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lunedì 14 febbraio 2011

vanghe di periferia


Si doveva realizzare un muretto per dividere il giardino in pendenza, intorno al centro diurno. G. era in forma quella mattina. Fumava aspirando lentamente le sue Ms mild. Erano già due settimane che era uscito da Rebibbia, e l’idea di dormire sempre appiccicato a Teresa lo tranquillizzava, come a un bambino l’orsacchiotto. Anche se Teresa era pure esigente: voleva sempre il marito tra le gambe. Una ventosa, diceva lui al bar. Er Serpe annuiva come a dire” lo so, te capisco…”. Ma non diceva nulla. Annuiva, appunto.
Intanto i due uomini stavano organizzando un gruppo di lavoro più unico che raro: G. all’impasto; Paolo alla cardarella; er Serpe alla carriola; Massimino pronto con l’americana, e intanto allineava i mattoni; Massimetto tutto fare (chiamateme quando ve serve); Fabietto al piccone. Fabio alle misure. I due uomini un po’ qua e un po’ là.
La sfida parte verso le 10, dopo una serie di cappuccini al bar. “Portame la briosce co’ a crema”, urla Er Vipera.  E Massimetto “ a Vipera ma quanto magni, è il terzo da stamattina, li mortacci tua. Sei un chiodo, sei”.
Insomma si parte. Il via vai nel giardino a elle, che chiude l’intero edificio dell’Asl, sembra una scena di un film muto. Tutti accelerano con fare frenetico. Il medico di guardia del primo piano, affacciato come al solito con la sigaretta sempre con la capocchia intera - un vezzo impiegatizio, che fa incazzare gli operatori del piano terra - “sempre a non fare un cazzo, sto dottore sta sempre appeso alla finestra. Poi, quando i nostri vanno a rota, entra dentro come un codardo. Stronzo”.
Insomma, questo con la sigaretta incapocchiata, non crede ai suoi occhi: “questi so matti, stanno a lavorà davvero!” dice all’infermiere di turno. Che ribatte al volo:” mo mo, staranno a fa due cazzate per ottenere un permesso. Questi vogliono solo sta’ lontano da Rebibbia, so figli de ‘na mignotta, so”.
Intanto al piano terra, in giardino per la precisione, questi uomini non si fermano neanche per fumare. Corrono come neppure al cantiere dei mondiali del ’90. G. oramai è un masto, gli altri lo seguono senza batter ciglio. Pure Massimino, che di solito ha sempre da ridire, si è messo a disposizione. “A Giulià, quanto cemento ce metto nel canaletto?” e poi Er Vipera che sghignazza con i mattoni sulla spalla. Due alla volta, c’è da stabilire sempre una gerarchia. Non si scappa, questi senza la gerarchia s’innervosiscono. Ci vuole.

Ecco i due uomini alla fine della giornata. Il sole romano sta rendendo tutto arancione, e il Tiburtino somiglia un po’ assurdamente ai Parioli: una luce calda che annulla le differenze e fa diventare l’asfalto un tappeto orientale. Si stanno confidando, quasi stupefatti del loro successo. C’è pure Fabio con loro.
“Ma ti rendi conto? tutti a lavorare come al cantiere, e neppure li abbiamo pagati.”
“Eh sì, vedessi la psicologa come gongolava. E pure la segretaria, con la sua solita faccia da pazza, che sembrava facesse smorfie di sorriso, di tanto in tanto.  Fabio sei sfiancato, vero?”
“Un po’, ma so contento. Questi hanno fatto pure sul serio. Paolo sta ancora a controllare il muretto. Stanotte mi sa che dorme qua, si è proprio attaccato all’opera!”
“Meno male, stiamo sempre a fargli rispettare le regole, a contestargli i ritardi, almeno hanno fatto tutto senza batter ciglio.”
“Altro che psicoterapie brevi, grandi gruppi e ‘ste fregnacce qui. Questi vogliono fa’ le cose vere”
“Vabbè che c’entra, servono pure ‘ste fregnacce. Solo che se ne fanno troppe, e questi poi si rompono”
“e non sono loro….hihihi”

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