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martedì 14 giugno 2011

ci siamo

sta finendo un'epoca: quella del dolore lento e incessante. Ora ho fretta d'andare. Di fare. Già, a lei parrà strano, cara professoressa di matematica di un secolo fa, ma qua il ragazzo, con i denti storti, e con quel fare da mummia, sta dentro una casa - uno sputo di casa - con un bambino alle spalle che canta i baustelle a squarciagola: il cielo è blu, non c'è la cura. Intanto il volume di ballarò è a zero, e fuori non c'è ombra di traffico cittadino. Eppure sono a Roma. Dentro a un voluminoso giro di emozioni e persone. Mi sarebbe bastato un sms adorabile di un'amica, invece no, per scuotermi per bene ci vuole un tassello di ricordo amaro dentro a una frase sincera di uno dei miei figli. O uno sguardo di vecchiaia di mia madre, che da domani comincia ad accogliere le istituzioni: che sia leggero il passaggio dal vuoto al caffè del discount offerto alla signora. Del comune, del bene, dei sensi di colpa che, come in un flipper d'annata, sbattono all'impazzata in un raggio di centocinquanta kilometri di spaesamento. Una sedia sghemba ci sarà in quei vicoli per me? le mie ossa come in un magnetismo familiare aspettano la chiamata. Tra un po', "pacatamente", comincerò a pensarci; intanto domani c'è da lavorare sodo, ché i bambini delle ossa non sanno niente.

2 commenti:

soniedda ha detto...

..a chi sogna
a chi sa cadere
a chi ha le ali
ma non le fa vedere.
non so cos'è.l'ho vista scritta su un muro familiare ,fatto di silenzi e tracce, tanto tempo fa quando della mia malinconia facevo il vestitino delle feste.
te la regalo e brindo con te alla tua nuova epoca.a frappè

peppe stamegna ha detto...

brindiamo con succo di mirtillo?
grazie per aver visto le ali.