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giovedì 18 agosto 2011

vacanze campane


Quel letto mi faceva sognare male. Il cuscino di lana dava le vertigini al mio umore falcidiato da tanta indolenza che si respirava nelle case e nelle strade campane. Eppure ho visto facce che conoscevo già da millenni. La mattina facce assassine, poi la sera, in un attimo si scioglievano i sentimenti fino a noi.
Così nel borgo di Acciaroli ho visto il sindaco Vassallo che stava dentro la faccia argentea di Hemingway: e tutti a piangere di Angelo che stava così bene nella sua bella Acciaroli disegnata con amore. Negli occhi del signore che vendeva l’olio buono e offriva la colazione la mattina, tutta l’accoglienza che mi ha colto di sorpresa. Poi l’indolenza ritorna a Eboli, dentro le sue strade di allegro commercio e con tutta quella puzza di campagna alle sue porte; immensa che arriva fino a mare, lasciando tracce senza pietà. La baia di Agropoli si lascia accarezzare dalle ruffiane mani dei marinai da yacht; appena sopra, a difesa della terra e delle trame care a Margherite, un’enorme folla che, come in un pellegrinaggio dell’olfatto, si dirige in cima contenta d’aspettare il proprio turno. Per godere in alto, lievitando insieme alla pizza. Altavilla trafitta per sfuggire al traffico, valeva poco senza la presenza di Enzo.
La costiera appena sfiorata e già assaporata nelle stradine “mi ricordano Gaeta” di Vietri. Poco prima un interno di Cava dei Tirreni che apriva il sipario su abbandoni appena consumati; ma un’intera famiglia era già pronta ad immolare le proprie vacanze estive per difendere i biondi ricci della figlia. E non ci sia salsedine che tenga! Il pallore come difesa e stimmate di un martirio appena accennato vicino alla tangenziale polverosa. Poi cupole che fuggivano con lo sguardo da possibili angosce agostane. E poi non è vero che Napoli è peggiorata. Secondo me è migliorata, e lentamente, come nei racconti della Parrella, sta arrivando in Europa. Ma quella “salita del pianto” mi ha spaventato come non mai: una strada dentro a mure funerarie che salivano e scendevano neppure al luna park, con erbacce alte due metri ai lati. Intanto lo sporco d’immondizia ci obbligava a smentire la frase di riscatto appena pensata. L’insolenza torna a bruciare nella mia testa. Tutta la cenere la lascio cadere sui cumuli di pensieri bloccati: quei sacconi neri che non si riesce mai per bene a nascondere. Come sul Vesuvio, che ai suoi bordi neri brillavano fazzolettini appena usati la sera prima con Rosaria o Vanessa, sul più bello di una vita nervosa e acida di città deserta di mare.
Salerno fatta a fette da stradone pulite e chiare. Piazzette improvvise che offrono prezzi popolari e aria fresca a gruppi altrimenti allo sbando della loro curiosità. E poi viadotti che istigano a voli su porti dell’anima, senza cargo, ma con tanto fango da digerire in storie grigie. Poi Napoli sia all’andata che al ritorno. Con Lorenzo che assapora lentamente il cannolo dentro a Gambrinus, e mentre lo fa, assume una postura alla pulcinella. Jacopo che si eccita nelle stanze decorate di tradizione dentro “la pizzeria più bella del mondo”. Enrica che si appoggia sensuale sul muretto che divide Posillipo dal golfo: e io osservo bene bene per non dimenticare le morbide curve fino al centro. Di Napoli. Che aveva preso il corpo di Enrica, ma solo per quella sera umida e infinita fino a Pozzuoli. Fino alle viscere. Per non tacere più; che la vita ce la prendiamo tutta d’un fiato - una volta per tutte - e non la vogliamo restituire più ai sensi di colpa del diavolo.
Quel fumo di sterpaglia da Cuma a Mondragone segna il passaggio da un inferno, più volte sentito in passato, a quel piacevole scorrere sulla domiziana senza problemi con i bambini sdraiati di dietro. Non ci fa più paura questa strada disgraziata, né ci affascina più il suo odore di riscatto. Tutta questa poesia è rimasta negli amati film napoletani di Martone. Oggi percorro vie tutte mie. Con Antonio sulle spalle lascio che il vento passi per aspettare la calma che un ragionamento sentimentale sa offrire. Non aspetto altro.

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