La Pen(n)a di Alfredo
Anche quest’anno non mi
tocca preparare il cenone della vigilia. Neanche il presepe ho fatto: quello
della casa circondariale lo fa sempre don Piero con i suoi chierichetti fidati.
A noi è toccato mettere i fili colorati e qualche pallina, preparate
dall’associazione “Donne dentro”; a loro spettano gli addobbi natalizi.
Oggi non devo neppure scapicollarmi tra bancarelle
del pesce, botteghe di pasta all’uovo, e verdurai fidati. Neppure di correre
all’ultimo minuto per i regali ai nipoti. Per il regalo alla fidanzata.
Oggi sto solo aspettando
di poter inviare una cartolina agli amici. Me le sono fatte comprare da
Antonio, visto che lui tanto esce alle sette di mattina e rientra alle sei di
sera. Ha fondato una cooperativa editoriale, e sta tutto il giorno a ideare e
promuovere collane di libri. Gli ho
chiesto di prenderne una con una panoramica del quartiere dall’alto. I dintorni
della mia cittadella blindata. Voglio essere realista quest’anno. Gli altri
anni di solito cartoline o biglietti di associazioni che si prodigano per noi,
e a volte ci fanno pure collaborare a realizzarle: pare che questo lo facciano per
suggerirci resurrezioni provvisorie. Belle cose, ma troppo ottimiste. Ma poi
come faccio a immaginarmi ancora otto
anni qua dentro? Impazzirei. Infatti, dal mese scorso faccio una psicoterapia,
anzi, una specie. Il direttore ha fatto entrare tre psicologhe specializzande;
ha fatto affiggere dei manifestini dove c’era scritto: sportello di ascolto (psicoterapia
breve). Il breve mi ha colpito, e allora mi sono messo in lista d’attesa. Dopo una
settimana mi fanno chiamare e mi accompagnano da Alessia, presso l’infermeria. Alessia
è giovanissima, la sua linea slanciata e i suoi begli occhi blu m’imbarazzano
un po’. Da qui dentro ogni intimità immaginata diventa enorme, assoluta quasi. Ogni
desiderio trabocca e si rovescia sullo sguardo della persona che si ha davanti.
In fondo sono sensazioni vere, cosa c’entra, anche se esagerate da notti insonni e dalla mancanza assoluta
di carezze e baci. Fate voi.
Insomma, non mi resta che
scontare la pena, e solo dopo essere stato liberato, potrò ricominciare a
illudermi, partire, amare. Ora devo convincermi a vivere sospeso. Fare tutte le
solite cose del quotidiano, pensando di farle solo dentro a questo spazio
enorme nel suo insieme, ma piccolo, molto piccolo, per ognuno di noi che sta
dentro.
Antonio mi ha portato una
cartolina del quartiere Tiburtino; dice che è l’unica che ha trovato. Risale
agli anni ottanta. Dall’immagine si vedono palazzoni tra casette abusive;
boschetti di robinie tra discariche abusive. Bene, gli ho detto, i giusti
contrasti per far capire qual è la mia realtà attuale. Antonio ha annuito
scettico, a lui pare inutile questo sforzo mentale: dice che rischio d’isolarmi
dal “fuori”. In parte è vero, ed è vero pure che lui conosce entrambe le
condizioni, visto che, prima si è fatto cinque anni senza mettere la testa
fuori dal cancellone, poi, nel giro di quattro mesi si è ritrovato a fare il
carcerato part time. Nell’anno precedente, per ottenere questo privilegio, si era occupato con passione
alla biblioteca del “braccio”. Insieme a una volontaria, Tiziana, che ora è la
sua compagna, si è messo a organizzare un sistema di scambio di libri all’interno
del carcere. Ha ricevuto pure un premio dalla Provincia. Da allora la sua vita
è stata tutta in discesa: amore, lavoro, libertà vera, amicizie. Quindi lui
dice che devo insistere con il laboratorio di giardinaggio, che prima o poi, un
istituzione premierà anche i miei sforzi. Ma lui è forte, io no. A me ogni
tanto capita di crollare e non andare per una settimana a lavorare con i
compagni. Altri periodi sono contento di farlo, e allora ti poto una siepe di
cento metri in un quarto d’ora. Ma questi alti e bassi non convincono gli educatori.
