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venerdì 6 gennaio 2012

estate





Lavoravo proprio bene, al punto da diventare capocameriere quell’anno. Ero giovane, eppure; una sera addirittura ho servito una trentina di tavoli, da solo, in meno di un’ora. Correvo avanti e indietro, tra il bar e il piazzale coi tavoli, centinaia di volte al giorno. In piena estate eravamo una decina di ragazzi-lavoratori, tutti più o meno scattanti e allegri, scaltri e generosi, belli e simpatici. Che bel gruppo. Spesso durante queste serate lanciavo in aria dalla gioia i vassoi d’acciaio, che poi, a distanza di qualche passo, tra belle ragazze e figli di papà, recuperavo con leggerezza e con uno sguardo di serenità recuperata. Be’, a parte una sera che mentre guardavo indietro e avanzavo avanti, girandomi, mi ritrovo stampato in faccia il cartello di divieto di sosta, in metallo tosto, che avevo messo nel pomeriggio per difendere il piazzale coi tavolini dalle aggressive auto dei pigri avventori. Si sono vendicati bene, non c’è che dire. Barcollo mentre gli altri colleghi sghignazzano. Poi si accorgono che continuo a barcollare e allora mi portano nell’office. Mi fanno sedere su degli scatoloni di sciroppi all’amarena, tra vaschette di gelato e panini in decongelamento. Lontano l’eco del solito caos allegro di persone davanti al nostro locale; era tra i più in voga della città, e del golfo tutto. Mi lasciano solo per qualche minuto, che per me, sempre a tremila durante il lavoro, pareva la peggior condanna. Ecco che ritornano Maurizio e mio fratello: uno mi mette un panino col prosciutto quasi in bocca, mentre l’altro mi da una coca cola in mano. Armato di calorie con bollicine, mi facevano una terapia d’urto alimentare. Ma che so pazzi? No, mi hanno fatto solo capire alla maniera loro, veloce e inconfutabile, che quello era il rimedio. Stop. Resto in convalescenza una mezz’oretta, poi esco e mi sento come un marziano che vaga tra tavoli pieni di coppe gelato e belle ragazze abbronzate: quelle c’erano sempre, come c’erano pure gli accompagnatori da selezionare in quei grupponi di ragazzi con le tasche piene. Noi si sgobbava tutto il giorno e dopo le tre di notte eravamo ancora pronti per ballare, mangiare pizza nel retro dei forni, o fumare e bere davanti alla spiaggia. Insomma, si sapeva vivere anche noi, con le nostre donne che evaporavano nei nostri discorsi infiniti e divertenti, quindi, anche un po’ malinconici. Un po’.
Alla fine della serata della botta in faccia, come tutte le altre serate, ho fatto il mio resoconto comico della giornata davanti a tutti gli altri, mentre addentavano famelici i panini o tramezzini che ci spettavano. Quel giorno ero io stesso l’oggetto delle mie grinfie umoristiche, per democrazia e con piglio da cronista fedele all’attualità, ho dovuto esibire il mio show involontario. Oggi a me domani a te.

Nel pensare a quel periodo in fondo spensierato, dopo che quest’anno sono ritornato in quel bar dove lavoravo in compagnia di un caro amico che lavorava lì con me, e che non vedevo purtroppo da circa dieci anni, sono costretto a commuovermi ridendo in solitudine. Scherzando coi gestori, durante l’ incontro di quest’estate, ho proposto di fare una serata di reunion con tutto il personale di allora.
Non sarebbe male rivivere calandosi dentro panni dismessi senza un perché.
foto di luigi ghirri

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