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domenica 26 giugno 2011

Diaframma - Caldo


In questi primi giorni di caldo feroce, che ti viene voglia di scappare fuori dal quartiere, o comunque fuori dalla nuvola di gas bollente, insomma, proprio in questi giorni mi pompano due pensieri nella testa. Quasi in simultanea. La canzone “caldo” dei diaframma e l’idea penosa delle persone che camminano con passo incerto, sotto il sole cocente, sulle strade deserte della città. Spesso hanno magliette sgargianti e pantaloncini mezzi sporchi. Con facce abbrustolite e sguardi persi. Questa immagine, di là da ogni pietismo stagionale, fa venire in mente una cosa: povertà! Questa parola che pare appartenga allo scorso secolo o comunque a un’altra generazione, oggi, nel pieno di un’esplosione di caldo in città, mi torna in mente. E mi vedo io nella mia macchina, modesta ma bella, con una moglie dolce accanto e due bambini schiamazzanti dietro, mi vedo, dico, come una scia di benessere che sputa in faccia all’uomo abbronzato di malessere. Certo, non lo faccio entrare in macchina. Certo non lo segnalo ai servizi sociali. Certo non ne parlerò stasera agli amici accorsi per una grigliata da me. E’ soltanto un uomo, e poteva ripararsi dalla sfiga a suo tempo. Ma davvero? Ma lo sai che a volte basta una virgola tra una parola e l’altra, tra un passo falso e l’altro, che tutto prende un ritmo incontrollabile? Allora?
Ho fatto un patto con me stesso, tempo fa: mai più lamenti. Oggi sento disagio nel raccontare questa pietra che si è posata nel mio stomaco. Aspetto le parole giuste, le facce accorte e le mani aperte, per poter dire quello che sento ma non oso, per ora, raccontare. Un indizio c’è: tutti insieme non si può essere sereni. Spetta a qualcuno spegnere nel dramma ogni possibilità di vita decente. Cruda sensazione di sgomento verso una condizione che tutti agogniamo. E pochi affogano, tanti galleggiano e alcuni godono. Una scrollata a questo quadro immobile bisogna dare, se non oggi domani. Che fa più fresco e le braccia sono più riposate

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