Mi ritrovo accanto al palco, alla
festa della Cgil, a orecchiare i Gang. Severini tra un pezzo e l’altro fa
comizi con un forte e voluto accento marchigiano. Stridono queste sue (solite)
parole così ruvide e cariche d’odio con il suo capello perfetto da bancario. In fondo
questi sono gli ultimi colpi di una generazione di contestatori travestiti da
artisti; a me questi non piacciono proprio. Ricordo, però, che nel novanta a
Firenze andai a vederli nemmeno fossero la madonna. Non sopporto mica tanto
quel mio atteggiamento d’allora a bocca aperta sui conformismi della storia. Non
rinnego ma rivedo. Fallo anche tu Severini. Tanto figure da odiare senza se e
senza ma ci saranno sempre, almeno lascia il posto ai giovani: che si facciano
il culo dentro al fango del mondo per poi risalire un po’ sporchi e un po’
saggi. In questa mistura sta la crescita.
Ieri sera a un certo punto, in
maniera istintiva, volgevo lo sguardo solo verso i bambini che giocavano con le
attrezzature ginniche del parco di Caracalla. Al palco, coi suoi rivoluzionari
sopra, voltavo le spalle. E nemmeno li odiavo più.
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