Negli anni novanta se ne andava in
giro per le strade puzzolenti della sua nuova città con tanta voglia d’
aspettare: l’uscita del film di Moretti o del disco di Fiumani. Poi del disco
di De Andrè o del libro di Vassalli. E ancora altre cose da aspettare in quelle
giornate di luce, come quelle cene aperte con gli amici, uno più simpatico
dell’altro, dove a volte si mettevano pure a ballare, così, all’improvviso,
musiche di quel tempo. Certo, un po’ di
sconforto compariva all’angolo di via Merulana o a Portonaccio, soprattutto al
tramonto di certi pomeriggi inutili; ma il giorno dopo si ricominciava ad
aspettare. Anche alla fermata dell’autobus stracolmo di persone nervose. Poco
importava per lui, c’era sempre una qualche faccia graziosa a riequilibrare la
faccenda e, anche se non c’era fisicamente là, se la immaginava e intanto
continuava ad aspettare. Pure davanti al frigo vuoto, in certi sabati mattina
nuvolosi del caso, pure allora immaginava un’attesa. Cose belle. Anche se poi in
una di quelle sere, stavolta al paese, è dovuto scappare a casa della madre a
metà serata: un improvviso cambio d’umore causato da una lite con la fidanzata.
Sì vede ancora lui seduto sull’autobus che curva nella piazza e prende la
direzione di casa sua. Lo sguardo fisso. Una voglia di spaccare tutto a
braccetto del desiderio di vendetta che prendeva tutta la scena e che, a dire
il vero, sembrava sproporzionato rispetto alla serata di routine che stava
vivendo, con solo qualche lieve calo di tensione. D’amicizia. D’amore. E lui
cedeva, solo dentro al nero del suo male.
Dice che capitavano ogni tanto queste
cadute, e non se ne preoccupava all’epoca.
In questi giorni invece sta
riflettendo come un ossesso sulla questione del suo carattere e delle pieghe
che gli ha costretto assumere davanti
alle scelte fatte.
In fondo a lui resta tutt’oggi la
voglia di mettersi in gioco appena le energie radunano nella sua testa tutto il
meglio che si riesce a produrre in quel momento. E allora danze di entusiasmi che
disegnano scenari fantastici. Quelle volte che poi gli tocca raccogliere la
cenere di quelle situazioni celestiali, in quelle serate senza parole, allora
diventa suscettibile e vorrebbe dare lezioni di moralità a metà dell’umanità.
Poi si accascia pentito e cerca nell’immaginazione, stavolta un po’ porno, la
via di fuga essenziale.
Insomma, un insieme di azioni e
parole che validano una storia, non conclusa, ma oramai sottile di ventaglio
d’occasioni accorciato dagli anni.
Mi suggerisce che in fondo è meglio
così, ché in passato non riusciva a tenerlo neppure con due mani ‘sto
ventaglio, e che poi l’abbaglio che procurava l’eccesso di luce del mattino,
era accecante e faceva godere troppo. A vuoto, su di giri.
L’armonia non è del tutto perduta.
E’ perduta l’abbondanza di storia.
Ricorda a chi capita qua per caso, o
per scelta, che lui deve scrivere una paginetta al giorno, così come gli ha
consigliato lo sceneggiatore di Caserta. Si scusa per i bit sprecati, e intanto
aspetta come sempre un battito sincopato, un po’ anni novanta, tipo “In
perfetta solitudine”.
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