Così resto uno dei tanti che potrebbe farcela a conquistarsi la libertà
vigilata. Poi non ho nessuna Tiziana da amare. E questo conta. Antonio ci ha
messo tanta passione anche per lei. Certo, a lui interessava il progetto, e
difatti con lei ci ha fatto l’amore solo una volta fuori da qui. Dentro si
rifiutava, diceva lui, ma non lo ha detto certo lei. Eppure i momenti
d’intimità ce n’erano: dentro la biblioteca erano quasi sempre da soli. Ma a
lui l’idea di prenderla nel posto dove anche lui prendeva gli altri - per
necessità e disperazione, ma a volte anche per amore – proprio non gli andava
giù. Siamo divisi a metà qui dentro: una parte vive questo mondo disperato, che
a volte è anche troppo carico di umanità, e l’altra è protesa verso la normalità
esterna. Le zone franche, come la biblioteca, la saletta dei colloqui,
l’infermeria, il campo da calcio, non permettono un lasciarsi andare totale: lì
si recita la parte di quelli pronti per uscire, ma non ancora attrezzati per
farlo. Anche la psicologa ha tentato di spiegarmelo. Dice che hanno fatto degli
studi, ma poi alla fine ha saputo spiegarmi solo con dei dati scientifici
asettici e lontani dalla realtà. Dalla mia, almeno. Che nella mia testa diventavano fatti, atti di
un’intera umanità costretta a inventarsi una nuova esistenza. Nuovi amori. In
questa immensità di novità, niente vale quanto il pensiero di un caffè lungo al
bar dei portici; o come un abbraccio improvviso a una donna, davanti a tutti,
nella piazza centrale del paese la domenica mattina. Un’emozione nel vedere il proprio nipotino che
corre al parco. Niente. Tutto nuovo. Ci vuole tempo per far radicare i
sentimenti. Come hanno fatto Pino e Tonino, che ora, dopo vent’anni di “novità”
sono diventati come marito e moglie. Vogliono pure avere un cagnolino, così per
ricreare per bene una nuova famiglia. A me piace osservare tutti questi
compagni che si danno da fare per non crepare. Dentro, che è la cosa più facile
che possa accadere: i sentimenti non li riconosci più, da un giorno all’altro,
e ti ritrovi con un pene in mano e credi sia naturale. Solo per necessità e
disperazione per un mondo che oramai è perso. Non ti vede più, e tu non vedi
più niente, neanche i tuoi vecchi amici di un mondo che costruivi anche tu,
giorno per giorno.
2.
Gli ho comprato ‘ste
cartoline un po’ tristi del Tiburtino. Degli anni ottanta, quando fu bonificato
l’Aniene, e allora per l’occasione la giunta
decise di fare delle foto dall’alto, da pubblicare e divulgare.
Ma perché? Perché si
ostina a marcire dentro la sua storia? Eppure sta dentro quasi per sbaglio. Sì,
è vero che quella spinta a Chiara
poteva avere conseguenze più drammatiche; cambia poco se è svenuta sull’asfalto
in una pozza di sangue? È vero che c’era la versione degli amici di lei: tutti
pronti a dichiarare l’esagerazione del gesto. Quello di Alfredo, non di Chiara,
che con quella scenata oscena, invece pare che avesse fatto imbestialire il
mite Alfredo. Bah, una storia banale che ha segnato la vita di quest’uomo.
