Lavoravo proprio bene, al punto da
diventare capocameriere quell’anno. Ero giovane, eppure; una sera addirittura ho
servito una trentina di tavoli, da solo, in meno di un’ora. Correvo avanti e
indietro, tra il bar e il piazzale coi tavoli, centinaia di volte al giorno. In
piena estate eravamo una decina di ragazzi-lavoratori, tutti più o meno
scattanti e allegri, scaltri e generosi, belli e simpatici. Che bel gruppo. Spesso
durante queste serate lanciavo in aria dalla gioia i vassoi d’acciaio, che poi,
a distanza di qualche passo, tra belle ragazze e figli di papà, recuperavo con
leggerezza e con uno sguardo di serenità recuperata. Be’, a parte una sera che
mentre guardavo indietro e avanzavo avanti, girandomi, mi ritrovo stampato in
faccia il cartello di divieto di sosta, in metallo tosto, che avevo messo nel
pomeriggio per difendere il piazzale coi tavolini dalle aggressive auto dei
pigri avventori. Si sono vendicati bene, non c’è che dire. Barcollo mentre gli
altri colleghi sghignazzano. Poi si accorgono che continuo a barcollare e
allora mi portano nell’office. Mi fanno sedere su degli scatoloni di sciroppi
all’amarena, tra vaschette di gelato e panini in decongelamento. Lontano l’eco
del solito caos allegro di persone davanti al nostro locale; era tra i più in
voga della città, e del golfo tutto. Mi lasciano solo per qualche minuto, che
per me, sempre a tremila durante il lavoro, pareva la peggior condanna. Ecco
che ritornano Maurizio e mio fratello: uno mi mette un panino col prosciutto
quasi in bocca, mentre l’altro mi da una coca cola in mano. Armato di calorie con
bollicine, mi facevano una terapia d’urto alimentare. Ma che so pazzi? No, mi
hanno fatto solo capire alla maniera loro, veloce e inconfutabile, che quello
era il rimedio. Stop. Resto in convalescenza una mezz’oretta, poi esco e mi
sento come un marziano che vaga tra tavoli pieni di coppe gelato e belle
ragazze abbronzate: quelle c’erano sempre, come c’erano pure gli accompagnatori
da selezionare in quei grupponi di ragazzi con le tasche piene. Noi si sgobbava
tutto il giorno e dopo le tre di notte eravamo ancora pronti per ballare,
mangiare pizza nel retro dei forni, o fumare e bere davanti alla spiaggia.
Insomma, si sapeva vivere anche noi, con le nostre donne che evaporavano nei
nostri discorsi infiniti e divertenti, quindi, anche un po’ malinconici. Un
po’.
Alla fine della serata della botta in
faccia, come tutte le altre serate, ho fatto il mio resoconto comico della
giornata davanti a tutti gli altri, mentre addentavano famelici i panini o
tramezzini che ci spettavano. Quel giorno ero io stesso l’oggetto delle mie
grinfie umoristiche, per democrazia e con piglio da cronista fedele
all’attualità, ho dovuto esibire il mio show involontario. Oggi a me domani a
te.
Nel pensare a quel periodo in fondo
spensierato, dopo che quest’anno sono ritornato in quel bar dove lavoravo in
compagnia di un caro amico che lavorava lì con me, e che non vedevo purtroppo da
circa dieci anni, sono costretto a commuovermi ridendo in solitudine.
Scherzando coi gestori, durante l’ incontro di quest’estate, ho proposto di
fare una serata di reunion con tutto il personale di allora.
Non sarebbe male rivivere calandosi
dentro panni dismessi senza un perché.
foto di luigi ghirri
Nessun commento:
Posta un commento