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venerdì 9 settembre 2011

Mi prende il fiato, quello della domenica mattina, quando le auto si fanno accompagnare dallo sguardo, e non mi lascia più. Il fiato. Corto delle notti che spaccano in due le facce: dammi quella violenta e vera. Scorziamoci e invitiamo una gang di ragazzini a farci pestare. Nella loro forza blu germi di morte che scacciano via. Io no, prendo le botte e corro via verso le foto che ho sempre amato. Quelle di Giacomelli coi pretini tra la neve di Scanno. I miei occhi tra la stampa e il passato che gratta la mia storia: qui sbuca Pascale e tutta la sua manutenzione. Mi siedo e aspetto mia madre bambina, che torna dall'istituto per dirmi la verità. Del suo vuoto soffrire, ormai pieno di cartacce prese agli angoli angusti del suo girovagare.
Scatto la mia ultima foto alla sua faccia bambina che sorride venendomi incontro. Ora sono sazio di espiazione, e aspetto una pagina già scritta per metà. Un seno enorme e teso verso me copre il male del tempo, che sa di te, di me e tutte le scelte fracassate dentro a giorni anonimi.
Mi rimane in mano un martello con testa d'acciaio da un lato e di gomma dall'altro. Devo finire ancora di mettere il parquet di sotto, quindi, senza pensarci un secondo di più, lo afferro e picchio leggero sul laminato anticato.



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