Alfredo non me ne parla mai, solo una volta l’ha fatto. In maniera solenne si è
scrollato questa esperienza di dosso, tutta d’un fiato, e d’allora sta espiando
in silenzio. Le altre notizie le ho ricavate un po’ dalle agenzie
giornalistiche, e un altro po’ dai suoi amici. Ne soffrivo, e allora sono
riuscito a risalire ad alcune persone a lui vicine, per capire meglio. La sua
versione lo schiacciava alle sue colpe, che hanno abbandonato le sue note
responsabilità. Anche nei confronti della fragile Chiara. A cui era legato
attraverso una passione: lui sacrificava la sua vita privata per il suo corpo.
A lei importava sequestrarlo di tanto in tanto, di pausa in pausa dagli altri
amanti. Questo me l’ha raccontato un suo amico fidato. Almeno lo erano
all’epoca, poiché dal fattaccio lui non ha visto quasi più nessuno. Solo è
rimasto, e nella sua solitudine ha trascinato tutta la sua storia. Perché?
“Cosa vuoi che ti dica, è
soltanto una fase per lui, lunga forse, ma è pur sempre una parentesi della sua
esistenza”.
“Sì, Tiziana, questo è
vero, ma io devo fare qualcosa. Mo’ si è messo a fare la psicoterapia con
quella ragazzina. Aspettiamo e vediamo cosa succede. In effetti cosa posso fare
ancora io?”
“ Noi stiamo facendo
l’impossibile per coinvolgerlo, ma sta a lui decidere sul da farsi. Qui in cooperativa
il posto c’è, anche se inizia a collaborare rimanendo dentro. Poi, nel giro di
qualche mese, comincia a uscire qualche ora la mattina Ma lui è tosto e debole
allo stesso tempo. Quella donna, e la sua pazzia amorosa, lo hanno fatto
crollare.”
Tiziana forse un po’ di ragione
ce l’ha. Ma l’amico sono io, non lei. Poi le donne sono sempre un po’ gelose,
anche degli amici. Devo parlarne meno con lei e spingere direttamente Alfredo a
riflettere. Deve ascoltarmi. Cazzarola, ci conosciamo da quasi tre anni. Per
lui la mia parabola resta un esempio. Mica sono come quei tossici che si fanno
sbattere fuori a furia di bussare all’associazione “La vela”, che quelli poi t’inseriscono
nei loro progetti e ti fanno stare tutto il giorno da loro. Poi la sera a casa tua.
No, io mi sono fatto il culo: tutti i giorni a impilare libri. Tutti i giorni a
rigar dritto. Ho abbassato pure la testa, quando alcuni boss mi hanno umiliato
davanti a tutti. Potevo guadagnare prestigio dandogli cazzottoni bestiali, e
invece ho abbassato la testa. Ho pulito il loro sputo, sul porfido. Davanti a
tutti. Nel cortile principale. Tanto puntavo già sui libri polverosi. La giungla
stava già alle spalle. Ne ho sofferto un po’ all’inizio, ma poi, quando gli
equilibri si sono ristabiliti, ai boss ho pure prestato qualche libro. Volevano
quasi sempre Gomorra. Ne avevo quattro copie, e non facevo in tempo a
rimetterle sugli scaffali. Pure Papillon andava, c’era Massimino, quello di
Ostia, che se l’era letto tre volte in un mese. Un’ossessione.
“Alfredo ti piace la
cartolina?”
“Come no, mi pare Los
Angeles dall’alto. Guarda si vede pure la casa del Vipera.”
“E’ vero, si vede; magari
c’è pure la cicciona della moglie a stendere i suoi pantaloni.”
“Se, quella se li fa
stendere dal cognato, come premio d’amore. Che caciara a casa del Vipera.”
“Sì, però è anche vero
che lui si diverte a fare il direttore d’orchestra. Con tutte quelle magagne
che gli coprono ogni volta che si mette negli impicci. A me sta simpatico, ma
quanto è trafficone lui, lo sa solo Dio”.
