signore dalle collane lussuriose e buste della Crai portate alla maniera di quelle di Fendi.

 Stiamo in una città che ha fatto del suo meglio per diventare brutta, e quella colonna sconsolata e dorica mi ha schiantato i polmoni: era lì a trenta gradi, sparuta tra erbacce e palme, e si lasciava bullizzare dalle svettanti ciminiere Eni.
Eppure tu valorizzi l’umanità di questa città: buona 'sta pizza, qui so’ curiosi, me pare quel quartiere di Roma, o Formia. Io ci vivrei, dici al culmine della tua contentezza di aver frequentato per qualche giorno una persona con cui parli, ridi, come non facevi da mesi.

Ti hanno appena chiamato dall’istituto paritario, ti hanno fatto delle domande e convocato per un colloquio. Mentre ascoltavo le tue risposte educate scrivevo dallo smartphone mentre la persona importante di prima ti fissava gli occhi mentre rispondevi sereno alla segretaria della scuola.

 Potrei andare a fare un bagno, il cortisone è smaltito ormai, oppure mettermi in mezzo ai vecchi in piazza a leggere il giornale e intanto origliare, come ho fatto ieri, parole che danzano ora dolcissime ora spietate tra quelle facce rugose e oscene: favolose. Poi ho scelto i vecchi, anche se il barista, quando ha capito che venivo da Roma mi fa: ah sorcino!
 In questo vicolo fresco di cornetto alla crema e canzoni in cuffia mi dedico alla migliore cosa che so fare, e in questo periodo della mia storia non è di certo montare una zanzariera o mettere zizzania in terrazza.



  Stai irrigando su questa terra grigia malata delle tre un’intera stagione d’amore per te.
Io ti stringo, ti scrivo e lascio scorrere questa desertica piana fertile che fu. Ora vacche sperse e ruderi di sole facciate di pietra, poi trivella, tubi, sporco di progresso egoista. Mattei volteggia con la sua aspirazione bambina petrolio, noi seduti uno accanto all’altro cullati da musiche che non sanno più di plastica.
Eccoci visti dall'alto di una superstrada, con la tua morbida testa sopra la mia spalla umida che ti sostiene e fa appoggiare sentimenti nuovi per i tuoi occhi.
Elefante di Catania, ti prego, asciuga questo pomeriggio.

Continua...

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