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giovedì 20 ottobre 2011

davvero piccolo


Apro la porta all’alba e trovo la sua faccia davanti. Un ghigno, quello solito, sprezzante di chi ne sa più di te, da sempre. Anche oggi. Sei piccolo tu, dentro quella macchina nera che svolazza a Roma. Sei piccolo nel tuo sbattere la porta in faccia. Quello cambia solo porta. Tu non sei “tutto”, ma solo un piccolo uomo che dipinge queste pagine, niente più. Solo uno che si sbatte per far ridere gli altri. E non è poco. No, è pochissimo davanti alle linguacce risolute che trovi a ogni angolo. Guardati in faccia, non ridere più: l’ottimismo è volato via sopra una comoda e leggera battuta d’arresto del tuo cuore. Ora sei piccolo. Il tuo cuore resta grande, già, quello è nascosto e si vergogna. Della tua faccia. Della morte di tuo padre. Del silenzio. Delle nuvole ferme su di te.
Tutte queste parole scritte ora rotolano su di te, che leggi con l’ansia di finirle: bastonate di noia che ti fanno dire bravo, come stai? So che non è vero, ma la bottiglia di vino è scesa viziosa nella gola dopo mesi di astinenza, e fa dire verità a buon mercato in serata aperte al peccato. Mi dicevi belle parole, io sorridevo d’imbarazzo. Non so fare di meglio che imbarazzarmi. L’altra sera ho pianto su di una mia frase appena sputata fuori. Gli occhi dei bambini spesso mi fanno piangere, e le loro movenze ridere. Ma non li sfotto. Solo lunghe e distratte carezze che la chimica sposta in spazi angusti. Davanti a facce immobili, paure represse dentro pugnalate silenti. E tu non ti penti.
Salto veloce sugli scogli e quasi alla fine, poco prima del faro, precipito graffiandomi di sangue sulle braccia. Chi mi aspetta per leccarle queste enormi ferite invisibili?

Apro la porta nella notte e vedo donne di spalle che vanno via. Una litania che segue la via, del perdono, del rissoso suono di queste parole d’odio per voi. Niente più voglio dai vostri seni già succhiati. Niente mi aspetta all’entrata del sogno. Una resa suonata lenta di melodia sconosciuta. Una parola in più. Uno schiaffo in faccia. E tu che chiudi la porta poco prima del sole. Un gatto lascia la sua ombra cadere e graffia.


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