“Antonio, grazie per le
cartoline. Mi ha fatto piacere.”
“Figurati, è stato un
attimo. Ho chiesto al giornalaio sotto la tipografia. Quello per me si fa in
quattro. Chissà perché? Sarà gay pure lui?”
“Macché, quello è
affascinato dall’intellettuale inquieto che sei. E vorrebbe farsi pubblicare da
te.”
“Vabbè mo si dice così”
“ Non te lo dirà mai, ma
in fondo lui ti rispetta. Ti stima. Per quello che sei riuscito a fare negli
anni. Nonostante il passato. L’ha capito.”
“E tu l’hai capito?”
“Che?”
“ Ch’ sì nu strunz. E
stai a perdere tempo appresso alla psicologa dei miei stivali.”
“ Antò, basta con 'sta
storia. Lasciami stare. Se no mi faccio il sangue amaro pure oggi.”
“E che cambia oggi,
domani? Sempre te lo fai il sangue avvelenato, allora cerca di fermarti e pensa
alla proposta di Tiziana. Se non ti va, puoi sempre puntare sul progetto
giardinaggio, là pure fanno uscire.”
“Ma sei fissato con ‘sto
uscire, ma chi te l’ha chiesto, santa madonna!”
3°
Questi due amici mi fanno
incazzare e commuovere allo stesso tempo. Non sopporto la loro franchezza part time:
si dicono delle cose vere e dure, poi, all’improvviso, mentre stanno per
arrivare sulla soglia della verità, si fermano. E cazzeggiano come due
ragazzini. Secondo me hanno paura di perdersi…non vogliono rovinare il loro
rapporto speciale. Sì, ne sono un po’ gelosa, e si sa che noi donne, quando
diventiamo compagne, anche se sicure dell’affetto del nostro compagno, restiamo
sempre un pochino gelose. Così io lo sono di Alfredo. O meglio, del sentimento
che prova Antonio per lui. So che per me ne ha un altro, che Alfredo non
riceve, ma è pur sempre un concorrente d’affetto. Anche se in fondo gli voglio
bene anch’io. È una persona davvero dignitosa, e nonostante la sventura che ha
passato con quella donna, e le conseguenze che d’allora ha stampato sulla
faccia, be’, nonostante ciò, riesce a mantenere la giusta distanza con il
mondo, e a non odiare a gratis. Non si fa piegare dalla sua storia, la tiene a
bada a furia di lavorare e leggere libri. Lì prende in prestito da noi. Antonio fa bene a preoccuparsi, ma secondo me
è giusto pure che Alfredo attraversi questa stagione. All’inferno. Tanto con la
forza che si ritrova dentro, prima o poi uscirà, e allora sarà solo più stanco,
ma non sconfitto dalla vita. Io ci credo. Antonio un po’ meno. Che c’entra a
lui in questi anni è capitato vedere compagni crollare nel giro di qualche
settimana, e non recuperare più. Chi passava sotto la sorveglianza degli
psichiatri, chi vittima dei suoi nervi diventava aggressivo anche nei confronti
degli amici; allora era difficile costruire un’uscita dignitosa, restavi
invischiato nel vero gorgo della prigione. Per sempre. Poi c’era anche chi si
abituava silenziosamente a quel mondo, e allora restavi un cittadino detenuto
senza arte né parte. Queste cose me l’ha raccontate Antonio nei primi tempi del
corteggiamento. Il mio, sia chiaro, che lui prima di sfiorarmi ha dovuto
aspettare che uscisse fuori, il 12
giugno 2006, entrare nella mia casa, spegnere tutte le luci, staccare il cellulare,
e solo allora mi ha dato il migliore dei baci possibili. Che sta ancora
nell’aria della mia stanza. In eterno.
