Le parole corrono e gli occhi
trattengono il possibile. Così mi sono lasciato divorare dalle pagine del libro
di Antonella Lattanzi, “Devozione”. Tra le cose rimaste impresse c’è il
rapporto della protagonista, Nikita, con la madre. La sorpresa dell’adulto nel
non aver compreso per tempo dell’adolescente che irrompeva in quella casa di
libri e di sorrisi larghi. Il dramma resta un po’ intrappolato in questo
mistero. Non se ne capacita Angelica, la madre, di come quella bambina possa
esser così lontana da ogni possibile ruolo di figlia che la gamma del presente le
offre. Resta praticabile un ruolo o un’immagine che riflette e sbatte in una
situazione degradata, e ci rimanda una randagia necessità di resistere al demone
o al terrore della morte; a questo si aggiunge l’epatite che aleggia sulla
testa della ragazza e del suo compagno di randagismo, Pablo. I quartieri romani
che sfuggono a ogni precedente descrizione; ogni passo dei due ragazzi lascia
una scia nera di desolazione. Il dolore della dipendenza appare per quello che
è: un vuoto che si avviluppa su se stesso. Restano, aderendo alle sacche
bianche dei pochi giorni illuminati, alcune parole ripetute nella testa che non
riescono a varcare neppure la porta dello studentato. Tutto è dentro al desiderio della roba.
La devozione e l’abbandono verso la passione,
che il romanzo contiene silenziosamente, ci spingono a riflettere su la
questione del rapporto quotidiano con lo spauracchio della morte. Non quella
assoluta, non quella tragica o inevitabile, ma quella che ci mostra la fine
delle nostre passioni.
Pare di stare dentro un acquario da cui si
vede una necessità, un amore, un desiderio o un ricordo: restano impigliati
alle cose belle che si pensano al
mattino. Trattengono il più possibile, così si attrezzano per abbattere la paura
di rimanere asfissiati nella propria storia, e al dramma di non farcela fino a
domani. Certe mattine c’è un braccio che sostiene ogni loro desiderio, poco
importa se poi ci sono buchi o ci sono tatuate le iniziali dell’Amore, quel che
conta, e il libro lancia questo monito, è l’incessante sentire che ci aiuta a essere migliori. Scacciando il passato a
ogni angolo di strada degradata già percorsa.
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