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mercoledì 13 aprile 2011

"Devozione".

Le parole corrono e gli occhi trattengono il possibile. Così mi sono lasciato divorare dalle pagine del libro di Antonella Lattanzi, “Devozione”. Tra le cose rimaste impresse c’è il rapporto della protagonista, Nikita, con la madre. La sorpresa dell’adulto nel non aver compreso per tempo dell’adolescente che irrompeva in quella casa di libri e di sorrisi larghi. Il dramma resta un po’ intrappolato in questo mistero. Non se ne capacita Angelica, la madre, di come quella bambina possa esser così lontana da ogni possibile ruolo di figlia che la gamma del presente le offre. Resta praticabile un ruolo o un’immagine che riflette e sbatte in una situazione degradata, e ci rimanda una randagia necessità di resistere al demone o al terrore della morte; a questo si aggiunge l’epatite che aleggia sulla testa della ragazza e del suo compagno di randagismo, Pablo. I quartieri romani che sfuggono a ogni precedente descrizione; ogni passo dei due ragazzi lascia una scia nera di desolazione. Il dolore della dipendenza appare per quello che è: un vuoto che si avviluppa su se stesso. Restano, aderendo alle sacche bianche dei pochi giorni illuminati, alcune parole ripetute nella testa che non riescono a varcare neppure la porta dello studentato. Tutto è dentro al desiderio della roba.
 La devozione e l’abbandono verso la passione, che il romanzo contiene silenziosamente, ci spingono a riflettere su la questione del rapporto quotidiano con lo spauracchio della morte. Non quella assoluta, non quella tragica o inevitabile, ma quella che ci mostra la fine delle nostre passioni.
 Pare di stare dentro un acquario da cui si vede una necessità, un amore, un desiderio o un ricordo: restano impigliati alle cose belle che si pensano  al mattino. Trattengono il più possibile, così si attrezzano per abbattere la paura di rimanere asfissiati nella propria storia, e al dramma di non farcela fino a domani. Certe mattine c’è un braccio che sostiene ogni loro desiderio, poco importa se poi ci sono buchi o ci sono tatuate le iniziali dell’Amore, quel che conta, e il libro lancia questo monito, è l’incessante sentire che ci aiuta a essere migliori. Scacciando il passato a ogni angolo di strada degradata già percorsa.

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