Da quando frequento
questo carcere, credo siano cazzate le gran parte delle preoccupazioni
quotidiane delle persone che conosco. Quelle di mia sorella con le sue fisse
per l’abbigliamento; dei miei amici quando parlano di politica, e si accendono
in violenti e partigiani discorsi su come fare la rivoluzione. A vuoto, tanto
poi hanno sempre il posticino al calduccio davanti al caminetto. Vabbè, sono un
po’ incazzata con loro, e Antonio dice che esagero. Poiché è giusto che ognuno
viva il suo tempo. Il suo spazio assegnato dalla propria storia. Dice lui.
Antonio è votato alla
santità. Io no.
Per questo quando
incrocio alcuni criminali nei corridoi del carcere, divento viola; so che la
rieducazione è una cosa fondamentale, e che può e deve riguardare tutti, come
diritto, ma a volte proprio non ce la faccio. Allora devo trattenere tutta la
mia rabbia e fare buon viso a cattivo gioco: allora pure il camorrista
incallito riceve le mie informazioni condite da uno sguardo di disponibilità
all’ascolto. Ma è dura, poiché so quasi tutto di tutti, le schede parlano
chiaro, e quando leggo di ammazzamenti brutali, proprio non riesco a gestire
lucidamente la rabbia. In questi casi esco poco prima di ricevere la persona -
il criminale - al colloquio, vado a fumarmi una sigaretta nel cortiletto degli
uffici. Quelle volte cammino nervosamente con lo sguardo abbassato e cerco di
convincermi che il mio è un impegno professionale, non un confessionale. Devo
ripensare alla scena del film di Kieslowski quando l’arringa dell’avvocato
diventa un discorso sul diritto, sulla vita. Così mi calmo piano piano al
termine della sigaretta, e spegnendola spengo ogni rancore.
“Ciao Alfredo, che hai
fatto?”
“Niente Tizià, mi fa male
un po’ la testa”
“Hai bisogno di un
moment?”
“Già fatto, grazie”
“Hai visto Antonio,
doveva darti una cosa, era tutto contento”.
“Già…”
“E cosa è successo? Non
era quello che cercavi?”
“Senti Tiziana, so che sai
cosa mi ha portato. So che lui ti parla di me e delle mie diffidenze verso il
programma della semilibertà. Ma come ho detto pure a lui lo dico a te:
lasciatemi in pace, ora non ho bisogno
di questo. Capito?”
“Come no, ma io già l’ho
capito da tanto tempo…è Antonio che è cocciuto.”
“Appunto, allora diglielo
tu, che sei la sua ombra…”
“Ora esageri, cerca di
capire che noi siamo prima amici, e poi io assistente sociale e tu detenuto.
Ricordalo sempre. Non trattarmi male”
“Calmati, che volevo solo
finì di sfogarmi per quel panzone del compagno tuo. Mi ha fatto incazzare oggi.
Si è ostinato proprio quando gli ho fatto capire che volevo star tranquillo
nella mia storia. Scusami, Tiziana”
“Stai sereno, non sommare
sempre tutto. Okey? Allora ti posso fare
gli auguri come amico?”
“ Ma certo, vieni qua che
ti abbraccio da detenuto…”
“ E no, che poi allunghi
le mani….ah ah ah. Auguri Alfredo”
“ Che bella scena: siete
proprio carini assai. Mo’ vi faccio ‘na foto ricordo”
“ Uè Antonio, ci hai
scoperto. Sempre in mezzo stai…vabbè, vieni qua che ti faccio gli auguri pure a
te. Sei il carcerato più fortunato della terra: con‘sta donna che ti ritrovi”
“Se, mo’ è lui il
fortunato…ed io che sono suor tiziana da Velletri?”
4°
“Vede a me non dispiace
del tutto stare dentro. Cioè, so di aver sbagliato e so altrettanto bene che
devo scontare la pena. È un fatto. Quella donna io la adoravo. Ero sempre
pronto per l’amore con lei. Ogni chiamata era per me un dovere, e anche un
lussuoso piacere, per uno come me, che è sempre stato timido e poco brillante
con le donne. Prima di Chiara, s’intende. Con lei c’è stata la liberazione. Il
salto di qualità. Era davvero bella nella sua ordinaria eleganza. Una donna
come tante al primo impatto, poi, una volta che l’hai sentita parlare, una
volta che l’hai vista spogliare, insomma, quando ho avuto la fortuna di averla
nuda tra le braccia, non avevo bisogno d’altro. Così da quel giorno fui rapito
dal suo corpo, e dai suoi inquieti pensieri. Non ebbi più la capacità di
ragionare davanti alle sue chiamate. Ero un soldatino al servizio del generale.
Sapevo di non essere il solo, ma non me ne
preoccupai. Mai. A lei questa sicurezza dava un po’ alla testa. Una volta
mi fece scendere dall’ufficio in tutta fretta. Mi aspettò in macchina, già
seminuda, in garage, e in grembo aveva un profitterol. Un bignè in bocca e le
mani a coprire parte del seno scoperto dentro ad una minuscola canottiera. Fu
una mattina di luglio infuocata e sudata in quel garage buio e sinistro nel
centro della città.
Mi scusi se racconto
queste cose un po’ spinte, ma è la mia storia prima del dramma. O forse c’ero
già dentro?”
“Senta, non si preoccupi se
parla di cose spinte, in fondo è l’argomento che lo richiede. Forse salta l’accordo
iniziale di fare solo dei colloqui, e di conseguenza gli incontri in questa
stanza dovrebbero avvenire con forma di dialogo. A questo punto lei ha varcato
una soglia diciamo così, un po’ complessa e carica di vicissitudini dolorose.
La mia professionalità mi suggerirebbe di fermarsi qui, ma questo sarebbe
troppo, allora le chiedo di continuare a raccontare senza però esigere un
successivo approfondimento; lei racconti quello che vuole, poi starà a me
decidere quando chiudere il colloquio. D’accordo?”
“Certo che sono
d’accordo. A questo punto non saprei a chi continuare a raccontare. Ne ho bisogno. Altrimenti altro che programma
di reinserimento….da qui poi non saprei proprio più uscire. Vede, io mi vergogno
del danno che ho procurato alla storia appassionante tra me e Chiara, e non a
lei direttamente. Quella spinta è stata violenta solo per istinto: volevo
scacciare la sua pazzia di quei momenti, non certo il suo splendido corpo. So
che lei mi ha perdonato. Ma a cosa serve, se poi indietro non si può tornare? E
io indietro voglio tornare, qui dentro in fondo rimango indietro. Alla mia
storia di fuori. Una volta fuori sono costretto a ripartire da lì, capisce?
Questo fatto mi fa passare le notti insonni, soprattutto quando i ricordi di Chiara
tornano prepotenti a bussare alla mia coscienza. In fondo anche ora l’accolgo
con il suo carico di umanità malata, distorta, ma senz’altro autentica e vitale
di passione. Sono fragile ancora oggi, la mia testa soccombe bambina a questo
carico. Allora stare dentro mi permette di giocarmi un’altra partita: sopportare
le angherie dei boss e di quei cani arrabbiati che non hanno più speranza, per
ottenere in cambio l’esonero dalla vita reale. Dentro comunque c’è una realtà,
nessuno può negarlo. Amori, amicizie, partite a pallone, spettacoli teatrali,
lavoretti vari, la biblioteca. Antonio. Tiziana. Mohammed e le sue storie
magrebine piene di personaggi fuori dalla storia. Insomma, volendo uno qui
potrebbe proprio viverci. Le condizioni le detta l’ambiente, ma anche la
propria storia di provenienza. Il resto poi è alla giornata. Qui c’è una
seconda vita da sollecitare e provare a vivere. Non crede?”
“La prego continui, la
sto ascoltando con molta attenzione e non vorrei ostacolarla con tesi
preconfezionate. In fondo lei sta raccontando qualcosa che non ha ancora i
codici giusti per decifrarlo. Per accoglierlo sì, e per ora può bastare.
Continui pure”
“ Tutto lo sforzo di
Antonio è vano. Oramai che siamo amici fraterni come faccio a dirgli
definitivamente che non voglio uscire? e
che non sono pronto, perché ancora devo capire se sono in grado di ripartire
dalla spinta a Chiara? Con lui ho questa difficoltà che cerco di smussare a
volte con il sarcasmo, e altre ancora con durezza e un silenzio tombale, che
spaventa un po’ anche me. Davvero sto dentro a un cambiamento esasperato da una
paura: di non essere capace a fare e dire quello che facevo e dicevo prima del
fattaccio? Non vedo con piacere i pochi familiari che vengono a trovarmi. Mi
accontento delle loro foto, e dei ricordi che passo in rassegna la notte prima
di addormentarmi. Basta srotolare che lì vedo: decido io il periodo, le facce e
i gesti da ricordare. A parte, nel pieno della notte, riemergono immagini
nitide del corpo di Chiara. Del suo agitarsi sopra di me. Delle sue porcherie.
E il godimento mi trascina dentro al sogno, che poi si allea per misericordia
al sonno. L’indomani mi sveglio come se fossi appena entrato dentro. E ricomincia il giorno. E
riparto dentro alla mia attuale vita. Prendo il latte oramai tiepido, visto il
giro che compie prima della mia cella, e mi sciacquo violentemente la faccia
con l’acqua ghiacciata. Che solo qua ho sentito così ghiacciata”
“L’ora è terminata. La
ringrazio per avermi donato questo racconto. Mi creda, sono emozionata, ma la
mia professionalità, seppur giovane, mi obbliga a chiudere qui gli incontri tra
di noi. Se vuole segnalo il caso al responsabile e le faccio sapere.
D’accordo?”
“Sì, d’accordo. La
ringrazio per la pazienza. In fondo è giusto che io abbia detto queste cose a
una di passaggio. Lei, una volta terminato il tirocinio, continuerà questo
lavoro in qualche studio bene arredato. Magari si farà aiutare dai suoi
genitori, che in lei credono e vogliono investire i propri risparmi
nell’avviarle la professione. È bello questo, e anche molto umano. Il passaggio per me significa tanto, troppo, sebbene
ne stia alla larga, incombe su di me questa eventualità. Allora credo sia stato
giusto aver provato a svelare il mio misero dramma a lei, che si è dimostrata
una persona accogliente. Grazie, davvero grazie per la pazienza”
“Mi fa piacere che lei
pensi queste cose, ma ciò che conta è che la mia presenza le abbia dato il
coraggio di affrontare questo racconto. Ora sta a lei riflettere sul da farsi.
Impieghi parte del suo tempo per capire quale potrebbe essere una via d’uscita….che
stupida, non volevo fare umorismo….mi è scappata”.
“Si figuri, è stata una
bella battuta. Perfetta per un film di Woody Allen. Qui col sarcasmo ci
condiamo la pasta. Altrimenti sarebbe solo amara, e allora sai che tristezza.
Arrivederci, e grazie davvero”
Queste case
viste dall’alto circondano la mia città attuale. Ora vivo qui e aspetto che la
storia faccia il suo mestiere. Mi mancano i vostri abbracci, ma non le vostre
case. Niente di più aperto è questo spazio stretto che protegge il mio corpo.
Il resto vola coi pensieri e raggiunge chi vuole. Specie la notte. Allora
lasciate una fessura delle vostre finestre aperte ché così arrivo e poggio i
miei ricordi sul vostro cuscino. Solo così posso continuare a sentirvi; il
resto è dentro.
Con
affetto.
Alfredo
Scritto da Peppe
Stamegna.
Gennaio 2011
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